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 2016  marzo 26 Sabato calendario

PERCHÉ MANCA AL NOSTRO PAESE UNA POLITICA DELLA NATALITÀ

I nostri politici e governanti da anni si accontentano di galleggiare, senza risolvere i veri problemi del Paese, poiché il loro orizzonte temporale arriva solo fino alle elezioni successive. Se venisse fatta un’analisi del sistema, si scoprirebbe che i problemi demografici e quelli economici sono fra loro concatenati. Se un ipotetico azionista dovesse scegliere un sistema-Paese dove investire il suo denaro, credo che avrebbe molti motivi per preferire un Paese giovane, come per esempio l’Indonesia, dove metà della popolazione ha meno di trent’anni, all’Italia che è ormai un Paese di pensionati. Investire sulla natalità in Italia, per esempio garantendo a tutti asili nido gratuiti per legge (come del resto è gratuita la scuola dell’obbligo), nonché serie tutele per le donne lavoratrici intese a incentivare la natalità, ringiovanirebbe un popolo decrepito, creerebbe nuova occupazione e darebbe un forte impulso all’economia (pensiamo a tutta l’industria indirizzata all’infanzia che è ormai ridotta ai minimi termini). Una politica demografica come motore dell’economia è l’unica strada per rimettere in equilibrio un sistema demografico-economico (leggasi sistema-Italia) in via di rapida implosione.
Omar Valentini

Caro Valentini,
Le parole «popolo decrepito» contengono un giudizio eccessivo e ingiusto. Ma l’Italia ha certamente un problema demografico di cui le autorità di governo non sembrano sufficientemente consapevoli. Il piccolo aumento della natalità negli anni Novanta sembrava promettente, ma si dimostrò un fenomeno passeggero. Poco più di un anno fa, all’ inizio del 2015, l’Istat segnalava che nel 2014 le nascite erano state 509.000, con un calo di 5000 rispetto all’anno precedente. È una tendenza strisciante che avrebbe dovuto allarmarci da molto tempo. Ma la politica demografica, in Italia, sembra essere vista con la stessa diffidenza con cui era percepita dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Allora uscivamo da un periodo fra le due guerre durante il quale, nell’ottica di alcuni governi, il «numero era potere», e una delle principali raccomandazioni del regime fascista ai cittadini italiani era di «moltiplicarsi». Le famiglie numerose venivano premiate, le madri prolifiche erano benemerite della patria e gli scapoli impenitenti erano vittime di un regime fiscale punitivo.

L’Italia non era sola. Quando Hitler conquistò il potere, nel 1933, la Germania rimpicciolita dal Trattato di Versailles contava 67 milioni di abitanti. Il Führer ne sognava 250 che avrebbe installato nelle pianure ucraine e russe dopo avere cacciato le popolazioni slave. Non è sorprendente che nell’Italia del dopoguerra qualsiasi cenno all’incremento delle nascite fosse in odore di fascismo.

Negli ultimi decenni, tuttavia, avremmo dovuto accorgerci che il numero, anziché essere «potere», era ormai diventato «sopravvivenza». I mutamenti della condizione femminile hanno cambiato le nostre società. I giovani tardano a sposarsi. Le donne hanno ambizioni professionali e carriere che riducono il tempo dedicato alle famiglie. E gli uomini, dal canto loro, hanno tardato a comprendere che molte incombenze familiari sarebbero necessariamente ricadute sulle loro spalle. L’Italia è una società conservatrice e alcuni cambiamenti chiedono più tempo di quanto non ne occorra in altri Paesi. Ma i governi avrebbero dovuto capire, prevedere e studiare, per esempio, le misure adottate dalla Francia, un Paese in cui la maternità e il lavoro femminile sono perfettamente compatibili.

Ancora una osservazione, caro Valentini. Sulla politica della natalità la Chiesa, in questi anni, è intervenuta frequentemente con osservazioni molto ragionevoli. Ma i politici italiani ascoltano la Chiesa quando potrebbero farne a meno e non la ascoltano quando dice cose utili anche a una società laica.