Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 26/3/2016, 26 marzo 2016
HACKING TEAM, I PM INDAGANO SUL VIRUS-SPIA VENDUTO ALL’ESTERO
Hacking Team, l’azienda italiana di software attaccata nell’estate 2015 da misteriosi «pirati» informatici che rubarono e pubblicarono in Rete il codice del software-spia venduto alle polizie italiane per intercettare «da remoto» i telefoni o i computer, in passato ha venduto il proprio «captatore informatico» a enti governativi di Egitto, Etiopia, Emirati, Oman e Arabia Saudita. Giorni fa, in gran segreto, il procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e il pm Alessandro Gobbis hanno mandato la Polizia Postale al ministero per lo Sviluppo economico (Mise) per verificare se si trattasse di esportazioni soggette a particolari autorizzazioni, e per acquisire le relative carte. La normativa è complessa, varia a seconda degli Stati destinatari, ed è mutata negli anni: non è dunque da sopravvalutare il fatto che l’acquisizione al ministero sia avvenuta in un fascicolo (distinto da quello sull’attacco ad Hacking Team) nel quale il titolare David Vincenzetti è indagato per l’ipotesi di reato di violazione dell’art. 16 della legge 96/2003: da 2 a 6 anni per chi, senza le prescritte autorizzazioni o con autorizzazioni ottenute su falsi presupposti, esporti tecnologie «a duplice uso», non progettate per uso militare ma utilizzabili in applicazioni sia civili sia militari. Tra le mail «rubate» nel 2015 ad Hacking Team, alcune mostravano i giorni di inquietudine vissuti dal titolare quando nel novembre 2014 il Mise sembrava avanzare richieste indigeste per l’azienda: «Stiamo facendo la massima pressione possibile», scriveva Vincenzetti, «tra ieri e oggi ho interloquito e si stanno interessando alla cosa Aisi, Cc/Ros, Polizia e Aise». Con successo, se dopo pochi giorni la situazione si era sbloccata: «Ormai abbiamo coinvolto e sensibilizzato talmente tante parti che non sappiamo con esattezza da dove sono arrivate le pressioni maggiori al Mise. Ma su una posso giurarci: la Presidenza del Consiglio». Accertamenti penali a parte, resta il dubbio storico che gli Stati acquirenti possano aver fatto del software-spia un uso repressivo di dissidenti interni, minoranze, stranieri: basti pensare a che paradosso sarebbe l’eventualità che il mai ritrovato telefonino di un italiano come Regeni fosse monitorato dal Cairo proprio magari con il «captatore informatico» italiano venduto all’Egitto.