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 2016  marzo 28 Lunedì calendario

PANTALONI PER SETTE

Regole per i pantaloni maschili, secondo gli stilisti: la larghezza in fondo varia da 15 a 16 centimetri, 18 per un abito classico, secondo Cucinelli; per Brioni sono giusti 18 centimetri. Il risvoltino in un abito classico mai più alto di 4 centimetri, per i pantaloni più sportivi fino a 5 (Cucinelli). Il risvolto arrotolato a mano, che si chiama Capri, va riservato solo ai jeans e alle tenute da mare. Presto, comunque, si rivedranno orli lunghi, fin sotto le scarpe (Lo Vetro, Sta).

Il primo a rimboccarsi i pantaloni per evitare il fango, fu il Principe di Galles, futuro Edoardo VII, in una giornata piovosa ad Ascot intorno al 1890. I gentlemen, dopo qualche polemica iniziale sull’ineleganza del gesto, seguirono il loro principe. Nacque la moda dei «turn ups», da noi noti come «risvolti».

I romani videro i pantaloni per la prima volta addosso ai Galli e ai popoli germanici. Sviluppo successivo: calzebrache nel XII secolo, calzoni al ginocchio ai tempi di Re Sole. Questi ultimi detti culottes e avversati ai tempi della Rivoluzione dai sans culottes che adottarono le braghe lunghe rimaste in vigore fino ad oggi. La piega davanti venne introdotta un secolo fa.

I Celti furono tra i primi ad indossare pantaloni. Li chiamavano “brache” ed erano così essenziali al portamento che quando venivano “calate” diventavano simbolo di umiliazione.


Anticamente uomini e donne vestivano con una lunga gonna fatta di pelle d’animale. L’abbigliamento si sarebbe diversificato perché gli uomini, che andavano a caccia con il cavallo, avrebbero iniziato a legare la pelle della gonna sotto l’inguine, finché quell’indumento non prese la forma dei moderni pantaloni.

Nel 2014, in una delle tombe di Yanghai nel bacino di Tarim, nella regione cinese dello Xinjiang, un gruppo di archeologi ha ritrovato i più antichi pantaloni della storia. Secondo le analisi al radiocarbonio, risalgono a circa 3200 anni fa, quando gli abitanti della zona indossavano soprattutto tuniche, toghe e vesti lunghe. Un rinvenimento che avvalora la tesi secondo cui a inventare i pantaloni siano stati soprattutto pastori e guerrieri nomadi, che si spostavano a cavallo e che avevano bisogno di indumenti più comodi. Nella tomba in cui è stato trovato il reperto, infatti, c’erano anche briglie e armi tipiche dei guerrieri a cavallo. I pantaloni sono formati da tre pezzi di stoffa realizzati separatamente e poi cuciti insieme: le due gambe e la parte alta, più resistente e più larga per permettere di allargare comodamente le gambe.


I primi ad usare pantaloni corti furono in India gli ufficiali dell’esercito coloniale inglese. Già all’inizio del Novecento i kaki shorts (kaki in lingua Urdu significa polvere), furono adottati da diversi reggimenti inglesi: confezionati in tela di cotone kaki, ovvero coloniale, lunghi fino al ginocchio, stretti in vita e notevolmente scampanati al bordo, assomigliavano moltissimo a una gonna.

Le prime donne in pantaloni (jupe-culottes) accolte così dal ”Corriere della Sera” (13 marzo 1911): «La comparsa in pubblico, a piazza San Babila, dell’arditissima moda ha suscitato ovunque le risa dei passanti, svegliando tanta curiosità da richiamar spesso la folla lungo il percorso delle audaci innovatrici».

Portare i pantaloni per le francesi è diventato legale solo nel 2013, quando Najat Vallaud-Belkacem, portavoce del governo, ha abrogato una norma dell’Ottocento che vietava alle donne di «vestirsi da uomo» (per quelle che trasgredivano era previsto l’arresto immediato). In Francia la norma era stata emendata in senso più permissivo in due occasioni, nel 1892 e nel 1909, quando fu consentito alle donne di portare i calzoni senza preventiva autorizzazione, ma solo nelle ipotesi in cui "impugnassero il manubrio di una bicicletta" la prima volta, e "le redini di un cavallo" la seconda.

Nel 1972 la deputata Michèle Alliot-Marie venne bloccata all’ ingresso del Parlamento francese perché indossava i pantaloni.


A metà Ottocento, in America, la suffragetta Amelia Bloomer propose un completo ispirato all’abbigliamento delle donne turche con ampia gonna al ginocchio e larghi pantaloni alla caviglia, detti poi bloomers. L’opinione pubblica reagì gridando allo scandalo.

Verso la metà degli anni Venti i pantaloni cominciarono a comparire nei guardaroba delle signore sportive più disinvolte e alla moda. Avevano indossato pantaloni, per necessità e non per moda, le donne che durante la guerra sostituirono gli uomini nei lavori pesanti: gli indumenti maschili da lavoro, indossati per andare in fabbrica o nei campi, hanno rappresentato il primo esempio di unisex. I pantaloni del marito, o del fratello, erano tenuti con le bretelle e stretti al ginocchio da uno spago, per renderli più corti e non infilarli nei raggi delle ruote della bicicletta.



La moda internazionale dei pantaloni fu lanciata da Coco Chanel. Fu nel 1920 che, ispirandosi al modello a campana di stile marinaro, introdusse in una sua sfilata i pantaloni a gamba larga per signora battezzandoli yachting pants. Fino a quel momento - vedi George Sand, o vedi Sarah Bernhardt che si presentava in pubblico in calzoni suscitando sgomento generale - una donna in pantaloni era semplicemente impensabile: un’ eccentricità, una mascherata, un increscioso travestimento, un proibito costume di lesbiche.

Marlene Dietrich fu la prima diva a sfoggiare i pantaloni.

Per i pantaloni femminili di massa «bisognerà aspettare la metà degli anni Sessanta, se non il ’68. Le solite happy few - per esempio Marella Agnelli, Consuelo Crespi, Merle Oberon - applaudiranno nel 1960 la novità del pigiama palazzo inventato da Irene Galitzine: indumento esclusivo, fluido, impreziosito da frange, applicazioni, perline. Roba per le copertine di Vogue, per i balli blasonati, per le crociere di lusso. Nella vita di tutti i giorni, per le donne normali, i pantaloni continuano ad essere una mise sconveniente e inappropriata, soprattutto in città, a scuola, in ufficio, al ristorante. è con la moda unisex, con l’ avvento del casual, con la dittatura dei jeans e dei suoi derivati, o meglio con la liberalizzazione da ogni tipo di moda e di convenzione che i pantaloni diventano non più un optional ma una divisa, e non hanno più nulla di temerario. Solo fra il ’90 e il ’95 le vendite globali dei pantaloni da donna aumentano del 167 per cento» (Laura Laurenzi su Rep).

Nel 1969, al ristorante newyorkese La Côte Pasque, una signora dell’alta società americana, Nan Kempner, si presentò in un completo pantalone firmato Yves Saint Laurent. Seguì un momento di imbarazzo: le donne in pantaloni non potevano entrare. Si narra che la Kempner si tolse il pezzo inferiore del suo "Le Smoking" ed entrò vestita della sola giacca, trasformata in mini-abito.


Edda Mussolini, futura contessa Ciano, una delle primissime donne in Italia a indossare i pantaloni.

I primi pantaloni che si vedono nella pittura sono delle prostitute veneziane, sono da uomo, indossati sotto la gonna, con ai piedi alti zoccoli usati per proteggersi dall’ acqua alta.


Nel Settecento, alla corte inglese, ritenendo che il suo pene apparisse in modo troppo vistoso dai pantaloni di calzamaglia, il principe Albert vi fece applicare un anello da agganciare alla cintura così da ribaltare l’ingombro verso l’alto.

In Arizona, Florida, Idaho, Indiana, Massachusetts, Mississippi, Nebraska, Nevada, Oregon, New York, Ohio, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, Utah, Vermont, Washington e Wisconsin è vietato avere un’erezione che si vede attraverso i pantaloni.

A Weimar Goethe nuotava con un panciotto di lino e un paio di pantaloni che gli erano costati dieci Groschen.

Quando Totò aveva sette anni, sua madre Anna, poverissima, lo mandò in giro con un paio di pantaloni ricavati da un vecchio vestito stampato a rose rosse. I compagni lo canzonarono chiamandolo ”femminiello”; lui si calò i pantaloni e, in mutande, mani sui fianchi, cominciò a fare versacci. I bambini lo applaudirono divertiti.

Tra le prime soluzioni per l’abbigliamento sportivo, l’elastico ai pantaloni dei tennisti e i calzoni di tweed alla zuava per i giocatori di golf.


Ogni volta che si accorge di avere i pantaloni sbottonati George Bush si ricorda di Giulio Andreotti: «Un giorno Andreotti entrò nello Studio Ovale della Casa Bianca, dove lo aspettava Reagan. Il segretario di stato George Shultz, che lo accompagnava, si accorse che aveva i pantaloni aperti, e gli bisbigliò di chiuderli. Andreotti parlava poco l’inglese, ma capì al volo. Sorpassò il presidente, e si fermò davanti al celebre ritratto di George Washington dipinto da Gilbert Stuart voltandoci le spalle, come se volesse esaminarlo. Quindi, senza apparente segno di imbarazzo, si tirò su la chiusura lampo» (Da All the best di George Bush).

Lo scherzo più cattivo ricevuto da Michele Mirabella: «Debuttavo in teatro, ero molto giovane, e un collega più anziano, Ettore Conti, continuava a guardare la cerniera lampo dei miei pantaloni, ammiccava come se fosse aperta. Cominciai a balbettare finché sul palcoscenico, davanti a tutti, mi girai per controllare. Era chiusa».

Secondo uno studio della Società Internazionale di Urologia solo negli Stati Uniti nell’ultimo decennio 17.616 uomini si sono presentati al pronto soccorso per liberare la pelle delle parti intime dai denti della cerniera dei pantaloni.


Leonardo Pieraccioni anni fa lavorava come magazziniere a un milione e 100 lire al mese, «cosa che non dimentico mai». Quando Rita Rusic lo invitò a casa per dargli il primo assegno da un miliardo per Il Ciclone, lui uscendo se lo attaccò con lo scotch all’interno dei pantaloni.


Quella mattina che Guglielmo Marconi entrò nella sala pittura della cugina Daisy e si sedette, coi pantaloni bianchi, sulla sedia in cui era poggiata la tavolozza dei colori.

Stanley Kubrick andò da Marlon Brando per preparare I due volti della vendetta, il film che poi il divo si diresse da solo. Il padrone di casa gli ingiunse di togliersi le scarpe per non rovinargli il pavimento, Kubrick si tolse anche i pantaloni.

Quel giorno del 1997 in cui Jean Pierson, amministratore del colosso europeo dell’areonautica Airbus dall’85 al ”98, non esitò a calarsi le braghe davanti al presidente di US Airways, Stephen Wolf, che gli chiedeva uno sconto del 5 per cento sull’acquisto di un lotto di velivoli. «Non ho più niente da concedere», spiegò Pierson. «Si tiri su i pantaloni, non bisogno di altri soldi», gridò atterrito Wolf. L’affare venne concluso. Due anni dopo, Airbus avrebbe superato Boeing per numero di aerei venduti.


Nel marzo del ’37, più grande di quasi un anno rispetto ai suoi compagni, Che Guevara entrò in terza alla Escuela San Martin. Beveva inchiostro dai calamai, mangiava il gesso, si arrampicava sugli alberi in cortile, esplorava i pozzi di una miniera abbandonata e faceva il torero con un ariete. Per difendersi dagli sculaccioni impartiti dalla direttrice arrivò a mettersi un mattone nei pantaloni.

Frank Sinatra camminava di continuo, non per nervosismo ma perché lo infastidivano le pieghe dei pantaloni (che cambiava più volte al dì).

Filippo di Edimburgo che qualche anno fa si rivolse alla sartoria Norton & Sons di Londra per farsi ammodernare un paio di pantaloni del 1957. Erano un classico esempio di buggy style, con taglio rigonfio, di moda cinquant’anni fa: Filippo li voleva affusolati, più attuali. Dalla sartoria fecero sapere: «Circa sei anni fa il principe ci aveva già inviato un paio di pantaloni che voleva ritoccare per renderli più moderni».

I De Silvestris di Bisceglie che per non consumare la stoffa dei pantaloni strofinandola sulle sedie, la sera spegnevano la luce e conversavano con i calzoni abbassati (raccontato da Marcello Veneziani in Ritorno al sud, Mondadori 2009).

«Uomo elegantissimo. Pensi che persino in carcere teneva i pantaloni sotto il materasso per avere la piega perfetta» (Francesco Cossiga a proposito di Sandro Pertini).

P.S. (sui jeans non ho messo niente perché c’è già una rubrica “jeans”)