varie, 28 marzo 2016
CHEF PER SETTE
Benoit Violier, 44 anni, chef franco-svizzero dell’Hotel de Ville di Crissier, Losanna, tre stelle Michelin, da poco nominato miglior chef al mondo da La Liste, versione francese dei «50 best», la notte di domenica 31 gennaio s’è sparato in testa con un fucile da caccia nella sua casa di Crissier. Modalità simile a quella scelta da Bernard Loiseau, l’altro grande chef tre stelle Michelin che il 24 febbraio del 2003 decise di porre fine alla sua vita. In quel caso la spiegazione ufficiale fu che la guida Michelin voleva togliere una stella a La Cote d’Or, il suo ristorante in Borgogna. Tre anni fa s’era suicidato un altro grande chef, Joseph Cerniglia, buttandosi dal George Washington Bridge (Frenda, Cds).
Pare che Violier fosse pieno di debiti per via di un’azienda vinicola svizzera che gli aveva fatto una truffa da oltre un milione di euro.
Charlie Trotter, due stelle Michelin a Chicago, nel 2012 lascia il lavoro: «Troppa fatica, voglio tornare a vivere», dice ai giornalisti. Dopo appena dodici mesi, a 54 anni, si uccide in casa.
Il primo cuoco suicida di cui si ha memoria è François Vatel: nel 1671 attese per ore del pesce fresco che gli occorreva per una cena nel castello di Chantilly alla quale era invitato Luigi XIV. Resosi conto che le orate e le spigole non sarebbero arrivate in tempo, si conficcò un coltello da cucina nella pancia.
Kevin Dutton della Uni¬versity of Oxford ha stilato la classifica dei mestieri che tendono a creare disturbi di personalità. Gli chef sono al nono posto (al primo i manager, se¬guiti da avvocati e chirurghi).
Il cuoco bistellato Phil Howard pochi giorni fa ha svelato al Guardian la sua storia di angoscia sedata dalla cocaina. Confessando: «Pensate che noi grandi cuochi abbiamo esistenze eccitanti? La verità è che sono degli inferni in terra».
Marco-Pierre White è stato il più giovane chef ad aver ottenuto le tre stelle Michelin: all’epoca del riconoscimento, nel 1994, aveva 33 anni ed era il primo inglese a raggiungere la vetta della gastronomia. Racconterà poi, nella sua autobiografia White Slave, com’era, davvero, la sua vita: droga, sesso e maratone lavorative insostenibili. A 37 anni ha lasciato il lavoro dietro ai fornelli.
Alcuni tra i migliori cuochi francesi nel 2014 si sono uniti per denunciare il bullismo nelle cucine. Tutto è cominciato dopo un episodio che aveva fatto scandalo: al “Le Pré Catelan” di Frédéric Anton, tre stelle Michelin, un assistente chef era stato licenziato per aver bruciato a più riprese la mano di un apprendista con un cucchiaio incandescente. Nella riunione degli chef in lotta contro le prepotenze Adeline Grattard, dell’apprezzato ristorante Yam’Tcha, ha parlato dei suoi suoi inizi: «Ricordo insulti e doppi sensi dal personale di sesso maschile. Tipo: fa caldo, metti un top traforato». Era, inoltre, costretta a trasportare oggetti più pesanti dei colleghi maschi: «Dovevano farmi sentire inferiore». Jacques Cagna, altro famoso cuoco parigino, ha testimoniato degli abusi subiti quand’era un giovane apprendista. Eric Guérin, oggi chef stellato: «Avevo 18 anni e facevo l’apprendista in un grande ristorante parigino. Mi dissero di cuocere dei funghi. E io nella pentola ci misi troppa acqua. Lo chef non sentì storie: mi appoggiò la mano a forza su una pentola bollente». Ha ancora il segno: «Imparai una volta per tutte come si cuociono i funghi».
«Da giovane ho preso calci nel sedere e ho pure ricevuto un carré d’agnello in testa. Ma non per questo sono rimasto scioccato» (lo chef Christian Etchebest).
Lo chef Massimo Oldani nel 1989 lavorò a Londra con lo chef Albert Roux. Con lui a imparare i segreti della cucina c’era lo scozzese Gordon Ramsey, che oggi è un tre stelle Michelin. A quei tempi non si sopportavano: «Cercavo di arraffare più padelle possibili, le rubavo per averne a disposizione un certo numero. Lui cercava di fare lo stesso, le nascondevamo ovunque, quasi ce le sfilavamo sotto gli occhi e a volte dalle parole si passava ai fatti. Quasi cazzotti».
Le cattiverie a beneficio di telecamera dei giudici di MasterChef. Carlo Cracco: «Il piatto fa cagare»; «Ci vuole un atto di fede, il profumo è quello della saponetta». Bruno Barbieri: «Sono le friselle più inquietanti della mia vita». Joe Bastianich, dopo aver assaggiato un boccone: «Mi ha bloccato la gola come una pallina di catrame. Devo andare all’ospedale adesso, se no moro».
Joe Bastianich, proprietario di ristoranti a New York, a chi gli chiede come ha fatto a diventare milionario: «Contando ogni centesimo. Sono uno spilorcio nato». La sua tirchieria lo spinge a usare i tovagliolini di carta da cocktail «perché gratis». «Quando il mio staff mangia, glieli faccio usare. Li porto anche a casa costringendo la mia famiglia ad usarli per cena. E se me ne avanzano, ci pulisco il parabrezza».
Gianfranco Vissani, famoso per essere uno dei cuochi più irascibili.
Il cuoco Fulvio Pierangelini, celebre cattivo carattere. Per arrabbiarsi gli basta che l’aiuto cuoco osi muovere la padella dove sta rosolando uno dei suoi sublimi petti di piccione: «Se mi muovi la padella il grasso prende un altro sapore».
Test dello chef Gualtiero Marchesi a chi vuole andare a lavorare da lui: «Gli metto in mano una padella vuota e gli ordino di accendere sotto il fuoco. C’è un rapporto preciso tra l’intensità della fiamma e lo spessore del tegame. La cucina è scienza, per l’arte si vedrà».
Massimo Bottura, chef e proprietario dell’Osteria Francescana, ristorante premiato con tre stelle Michelin a Modena, da bambino s’infilava sotto il tavolo della cucina per rubare i tortellini crudi preparati dalla nonna (la quale poi lo inseguiva col matterello).
Enrico VIII introdusse la pena di morte tramite bollitura per punire Richard Roose, un cuoco che aveva approfittato del suo ruolo per avvelenare 17 membri della famiglia del vescovo di Rochester. In quell’occasione fu approvata appositamente una legge che decretava che Roose doveva «essere bollito a morte». La legge restò in vigore per 16 anni.
Cibo preferito di Carlo Cracco, il cuoco stellato diventato una popstar da quando Sky gli ha affidato il ruolo di giudice a Masterchef: il salame mantovano.
Ai suoi bambini, quando avevano sei mesi, Carlo Cracco dava da mangiare il piccione e il salame: «E che problema c’è? È una cosa buona. Faccio assaggiare anche lo zenzero, la curcuma, il melograno, piccoli assaggi, mica quintalate. Certo, a volte fanno certe facce. Ma bisogna educare ad essere curiosi. In casa nostra è tradizione svezzare tutti al sesto mese con la carne di piccione. È carne rossa ma magra, la migliore per i bambini. La cosa più importante, in cucina, è annusare».
Carlo Cracco ha sperimentato locuste brasate al vino rosso e crema di riso con olio e coriandolo cosparsa di larve cotte per pochi minuti nel forno.
Lo chef danese René Redzepi, nel suo ristorante Noma a Copenaghen, ha inserito una portata con formiche vive nutrite con cioccolato.
Modo con cui un cuoco giapponese prepara una vipera: la appende a un chiodo per la gola, le taglia una vena sulla coda e fa colare il sangue, che va servito freddo, mescolato ad una sorta di vino rosso. Subito dopo scuoia l’animale e lo frigge a pezzi.
Qualche anno fa Coung Le Houng, 22 anni, chef di cucina vietnamita in un ristorante di Hai Phong specializzato in piatti afrodisiaci, afferrò dalla teca di vetro un serpente da mettere in padella ma quello gli infilò i denti avvelenati nel braccio sinistro. Il rettile, cucinato il giorno stesso con una salsetta fatta del suo sangue e servito a un tale che lo divorò con gusto.
Guillaume Tirrel cuoco di Carlo VI, che usava preparare pietanze a base di cigni e aironi.
Il terrigno gelato all’argilla dello chef peruviano Virgilio Martinez, versione colta e raffinata di una tradizione – quella di mangiare la propria terra – antichissima presso alcuni popoli in Centrafrica, Africa orientale (in Kenya le donne incinta mangiano calce bianca per assumere sali minerali) e in Oceania (l’argilla umida “ dulong” presso alcune popolazioni aborigene australiane). Esiste anche il boschivo distillato di terra della campagna modenese di Massimo Bottura o la salmastra “zuppa” di sassi marini di Gennaro Esposito, chef della Penisola Sorrentina.
Gualtiero Marchesi, rispondendo a una domanda su chi siano i clienti peggiori, citò Henri de Toulouse-Lautrec e disse: «Gli ignoranti. La cucina non è destinata agli incivili, ai rozzi e ai filistei».
Come reagisce quando sbaglia un piatto?
«Non l’ho mai sbagliato. Prima di presentarlo al pubblico c’è molta sperimentazione. Molte prove. Un piatto semmai può essere datato. A volte viene a noia farlo» (Gualtiero Marchesi a Antonio Gnoli).
In casa dello chef Gualtiero Marchesi ha sempre cucinato sua moglie Antonietta «che è bravissima».
Tra “I 50 migliori ristoranti del mondo” scelti dalla rivista Restaurant, per trovare la prima chef executive donna – Helena Rizzo - occorre arrivare al trentaseiesimo posto (Elena Arzak Espina, che si trova in ottova posizione, divide la cucina con suo padre, lo chef Juan Mari Arzak). Claudio Sadler: «Non c’è alcuna discriminazione: le donne sono in minoranza perché si tratta di un lavoro molto duro e sacrificante. Chi sceglie di fare questo mestiere, che sia uomo o donna, deve mettere in conto di avere poco tempo da dedicare alla famiglia». La chef stellata Iside De Cesare, del ristorante La Parolina, a Viterbo: «Il mio è un caso atipico perché nel ristorante, a dividere la cucina e l’impegno, siamo io e mio marito. In generale, se vogliamo aiutare le giovani donne a diventare chef di successo è necessario farle diventare “capo partita” nei tempi giusti, il che vuol formarle come “sous–chef” entro i trenta o trentacinque anni, che spesso è il momento in cui una donna decide di avere una famiglia e dei figli. Così avremo una nuova generazione al femminile di chef importanti».
Lo chef Davide Oldani nel 2010 ha detto: «Non ci sono donne in cucina perché non ce la fanno, è un mestiere troppo duro per loro». Nella sua squadra, ha spiegato sempre in quell’occasione, su 13 solo una è donna, perché se provano in cucina poi ineluttabilmente mollano, stritolate dai meccanismi della brigata. Carlo Cracco ha giustificato l’esclusione delle donne dalla sua cucina perché «creano scompiglio». Bruno Barbieri ha dichiarato che le donne non hanno la “verve“ degli uomini in cucina, ma hanno solo più senso estetico.
Uno studio americano che dice che le donne avendo un palato più sensibile e raffinato di quello degli uomini producono piatti «meno affascinanti».
Chi sfonda, come racconta la chef Gabrielle Hamilton nella sua autobiografia Burro, ossa e sangue, di solito è single, per lo più senza figli, o, al massimo, con marito che ha sposato la causa. Oppure, come ha detto la chef franco-californiana Dominique Crenn, due stelle Michelin con il suo Atelier Crenn e lesbica dichiarata come la Hamilton ( e come moltissime altre cuoche famose), incontra donne tipo lei, che credono nel genio rosa e mettono su, magari, ristoranti only women come ha fatto lei in una fase della sua vita a Jakarta.
Ferran Adrià, inventore della cucina molecolare: è lui ad aver portato l’azoto liquido in cucina, ad aver creato gli sferificatori, il gelato-polenta e le spume croccanti.
Piatto preferito da Ferran Adrià: gli spaghetti con le vongole.
Il compositore Bruno Mantovani ha messo in musica, tra le altre cose, anche un menù dello chef Ferran Adrià con pezzi intitolati Framboise wasabi o Ponge de sèsame.
Alain Ducasse ha indicato i suoi ingredienti per una cucina di spicco: 5% creatività; 30% tecnica; 65% materia prima.
Putin ha nel suo staff un assaggiatore personale. Il suo compito è quello di provare tutti gli alimenti preparati per il capo del Cremlino prima che se li ritrovi nel piatto.
Talleyrand, che a Napoleone promise: «Dammi un buono chef e ti garantisco un buon accordo».
Qualche indiscrezione trapelata dal Club des Chefs che riunisce i cuochi dei capi di Stato. Christian Garcia per il principe Alberto di Monaco ama cucinare soufflé di branzino su mousse di lattuga. Mark Flanagan ai reali inglesi propone piatti della cucina inglese: zuppe, selvaggina in inverno, sogliole di Dover e agnello per l’estate. Piatto speciale di Jerome Rigaud per Putin: la carne al tartufo. Specialità tipica di Bonn con Ulrich Kerz, che lavora per Angela Merkel: la Saverbraten, una zuppa di manzo cotta a lungo in salsa agrodolce. Fabrizio Boca e Massimo Sprega, gli chef del Quirinale, dicono che gli spaghetti al pomodoro vanno per la maggiore.
La pasta col pomodoro secondo Gianfranco Vissani: «La mia ricetta è basata sulla capacità di un buon pomodoro di impregnarsi dei diversi aromi. Il segreto sta nel non prolungare mai troppo la cottura né l’immersione degli aromi, che devono rimanere freschi. Si prepara così: tritate la cipolla in pezzi piccolissimi e fatela sudare nell’olio. Aggiungete i pomidoro pelati e un ”bouquet garni” preparato con due coste di sedano chiuse a barchetta e legate con un filo nel cui interno avrete posto altri odori a vostro gusto. Appena si alza il bollore togliete il ”bouquet garni” e mescolando con una frusta omogeneizzate la salsa che non deve essere passata. Mettete un pizzico di zucchero, aggiustate di sale, e fate bollire ancora per otto o dieci minuti. Non di più».
Il piatto preferito di Hillary Clinton: pappardelle al pecorino insaporite da timo in gran quantità. Glielo ha insegnato lo chef emiliano Marta Pulini, adorata da divi di Hollywood come Robert De Niro, Isabella Rossellini e Kevin Costner.
Lo chef Anthony Bourdain racconta che al Supper Club, ristorante di Manhattan, Madonna si portava da casa la maionese congelata per condire l’insalata.
Lo chef Lo Homaro Cantu intercala piatti reali con pietanze virtuali, prodotte cioè con una stampante Canon i520 inkjet da lui modificata: salse al posto degli inchiostri, su una carta fatta di germogli di soia. Nel suo ristorante di Chicago, il ”Moto”, arrivano clienti da ogni parte degli States per una cena che si aggira sui 250 dollari a testa, vini inclusi.
Il 22 maggio 1987, al ristorante Arcobaleno di Olivone, in Svizzera, lo chef Pierino Maestrì ricavò da un impasto di 700 chili un unico spaghetto lungo 93.220 metri. Poiché dall’impastatrice lo spaghetto usciva al ritmo di circa un metro al secondo, ci vollero 26 ore e 37 minuti di lavoro.
Per sedurre una donna Gianfranco Vissani cucinerebbe «un bel risotto al tartufo». Per sedurre lui invece basta poco: «Una pasta burro e cacio, il salame giusto e una bottiglia di Château Lafitte».
Secondo una classifica realizzata da ShsOnline basandosi sui dati di Forbes, lo chef più ricco del mondo è Alan Wong: origini giapponesi, tra i fondatori della cucina regionale hawaiiana e proprietario di alcuni ristoranti negli Stati Uniti, avrebbe un patrimonio personale di circa 1,1 miliardi di dollari. Alle sue spalle, l’inglese Jamie Oliver, con una fortuna di 235 milioni di dollari. Segue Gordon Ramsey, mattatore dell’edizione statunitense di MasterChef, del talent show Hell’s Kitchen e di diversi format tv legati al mondo della ristorazione: il pluristellato chef britannico vanta un conto corrente da 118 milioni di dollari.
Gordon Ramsay è lo chef più pagato della tv. Con 60 milioni di dollari incassati nel 2015, si piazza al 21mo posto della classifica delle 100 celebrità più pagate del mondo, stilata nel 2015 dalla rivista Forbes.
L’invenzione delle patatine fritte (1853) si deve al cuoco indio-americano George Crum. Questi era un apprezzato chef in un hotel di Saratoga Spring, nello stato di New York. Abituato a ricevere i complimenti di tutti, mal sopportava le continue critiche di Cornelius Vanderbilt, magnate delle ferrovie. Una volta Crum, esasperato da un piatto rimandatogli indietro tre volte perché a base di patate secondo Vanderbilt tagliate troppo grossolanamente, decise di affettare i tuberi in sfoglie sottilissime prima di friggerle nell’olio: solo a quel punto il cliente le divorò senza dir parola.
Si racconta che l’invenzione della zuppa pavese, minestra a base di pane, uovo e parmigiano, si debba a Francesco I. Nel 1525, poco prima di arrendersi alle truppe di Carlo V, il regnante francese riparò in un casolare a pochi chilometri da Pavia. Era l’ora del pranzo e sul fuoco bolliva un minestrone di verdure. Parendo alla cuoca poca cosa per un re, pensò di aggiungervi uovo, formaggio e pane. Dopo aver mangiato, Francesco I ringraziò gli ospiti dicendo: «Quella che mi avete offerto è una zuppa da re». Gli piacque così tanto che la fece mettere anche nel menu della corte di Francia.
Giovanni Bockenheym, cuoco di papa Martino V (1417), inventò la minestra di fagiani e capponi con pinoli, zenzero e cannella; Bartolomeo Scappi, cuoco di Pio V, il “brodo apostolorum” a base di prezzemolo, erbette, carni miste e spezie.
Bartolomeo Scappi riferisce il menu di un giorno qualsiasi del Conclave del 1549, che durò 71 giorni e elesse Papa Giulio III. Un pasto prevedeva di norma quattro servizi, due freddi (di credenza) e due caldi (di cucina), ognuno dei quali era composto da 8-10 portate: per i servizi freddi biscotti dolci, lingue di manzo cotte nel vino, prosciutto cotto con capperi, uvetta e spolverata di zucchero, pasticcio di capriolo ricoperto di zucchero, pepe, cannella, chiodi di garofano, noce moscata e fiori di finocchio. I servizi caldi erano generalmente di carne: anatra con prugne e visciole secche, tordi arrostiti con salsicce e arance, storni stufati con cervellate e cardi, pollastrelli ripieni con limone, zucchero, acqua di rose.
Il primo cuoco della storia potrebbe essere stato l’Homo erectus, che circa 1,9 milioni di anni fa avrebbe iniziato a cucinare i cibi che mangiava. Lo dimostra uno studio pubblicato sulla rivista dell’Accademia delle Scienze Americana (Pnas) e condotto da un gruppo di ricerca dell’universita’di Harvard. Gli studiosi, sotto la guida di Chris Organ, hanno confrontato alcune caratteristiche fisiche, come dimensione dei molari e massa corporea, e il Dna di primati non umani, uomini moderni e 14 ominidi fra i quali l’Homo erectus e l’uomo di Neanderthal. Scoprendo che in Homo erectus, uomo di Neanderthal e Homo Sapiens i molari erano piu’piccoli rispetto a quelli di altri primati e che questo cambiamento ha avuto inizio con l’Homo erectus, che e’stato quindi molto probabilmente il primo a consumare cibi cotti.
Nelle case borghesi di fine Ottocento dovevano esserci quattro o cinque cuochi di rango diverso, un maître nella sala da pranzo (ruolo di solito svolto dal maggiordomo), due cameriere e un sommelier per i banchetti con più ospiti.
Trent’anni fa, lo chef Gualtiero Marchesi inventò il risotto alla milanese coperto con una foglia d’oro a 18 carati. «L’appagamento è estetico, non alimentare. Non a caso la fotografia del riso e oro apparve in un museo di Chicago tra la riproduzione di un quadro di Giotto e uno di Bartolomeo Scappi [...] Il foglietto d’oro è ultrasottile, va adagiato sul risotto allo zafferano con mano fermissima, altrimenti si sbriciola. Un piatto bello». Altra sua invenzione, la «lasagna destrutturata»: «Besciamella senza farina: soltanto un po’di brodo, panna, tuorlo d’uovo. Dal piatto tiri su un velo, non un mattone».
Heinz Beck divenne cuoco per caso: voleva fare il pittore ma i genitori glielo impedirono, così ripiegò sulla scelta già efettuata dal fratello gemello. Il padre, però, fu orripilato dalla possibilità di avere due cuochi in famiglia: «A tavola si parlerebbe solo di cucina e questo non lo sopporterò mai». Il destino venne affidato a una moneta. Croce. Heinz fu mandato in un istituto alberghiero di Passau, vicino Monaco.
Ai banchetti organizzati da Martino Rossi, cuoco del Quattrocento al servizio del cardinale Ludovico Trevisan (detto «il cardinal Lucullo», per lo sfarzo di cui amava circondarsi): pavoni coperti delle loro stesse piume e in grado di gettare fuoco dal becco; torte da cui spiccavano il volo uccellini vivi; ecc.
«Dio fece il cibo, ma certo il diavolo fece i cuochi» (James Joyce)