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 2016  marzo 28 Lunedì calendario

SCHIAVE PER SETTE

La fatwa numero 64 dello Stato Islamico, che prescrive come abusare delle schiave. Nel testo, diviso in 15 punti, si legge: «Non è possibile per il padrone di una schiava avere rapporti sessuali con lei fino a che non ha avuto il ciclo ed è diventata pulita». Al secondo e al terzo punto viene spiegato come non sia permesso «far abortire una schiava che rimanga incinta e avere rapporti con lei fino a quando non abbia dato alla luce il bambino». E ancora: «Se il padrone possiede sia la figlia che la madre non può avere rapporti con entrambe ma solo con una di esse». Stesso discorso se le schiave sono sorelle. Inoltre padre e figlio non possono violentare la stessa donna. Infine la fatwa 64 informa che non è concesso avere «rapporti anali con le schiave» e «che bisogna essere compassionevoli con esse» (Serafini, Cds)

Audrey Alexander, ricercatrice del Program on Extremism della George Washington University: «È evidente che a Isis non interessa assolutamente se un uomo violenta una donna con il ciclo o meno o se abusa allo stesso tempo della madre e della figlia». Piuttosto a spaventare i leader del Califfato potrebbe essere «l’instabilità dei nuclei familiari» legata alla presenza non controllata delle schiave o la diffusione delle malattie veneree e dell’Hiv che il passaggio continuo delle donne tra gli uomini rende più frequente. Niente di più lontano dunque dall’umana pietà. «È piuttosto un tentativo, aberrante, di istituzionalizzare l’orrore» (ibidem).

Le circa duecentomila giovani sudocoreane strappate alle loro famiglie e costrette, a partire dagli anni Trenta fino alla conclusione della Seconda guerra mondiale, a diventare schiave sessuali dei soldati giapponesi, subendo stupri e sevizie per anni. Gran parte di queste disperate, una volta tornate a casa, dovettero anche affrontare l’onta e l’umiliazione di una società conservatrice. Oggi in Corea del Sud ne sopravvivono soltanto 46, tutte ultraottantenni. Nei giorni scorsi a Seul, in una conferenza stampa congiunta tra i ministri degli Esteri di Giappone e Corea del Sud, il governo nipponico ha espresso «profonde scuse» per le schiave del sesso sudcoreane e ha anche promesso un miliardo di yen (7,6 milioni di euro) in risarcimenti che andranno in un fondo gestito dall’esecutivo sudcoreano (e non alle dirette interessate). (Salom, Cds).

Il primo carico di schiavi neri arrivò a Jamestown nel 1619; nel 1690 ce n’erano già 20mila. Si rivelarono perfetti per lavorare nelle piantagioni del meridione: nel diciottesimo l’America ne accoglieva a centinaia di migliaia. Alla vigilia della guerra civile, nel sud degli Stati Uniti d’America c’erano circa 4 milioni di schiavi, impiegati nei campi di una ristretto numero di proprietari (il 6 per cento della popolazione bianca).

La vita degli schiavi neri nelle piantagioni: a partire dai nove anni d’età, tutti andavano a lavorare alle prime luci del giorno. Il cibo era cucinato direttamente sul campo da schiavi assegnati a siffatto compito. Il pasto consisteva in mais macinato e bollito, senza nient’altro. Si lavorava tutta la settimana esclusa la domenica e un paio di giorni intorno Natale.

Quando la Gran Bretagna e gli Stati Uniti decisero di abolire il commercio degli schiavi, già nove milioni di persone erano state deportate dall’Africa al Nuovo mondo, e cinque milioni di esse erano morte alla partenza, sulle navi e nel corso del primo anno di lavoro in America. Nel solo periodo che va dal 1700 al 1808, circa mezzo milione morì nella marcia verso le navi, altri quattrocentomila a bordo e duecentocinquantamila poco dopo l’arrivo a destinazione.

Nel 1807, dopo una battaglia politica durata quasi un trentennio, il Parlamento di Westminster votò la legge che aboliva la tratta degli schiavi, lo Slave Trade Act.

L’University College di Londra ha scoperto che tanti personaggi inglesi importanti sono discendenti di schiavisti: David Cameron, Graham Greene, George Orwell eccetera. Gli studiosi hanno analizzato i nomi di tutti quelli che, dopo l’abolizione dello schiavismo, ricevettero, come previsto dalla riforma, un risarcimento dallo Stato e hanno scoperto, per esempio, che in cambio di 2.508 schiavi disseminati in nove piantagioni, John Gladstone, padre del quattro volte premier William Gladstone, ottenne 106.769 sterline. Invece James Duff, lontano cugino di David Cameron, deputato e ufficiale dell’esercito, nelle grandi piantagioni di zucchero della Giamaica contava 202 schiavi, liberi per 4.101 sterline.

Problemi di matematica dati a bambini di New York: «In una nave vi sono 3.799 schiavi, un giorno gli schiavi ne prendono il controllo ma 1.897 muoiono. Quanti schiavi sono ancora vivi?» e «Uno schiavo viene frustato cinque volte al giorno. Quante frustate riceve in un mese (31 giorni)? Un altro schiavo viene frustato nove volte al giorno, quante frustate riceve in un mese? Quante volte i due schiavi vengono frustati complessivamente in un mese?». Aperta un’indagine, insegnante sospesa.

L’ultimo Paese ad abolire ufficialmente la schiavitù è stato, nel 1980, la Mauritania.

Secondo la Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo e la Convenzione Onu per l’abolizione della schiavitù si definiscono schiavi «gli individui comprati e venduti, confinati in luoghi fisici, privi di libertà di movimento, costretti a lavorare, controllati con la violenza, trattati come proprietà».

Nel 2014 l’Ong australiana Walk Free Foundation, analizzando circa 167 paesi, ha calcolato che nel mondo sono quasi 36 milioni le persone vittime della schiavitù. Lo schiavo moderno è una persona cui vien tolta la libertà per essere sfruttata. Una definizione generica che raccoglie diversi e a volte distanti tipi di abuso: dai matrimoni forzati alla tratta di esseri umani, dal lavoro forzato alla servitù per debiti. Ad aggiudicarsi il primato di capitale mondiale della schiavitù è l’India con 14 milioni di persone senza libertà. In seconda posizione c’è la Cina con 3,24 milioni, seguita da Pakistan (2), Uzbekistan (1,2) e Russia (1,05). Prendendo in considerazione il numero delle persone schiavizzate in proporzione alla popolazione totale, la classifica cambia. In questo caso il primo posto va alla Mauritania dove si stima che il 4% della popolazione viva in stato di schiavitù, seguita dall’Uzbekistan con il 3,9%, Haiti (2,3), Qatar (1,3) e India (1,14). Secondo il rapporto, l’Italia è al 151° posto, dopo gli Stati Uniti e prima della Germania. Stando alle stime sono circa 11.400 le persone ridotte in stato di schiavitù, circa lo 0,019% della popolazione. Dei 167 paesi esaminati solo due, Islanda e Lussemburgo, hanno meno di cento persone che vivono situazioni di schiavitù.


Secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro, il giro d’affari intorno alla schiavitù si avvicina ai 150 miliardi di dollari ogni anno, una cifra pari al pil del Vietnam (dato del 2014).

In Mauritania la maggior parte degli schiavi si chiama Bilal. Bilal era lo schiavo di proprietà di Maometto che in seguito lo liberò e ne fece il primo muezzin.

In Mauritania circa trecentomila persone della capitale non hanno acqua corrente. All’approvvigionamento ci pensano gli schiavi con un somaro e due barili da circa 60 litri, riempiti con le mani in un pozzo.

In India, tra le varie forme di schiavitù, esiste quella riservata alle vedove. Come ricompensa per aver rinunciato alla propria indipendenza e autonomia di lavoro, ricevono due pasti al giorno e di solito vanno a vivere presso il padrone, spesso sistemandosi in una baracca per gli animali o in qualche altra costruzione annessa alla fattoria.


Secondo l’International Labour Office delle Nazioni Unite, sono oltre 300 milioni nel mondo i bambini che lavorano: 215 milioni svolgono compiti che possono danneggiare la loro salute, 115 milioni fanno lavori pericolosi per la loro vita. In Kenya ci sono 200 mila bambini domestici, 550 mila in Brasile, 250 mila in Pakistan. Almeno 100 mila bambini lavorano nelle piantagioni di cacao del Ghana e della Costa d’Avorio. Di questi, 15 mila sono veri schiavi, venduti dai genitori per meno di 30 dollari. In Cina i bambini vengono venduti per 20 dollari alle grandi fabbriche. Decine di migliaia i bambini soldato in almeno 13 paesi del mondo.

Dato dell’Organizzazione mondiale del lavoro (Oil): nella sola Bangkok, in Thailandia, si stima che siano 10 milioni i bimbi dati in affitto dalle famiglie povere e costretti a mendicare.

In Bangladesh i piccoli schiavi son detti ”gli incatenati”, nella Repubblica Dominicana ”porta chiusa”, ad Haiti ”restavec” (dal francese ”rester avec”, ”vivere insieme”).

In India, nei dintorni di Sikavasi, circa 45 mila bambini fabbricano fiammiferi e fuochi d’artificio. Gli agenti locali hanno arruolato bambini dai tre anni e mezzo a 15, pagando un anticipo ai loro genitori e creando così un vincolo da debito.

Il Comitato Onu sui diritti dell’Infanzia denuncia gli abusi cui sono sottoposti i bambini nei territori di Iraq e Siria sotto il controllo del Califfato. Il rapporto denuncia la vendita dei bambini come schiavi, «esposti al mercato con i cartellini con il prezzo» (è stato osservato in passato che il prezzo più alto a Mosul è riservato a maschi e femmine di età compresa tra uno e nove anni) e «le violenze sessuali sistematiche» (in particolare la pratica della «muta’a», i matrimoni a tempo nell’ottica di costringere poi le ragazze alla prostituzione). A volte i minorenni vengono rapiti oppure i genitori sono costretti a lasciarli nelle mani dell’Isis, ma possono essere anche i familiari jihadisti a coinvolgerli nella violenza. Con le manine agili fabbricano le bombe, le stesse con cui poi si fanno saltare in aria. Spesso vengono mandati bambini disabili come kamikaze. L’Onu denuncia infine che i bambini vengono usati dall’Isis come scudi umani contro i bombardamenti della coalizione a guida americana.

Nelle città delle miniere d’oro in Amazzonia, le ragazzine ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi muoiono spesso nella totale indifferenza della gente. «In più di dieci occasioni, svegliandomi presto al mattino, ho trovato il cadavere di una ragazzina galleggiare sull’acqua vicino alla barca. Nessuno si curava di seppellirle. Si limitavano a gettarne i corpi perché i pesci se le mangiassero» (Antonia Pinto, cuoca e mezzana).


In Amazzonia i bordelli sono assai lucrosi. Una ragazza costata 150 dollari può essere venduta per sesso anche dieci volte a notte e rendere fino a 10mila dollari al mese. Le spese sono poche: qualche soldo per la polizia e un poco di cibo per la giovane schiava. Se la ragazza scappa o si ammala, è facile rimpiazzarla. Una ragazzina di 11 anni che rifiutò di fare sesso con un minatore fu decapitata. L’uomo mostrò poi la sua testa agli altri minatori che applaudivano in segno di approvazione.

Gli «schiavi» italiani che in Australia raccolgono cipolle, patate, pomodori o manghi per undici ore a notte (nel maggio del 2015 ne sono stati contati oltre 15.000). Arrivano in Australia con un visto temporaneo di «Vacanza Lavoro», hanno meno di 31 anni e, spesso, una laurea in tasca. Alla partenza, molti di loro neppure immaginano di rischiare condizioni di aperto sfruttamento, con orari di lavoro estenuanti, paghe misere, ricatti, truffe.

Nel magazzino Amazon nella Lehigh Valley, in Pennsylvania, si scoprì che i dipendenti lavoravano con turni di dieci ore e pause di pochi minuti.

A Grossberen, nello stabilimento tedesco di Zalando (scarpe e abbigliamento), i lavoratori, che vengono dalla Polonia, sono costretti a ritmi produttivi massacranti. È stata data loro dell’acqua gratuita solo dopo l’intervento dei sindacati e un servizio televisivo.



Nella seconda metà del cinquecento in Sicilia vivevano 12 mila schiavi, pari all’1% della popolazione. Agli inizi dello stesso secolo il loro numero era di oltre 50 mila.

A Venezia Rousseau comprò, a metà con un amico, una ragazzina di dodici anni «bionda e dolce come un agnellino», ma poi non se la sentì di approfittarne. Rimbaud acquistò una donna abissina, snella e dalla pelle chiara, la trattò sempre con gentilezza e la fece studiare. Quando dovette partire la lasciò libera. Gerard de Nerval aveva apprezzato il mercato delle schiave perché dalle loro vesti blu drappeggiate s’intravedeva la perfezione dei corpi.


In Italia, alla fine del I secolo avanti Cristo, si stima vivessero 2 milioni di schiavi su una popolazione totale di 6 milioni. Durante l’epoca imperiale, tra il 50 a.C. e il 150 d.C. nei territori romani gli schiavi erano diventati 10 milioni su una popolazione di 50 milioni.

In epoca romana, gli schiavi evasi e poi catturati di nuovo erano marchiati a fuoco con una ”F” (fugitivus) sulla fronte.

Vedio Pollione gettò uno schiavo in pasto alle murene solo perché aveva tardato qualche secondo a rispondere.

Gli antichi romani castravano i giovani, specie gli schiavi, per ottenere dei «ninnoli d’amore».

Senofane di Colofone, esiliato a 25 anni, catturato dai pirati che lo vendettero come schiavo, venne riscattato dai pitagorici Parmenisco e Orestade, visse a Zancle, a Catania, a Malta, a Siracusa, ad Agrigento e a Lipari. Alla fine arrivò a Elea e fondò una scuola. Morì vecchio e povero, così povero che un giorno confessò di «non riuscire a mantenere nemmeno due schiavi».


Le matrone romane, invidiose dei capelli biondi delle schiave germaniche, approfittavano della loro sottomissione per raparle e tessere parrucche.

Per evitare che restassero incinta, alle schiave dell’antica Roma venivano infilati attraverso le grandi labbra degli anelli di metallo.

Nell’Egitto dei faraoni gli schiavi erano a piedi nudi, alle classi superiori era invece consentito il vezzo di elevarsi col sandalo rafforzato dalla “piattaforma”.

Il coleottero lomechusa si intrufola nei nidi delle formiche rosse e gli offre una sostanza inebriante secreta dal suo addome che a poco a poco le rende schiave.

La femmina di melanoceto, un pesce abissale piuttosto brutto, emana un odore irresistibile per i maschi: questi si eccitano talmente tanto che la prendono a morsi e restano attaccati a lei. A questo punto però diventano suoi schiavi, perché la femmina secerne altre sostanze con cui li costringe a eiaculare a comando.

Le formiche «amazzoni», che rubano larve di altri nidi per farne degli schiavi.