varie, 28 marzo 2016
TELEGRAMMA PER SETTE
Secondo l’ultimo bilancio delle Poste gli italiani spediscono 10 milioni di telegrammi all’anno (27 mila al giorno, inclusi domeniche e festivi) arrivando a sborsare 28 milioni di euro. Sette messaggi su 10 sono personali, inviati cioè da un privato all’altro. Per porgere le condoglianze e non solo: alcuni amano esprimere così gli auguri a una coppia che si sta per sposare e i complimenti per la laurea. Esistono formule augurali prestampate che si possono modificare. Ma i dispacci restano anche una comunicazione ufficiale. I provveditorati usano il telegramma per convocare gli insegnanti per le supplenze e notificare una bocciatura. Nei tribunali servono per confermare le date delle udienze (Castagneri, Sta)
Il nome deriva dal fatto che si trasmettono via telegrafo (ibidem).
In Italia i telegrammi vengono raccolti per lo più via telefono al numero 186 (nel 59% dei casi), oppure direttamente dall’ufficio postale (il 24%). C’è anche un 17% di telegrammi compilati online.
Per un telegramma di cento parole si spendono 10 euro.
Il primo dispaccio della storia è datato 24 maggio 1844. C’era scritta una citazione biblica dal libro dei Numeri: «What hath God wrought!», «Cosa Dio ha creato!». Firmato: Samuel Morse, l’inventore del telegrafo, che lo inviò da Washington a Baltimora (ibidem)
Il 31 gennaio 2006, Western Union, la compagnia americana di comunicazioni che per prima, da fine Ottocento, sfruttò la tecnologia nascente della telegrafia, ha interrotto il servizio telegrammi. Anche l’India, dove il governo aveva sempre privilegiato questo strumento di comunicazione, nel 2013 ha fatto la stessa scelta. In Australia i telegrammi non esistono più dal 2011 (ibidem)
I tanti indiani che nel West si arrampicavano sui pali per tagliare i «fili che parlano», annullando un’arma formidabile dei visi pallidi.
In India gli inglesi avevano portato il telegrafo nel 1851. Sei anni dopo, sarebbe stato decisivo per sopire la prima grande rivolta contro i colonizzatori.
Nel 2013 la decisione di abolire i telegrammi in India scatenò un attacco di nostalgia collettiva, con tanto di ressa e corsa all’ultimo telegramma. Messaggi d’amore da incorniciare per fidanzati e fidanzate e note ricordo, per certificare «io c’ero» e partecipare così alla fine di un’epoca. Ai 75 sportelli rimasti in attività nel Paese si accalcarono centinaia di persone e, proprio nell’ultimo giorno di telegrammi, agli impiegati toccarono gli straordinari. Partì anche l’hashtag su Twitter: #lasttelegram.
I napoletani chiamavano il presidente Giuseppe Saragat «Peppino o’ telegramma»: ne spediva in quantità industriale, ogni occasione era buona. La lettura dei telegrammi di Saragat occupava metà del tempo dei giornali radio dell’epoca.
Bruno Gambarotta su Sta: «E’ esistita la telegram addiction, la dipendenza da telegrammi; ce l’aveva il grande Cesare Zavattini. A casa sua, a Roma, si riunivano i soci della Cooperativa Scrittori; fungevo da segretario e venivo via a notte fonda con una pila di telegrammi da spedire la mattina dopo. All’alba l’insonne Cesare mi telefonava per le ultime modifiche da apportare ai testi. Aveva avuto una reazione stizzita quando sostenni la tesi che il più bel racconto lungo del Novecento italiano per me era Il taglio del bosco di Carlo Cassola. Motivò la sua avversione per lo scrittore maremmano spiegando che una volta, non potendo recarsi a un convegno sul cinema e la letteratura, aveva inviato un telegramma nel quale esponeva le sue idee. Cassola, presidente di quella tornata, l’aveva aperta dicendo: “Abbiamo ricevuto un telegramma di Zavattini ma, siccome è troppo lungo, invece di leggerlo lo alleghiamo agli atti del convegno”».
Lincoln, constatata l’incapacità del generale George McClellan, lo licenziò con questo telegramma: «Caro generale, visto che lei non adopera l’esercito che le ho dato, potrebbe restituirmelo?».
Quando Anna Magnani vinse l’Oscar, l’anglista Masolino d’Amico, all’epoca liceale, le mandò un telegramma che si concludeva con la frase: «Abbasso le bone». La Magnani ringraziò con un altro telegramma: «Ma alla vostra età ci vogliono anche le bone».
«Respingo tua lettera perché formalistica ostinatamente chiusa intelligenza fatti et carente humour stop minaccia finale contraria regole leale litigio tra amici stop puoi fare di meglio se scendi da cavallo» (telegramma di Einaudi a Calvino, 1° dicembre 1970).
D’Annunzio conservava le copie dei telegrammi che scriveva.
«L’attempato divo cinematografico Cary Grant ricevette un giorno un telegramma da un giornalista ansioso di scoprirne l’età. “Quante stagioni Cary?”, chiedeva il telegramma. Eludendo la domanda, Grant rispose con un altro telegramma: ”Stagioni quattro. Non sapevi?”» (Chris Patten).
Durante il colloquio con una studentessa, Einstein ricevette il telegramma coi risultati dell’osservazione dell’eclisse di Sole del 1919, che confermavano la teoria della relatività generale. Alla domanda della ragazza su come avrebbe reagito se i risultati fossero stati negativi, rispose: «Mi sarebbe dispiaciuto per il buon Dio, ma la teoria è corretta».
Premura di Nietzsche di non arrivare mai in vacanza a Sils, se prima non aveva ricevuto un telegramma che lo assicurava che la neve si era completamente sciolta.
«Madre morta. Funerali domani. Distinti saluti». Con il testo di questo telegramma si apre Lo straniero di Albert Camus.
Quando nel 1906 Roald Amundsen trovò finalmente il "passaggio a nord-ovest" ne diede notizia con un telegramma dall’Alaska.
Bruce Chatwin mandò le sue dimissioni dal giornale per cui aveva fino ad allora lavorato con un telegramma il cui testo diceva: «Sono in Patagonia».
L’inviato del quotidiano romano ”Fanfulla” che telegrafò alla redazione: «Cassa metallica in cui salma Mazzini era rinchiusa male stagnata lasciò a lungo dilamazioni liquido acidulato preparazione Gorini. Così operazione male riuscita, cadavere deformato, dicesi non sarà esposto camera ardente».
L´entrata degli Stati Uniti nelle due guerre mondiali è stata segnata da due telegrammi. Il primo, che gli storici chiamano "telegramma Zimmermann" dal nome del mittente, fu intercettato dagli inglesi: il ministro degli esteri tedesco proponeva ai messicani un´alleanza antiamericana. Gli Usa si convinsero a entrare in guerra anche per quello. Non lo stesso esito arrise invece al telegramma con cui nel 1941 l´ambasciatore americano in Giappone metteva in guardia sulla possibilità di un attacco contro Pearl Harbour: fu tragicamente ignorato.
Il messaggio più famoso che la storia italiana ricordi venne inviato per telegramma. Al generale Alfonso La Marmora, che gli aveva intimato di fermare l’avanzata verso Trento contro gli austriaci durante la Terza guerra d’indipendenza, Giuseppe Garibaldi scrisse una parola soltanto: «Obbedisco». Era il 1866.
Nel 1866 la telegrafia si era diffusa in Italia già da qualche anno. Da Nord a Sud si contavano 4 mila uffici postali. E i telegrammi erano come gli sms di oggi. Tra l’estate del 1910 e quella del 1911 ne vennero spediti oltre 92 milioni. Tre a testa. Li preferivano alle lettere anche i sovrani. Cent’anni fa, con un dispaccio, Vittorio Emanuele II espresse al re d’Inghilterra, allo zar di Russia e al presidente della Repubblica francese la sua disponibilità a entrare in guerra al loro fianco.
A Milano i telegrammi in partenza nel 1950 erano stati 525.937 contro 1.798.334 del 1960, mentre a Torino erano stati 288.669 nel 1950 contro i 479.749 del 1960.
Il telegramma firmato da Benito Mussolini più famoso che si ricordi è del 1941 e non ha nulla a che vedere con gli affari di Stato. Nel testo, inviato agli uffici pubblici, l’allora primo ministro imponeva agli impiegati massima puntualità: «È ormai diventato un sistema – scrive – avviarsi all’ufficio alle 8, il che significa essere al tavolo di lavoro non prima delle 8 et 15. Esigo che questa deplorevole abitudine abbia immediatamente a cessare».
Scambio di telegrammi tra Mussolini e Balbo appena giunti in Libia: «Caro Balbo, ho notizia che intendi monumentare De Bono sulle dune. Non lo fare. Si presterebbe al ridicolo». Mussolini.
«Caro Duce. Ormai il bozzetto è pronto, ma prima di collocare il monumento sulle dune verrò a parlarti. Tuttavia, quanto alla serietà della cosa, penso possa passare. D’altra parte, qui a Tripoli abbiamo già la galleria De Bono, il lungomare De Bono, la via De Bono, il castel De Bono, la scuola De Bono, e perfino il nome De Bono a caratteri cubitali, sulla volta dell’orribile teatro Miramare. Monumentando il camerata si poterbbero sostituire gli altri nomi». Italo Balbo.
«Caro Balbo. Il monumentabile De Bono non vuol saperne di essere monumentato. Dice che, fra l’altro, porta iella». Mussolini.
«Caro Duce. Proprio ieri ho rescisso il contratto con lo scultore. Ci rimarrà il bozzetto per l’avvenire...Saluti fascisti». Italo Balbo.
Tra i telegrammi storici in Italia: Umberto I che si congratula con il generale Bava Beccaris per la sua strage a Milano; il generale Cavallini che preannuncia a Mussolini l´incarico di governo, durante la Marcia su Roma («Sua Maestà il Re mi incarica di pregarla di recarsi a Roma desiderando conferire con Lei. Ossequi. Generale Cittadini»).
Già da decenni non esistono più telegrafisti che battono il dito, seguendo il ritmo forsennato dei punti e delle linee inventati da Samuel Morse. E mentre la tecnologia aboliva l’alfabeto Morse, introduceva le novità comunicative del telex, e poi del fax e dell’e-mail.
La telegrafia è una branca delle radiocomunicazioni, e all’epoca della sua nascita, nel 1846, permise a messaggi che prima avrebbero richiesto settimane di viaggio di diventare questione di pochi minuti di battitura: una leva, poggiata su un fulcro e mantenuta in posizione da un perno, chiude il circuito su un apposito contatto producendo così una nota tanto lunga quanto il tempo di pressione.
Nel Ventesimo secolo il telegrafo è stato sostituito da altri strumenti. In un primo momento, i nuovi macchinari sfruttavano proprio la tecnologia telegrafica in modo più intuitivo – è il caso delle telescriventi degli anni Venti, che coniugavano il funzionamento del telegrafo all’immediatezza della macchina da scrivere – o se ne differenziavano in modo netti: il telefono, il fax e infine internet. Così il telegrafo ha cominciato a essere desueto già nella prima metà del Novecento, per essere definitivamente abbandonato a fine secolo.
Il telegrafista Giovanni cantato da Enzo Iannacci: «Per le sue mani passò mondo, mondo che lo rese urgente, /crittografico, rapido, cifrato, / passò prezzo caffè passò matrimonio Edoardo ottavo oggi duca di Windsor, /passarono cavallette in Cina»: finché batte l´annuncio del matrimonio della sua fidanzata, con un altro.
Quest’anno il presidente Sergio Mattarella ha usato un telegramma per complimentarsi con Emma Morano, la signora di Verbania che ha compiuto 116 anni: «Un eccezionale traguardo mai raggiunto prima da un italiano».
Qualche anno fa, gli auguri di compleanno inviati via telegrafo da Krusciov a Gagarin sono stati battuti da Sotheby’s per 68.500 dollari.