Filippo Maria Ricci, La Gazzetta dello Sport 26/3/2016, 26 marzo 2016
L’ANIMA DI JOHAN, RIBELLE E CATALANA –
C’è un Barcellona AC e un Barcellona DC. Nessuna blasfemia, una realtà che da calcistica si trasforma in sociologica, da sportiva trascende a politica. Perché da quando Johan Cruijff è sbarcato a Barcellona nel 1973 per il Barça la vita è cambiata. Radicalmente. In meglio.
LA DECISIONE Lo dicono i numeri, i fatti, le parole, il corso della vita di una società che voleva essere Més que un club ma che agli inizi degli anni 70 era avvizzita sportivamente e politicamente, amareggiata e maltrattata dal franchismo e frenata dal vittimismo. «Il presidente dell’Ajax mi aveva venduto al Madrid – ha raccontato Cruijff – lo consideravo ingiusto e gli dissi che decidevo io dove andare. E scelsi il Barcellona. Perché c’era Rinus Michels, perché era Més que un club e perché visto che in Olanda c’era polemica sul fatto che andassi a giocare in un Paese fascista mi piaceva l’idea di andare in Catalogna».
LA mutaZIONE Quando Johan debutta in Liga, a Granada nell’ottobre del 1973, il Barça è quartultimo e già fuori dalla Uefa. Il «Flaco» cambia mentalità e gioco della squadra che inizia una marcia trionfale che passando per uno storico 5-0 al Bernabeu si chiude con la conquista del campionato dopo 14 anni. Sarà l’unica con Johan, però i fruttuosi semi del magico vivaio olandese sono piantati e daranno grandi frutti nelle altre due tappe della lunga storia tra Cruijff e il Barça: quella da allenatore e quella da consigliere del presidente Laporta.
LA CHIAVE«Il Barça era schiavo di un complesso d’inferiorità autoimposto, soffrivano di “madridite” – ricordava Cruijff –. Avevano sempre questa idea di essere vittime di qualcuno o qualcosa, però io non vedevo vittime. E gli dicevo: “Pensiamo a noi stessi, e che gli altri facciano ciò che vogliono perché anche noi sappiamo cosa vogliamo”». Un leader che in Catalogna aspettavano da tempo.
LA POLITICASempre nell’ottobre del 1973 il regime franchista arresta in una chiesa i 113 membri dell’Assemblea Catalana. Un gesto che infiamma la città. Cruijff manda ai prigionieri politici una sua foto firmata con questo messaggio: «Ai tifosi del Barça che non possono venire al Camp Nou. Sperando che possano vedere presto i trionfi del club». E quando pochi mesi dopo nasce il suo terzo figlio decide di chiamarlo Jordi, come il santo patrono della Catalogna. Solo che il franchismo ha proibito i nomi catalani: Johan s’impunta, va in Olanda, lo registra lì e quando torna gli spagnoli non possono dirgli nulla. I catalani ne fanno un re: «Dicevano che ero polemico. No, lottavo contro le ingiustizie, è diverso».
I PELOTEROS Nel 1988 Johan viene chiamato sulla panchina di un Barça di nuovo depresso e poco vincente e punta sul gioco, crea il Dream Team sulle basi di quanto appreso e praticato negli anni 70. Il possesso, il pressing, i «peloteros», quelli che danno del tu alla palla. I catalani vincono 4 Liga di fila e soprattutto la prima Champions della loro storia, nel 1992 a Wembley contro la Samp. Fino al 1990 il Barça in 91 anni aveva vinto 10 Liga e nessuna Coppa Campioni, da allora sono arrivati 13 campionati e 5 Champions. Tutti successi con un marchio di fabbrica evidente, quello del «Flaco».
IL CONSIGLIERE Quando Johan nel 1996 molla per le continue polemiche col presidente Nuñez lascia una squadra di futuri allenatori, perché il «Flaco» è un maestro vero, unico, innovatore. Vuole vincere e vuole giocare bene. Ed è per questo che quando Laporta diventa presidente nel 2003 lo sceglie come guru: l’olandese approva la sua scelta di affidare la squadra a Rijkaard e poi dà l’imprimatur alla scommessa Guardiola. «Non avrai i coglioni di farlo», dice Pep a Laporta che gli offre la panchina della prima squadra. Joan ce li ha perché alle sue spalle ha l’appoggio morale, spirituale e sportivo di Johan. Guardiola, lanciato e coltivato da Cruijff, ha chiuso il cerchio aperto nel 1973. Nei 74 anni del Barça AC il club aveva vinto 28 trofei. Nei 41 successivi ne ha conquistati 55.