Alessandra Bocci, La Gazzetta dello Sport 26/3/2016, 26 marzo 2016
CRUIJFF, NELLA TERRA DEL MITO
Il De Meer non c’è più. Ha ceduto molto prima del suo re, ferito in una assurda notte di coppe europee, spranghe e rabbia, demolito alla fine dalla furia del tempo che cambia. Il De Meer è morto vent’anni prima di Johan Cruijff. Al posto dello stadio c’è un quartiere di mattoni e biciclette, piante e acqua. Una mezza sfera indica il centro del campo scomparso. Lì accanto qualche narciso giallo brilla sotto la pioggia, omaggio a Cruijff, il signore dell’Ajax, emigrato in Catalogna da tempo ma pur sempre prodotto della piccola Olanda. L’Olanda è come lui, terra di utopie coltivate con una certa arroganza. Il vecchio Johan calciatore finì la carriera al Feyenoord per dispetto, ma i cittadini di Amsterdam non ci badano. Johan è un loro prodotto. Figlio della Amsterdam del secondo dopoguerra, di un fruttivendolo e di una donna che dopo la morte del marito si rimboccò le maniche e andò a far le pulizie all’Ajax. Johan ha vinto per loro. Tutto il resto è relativo.
AKKERSTRAAT L’uomo che cadde sulla terra del calcio per cambiarla atterrò inizialmente in un ospedale di Amsterdam e poi in Akkerstraat, chiamato quartiere Betondorp in onore del moderno materiale, il cemento, usato per le case. Betondorp era un’intuizione degli architetti della scuola di Amsterdam: edifici essenziali, solidità. Non erano molto solide le gambe del giovane Johan, che sui muri di queste vie disegna con il fratello Heini due porte e dà il via a interminabili sfide. Ma la vita è cambiamento, il padre muore, la madre si trasferisce a pochi blocchi di distanza, ancora vicina al De Meer. Johan gioca a pallone con i bimbi dell’Ajax e conosce ogni angolo del vecchio stadio. Il De Meer è la sua seconda casa, la certezza di un futuro che arriverà e sarà migliore. L’approdo olandese del vecchio Johan è invece Vondelpark, un quartiere elegante e molto diverso dalla concretezza della casa d’infanzia. Un negozio, qualche stanza sul retro, un giardinetto. Il giorno dopo la sua morte, il marciapiede davanti alla casa è inondato di fiori. Tulipani di tutti i colori, giacinti, piante con decorazioni pasquali. Fogli con disegni infantili, maglie e sciarpe. Pochi lumini e candele, perché piove e perché forse l’Olanda si esprime meglio con un fiore. Le mamme arrivate in bicicletta con bambini inevitabilmente magri e biondi si mischiano a vecchi ultrà dell’Ajax con le braccia tatuate, ma tutto resta molto intimo. Non c’è folla e non ci sono telecamere, l’esibizionismo funebre è una modalità non prevista dallo spirito olandese. Quando un ragazzone parcheggia in modo poco educato la sua Porsche sul marciapiede di pietra grigia e scende con due rose, una bianca e una rossa, come la maglia dell’Ajax, gli abitanti del quartiere si scambiano sorrisetti eloquenti. Da dovunque provenga, fosse anche tre strade più in là, questo è uno straniero.
OMAGGI Kalverstraat è un’altra storia. Turisti in quantità esorbitante, negozi di ogni tipo, cassonetti strapieni a ogni angolo. Il museo di Amsterdam è un luogo a parte nell’area turistica e commerciale intesa nel senso più estremo. C’è una galleria d’arte in mezzo alla strada, e non è così frequente. Vicino alla Guardia Civica dipinta da Fans Badens nel Seicento c’è la famosa foto dei Fab Four dell’Ajax in formato gigante: Nuninga, Swart, Keizer e il giovane Cruijff ritratti dal fotografo Paul Huf nel 1967. «Fa parte del patrimonio del museo, ma l’abbiamo appena spostata in questa galleria – racconta un inserviente –. Ovviamente per onorare Cruijff». Accanto al fotone c’è il registro di condoglianze da firmare. La fila è lunga però non oceanica, turisti ma soprattutto olandesi con figli e sacchetti dello shopping al seguito. Molti impiegano interminabili minuti per comporre la loro ode funebre e quelli in coda educatamente si spazientiscono. Una bambina di sei anni dice alla mamma: «Voglio scriverci: Johan Cruijff, il più grande di sempre». La madre ride. «Cosa ne sai di Cruijff?». La sorella minuscola tenta di arrampicarsi sulla sedia e lasciare a sua volta il segno, ma viene tirata via dalla mamma, che consegna lo spazio a altri fan.
PRESENZE Johan è ovunque e in nessun luogo. È nelle bandiere a mezz’asta dei pub vicini al De Meer, nei discorsi di Van Praag, ex presidente Ajax e presidente della federcalcio olandese, che prima di andare all’ArenA per Olanda-Francia passa da Akkerstraat a lasciare il suo ricordo nel luogo più vicino al Cruijff cittadino di Amsterdam. È negli interminabili salotti televisivi e nel cordoglio via web di quelli che vorrebbero dedicargli lo stadio, con Van der Sar, ex portiere e attuale dirigente, che si mantiene sul vago: «Vediamo, ci sono tante opzioni». Cruijff è negli occhi dei nostalgici di un calcio che non esiste più e nei ricordi di chi lo vede ancora bambino, con quelle gambe secche e l’ambizione smisurata, a vagare per Betondorp con un pallone al piede. Cruijff è un mito ingombrante per una piccola nazione che ha insegnato tanto nel calcio e in confronto non ha vinto quasi nulla. Magnifici perdenti lusingati dai successi sfiorati al Mondiale dai pratici Van Marwijk e Van Gaal, così poco vicini al pensiero del Vate del calcio, che nelle sue critiche non li ha mai risparmiati. Ma ora non si può parlare meno che benissimo di un’icona venerata nel mondo intero. «Aveva detto che stava meglio, eppure quando ho letto il suo articolo su Psv-Ajax mi sono preoccupato. Era troppo dolce, lui aveva abituato tutti alle lezioni dure», dice David Endt, storico ex team manager dell’Ajax. Forse era il messaggio di uno che vedeva arrivare la fine. E il De Meer, così generoso con lui, un po’ più vicino di prima, insieme ai fiori e alle frasi d’amore.