Luc Bianchin, La Gazzetta dello Sport 26/3/2016, 26 marzo 2016
LABORATORIO DI FRANCESCO: «PENSA VERTICALE
OSA IL DRIBBLING, ATTACCA LA PORTA» –
Eusebio Di Francesco nasce con un movimento da grande attaccante. Settembre 1969, papà Arnaldo e mamma Silvana si accordano per il nome: sarà Luca, quattro lettere, un grande classico. Arnaldo dopo il parto fa il galante, si allontana dalla moglie con una finta e taglia verso l’anagrafe. Al quel punto, colpo di stato: degrada Luca a secondo nome e promuove Eusebio, come la Pantera che il Benfica trattò con un falso nome da donna per ingannare lo Sporting. Quarantasei anni dopo, Eusebio Luca Di Francesco è cresciuto e come papà apprezza gli attaccanti di qualità. Chi ha un minuto guardi il 2-0 di Portogallo-Bulgaria al Mondiale ’66: il movimento decisivo è un taglio di Eusebio a centro area, concetto che negli allenamenti del Sassuolo è ripetuto fino al mal di testa. Quando la Gazzetta lo ha invitato in redazione per raccontare il suo calcio, Di Francesco è arrivato in anticipo, non si è mai seduto e ha parlato per più di due ore. Il risultato è un concentrato di idee dell’allenatore italiano del futuro, di un possibile erede di Mihajlovic e Paulo Sousa, dell’uomo che in sette mesi ha battuto Napoli, Juve, Inter e Milan con il piccolo Sassuolo. Tutto con un tocco di stile in più, con la capacità di portare idee nuove nel nostro calcio (offensive, addirittura) e sognare la rivoluzione copernicana: ispirarsi a Zeman e avere la settima difesa del campionato.
IL MIO STILE
Quali sono i principi base del suo gioco?
«Il mio calcio è palla in verticale, scarico, attacco alla profondità. Lo dico sempre ai ragazzi: due passaggi orizzontali sono già troppi. L’idea di base è la voglia di far crescere i giovani, di insegnare. Poi, il gioco senza palla è importante: il calcio è tempo e spazi. Quei movimenti nei miei allenamenti si ripetono continuamente, la ripetitività è fondamentale».
E il 4-3-3 è inevitabile?
«Se subentrassi a stagione in corso mi adatterei. Però se una squadra mi sceglie sa che cosa mi piace, quindi dovrà sposare il mio modo di giocare. Il 4-3-3 ha un solo problema: fai fatica ad andare a marcare il play avversario. Per il resto, è spettacolare. Io in allenamento non lavoro mai su un secondo sistema di gioco».
Fase difensiva: quando e quanto aggredisce il Sassuolo?
«Mi piace avere tanti giocatori in zona palla per recuperarla. Io gioco sempre sulla riconquista, noi andiamo a nozze se ci attaccano… Zeman aggrediva in ogni azione, io invece sono difranceschiano: va bene l’aggressione ma non sempre. A volte bisogna temporeggiare».
Eppure certe frasi di Di Francesco sembrano prese da Zeman.
«E’ l’allenatore che mi ha lasciato di più, era dieci anni avanti, con lui mi divertivo in campo e fuori: è l’unico allenatore che mi ha fatto ridere. La preparazione atletica però non l’ho presa da lui. Facevamo dieci volte i mille metri per quattro giorni di seguito, poi i sacchi sulle spalle, i gradoni… No, voglio troppo bene ai miei ragazzi».
Qual è il riferimento principale della difesa?
«La palla, come per Sarri. La difesa si sposta in base a dove si trova il pallone, non alla posizione degli avversari. Poi è fondamentale l’equilibrio: la squadra si muove compatta e, se un terzino attacca, l’altro resta vicino ai difensori centrali».
Se Di Francesco fosse l’allenatore del Real Madrid, giocherebbe allo stesso modo?
«Chiaro che cambierei. Farei salire entrambi i terzini perché in questo devo migliorare, devo rischiare di più con i terzini già alti».
E Balotelli, potrebbe giocare con Di Francesco?
(risata)
Mister, seriamente…
«Io voglio prima di tutto giocatori predisposti a sacrificio e lavoro di squadra. Se non lavorano tutti insieme, si fa fatica».
GLI ATTACCANTI NEL 4-3-3
Il Sassuolo è conosciuto soprattutto per Berardi e il suo tridente. Come funziona?
«Semplificando, un attaccante va sull’esterno, uno attacca il primo palo, uno attacca il secondo. Le tre punte devono muoversi in maniera coordinata e Berardi nell’interpretazione dei movimenti è il numero uno. E Sansone viene subito dopo. Io voglio attaccanti da uno contro uno, che saltano l’uomo e puntano la porta. Altrimenti, se tutti corrono sulla linea laterale, poi finisce il campo».
Che cosa deve fare Berardi da esterno destro?
«Primo: il controllo orientato, uno stop che prepara alla giocata successiva. Poi deve spostare la palla verso l’interno e puntare la porta. Non deve allargarsi, non mi piace che crossi, non deve dare ampiezza: a quello pensano il terzino e la mezzala».
Così però si rischia.
«Chi non risica, non rosica. Io ai giocatori dico: “se sbagliate, è colpa mia”. Non capisco gli insegnanti dei bambini che urlano “passa, non dribblare”. Così addio nuovi talenti».
Parliamo un po’ della punta centrale?
«Deve sempre attaccare la porta, correre in quella direzione. Non va bene quando taglia verso la bandierina: quello che corre verso la bandierina è il guardalinee, non l’attaccante. Poi voglio che i tre davanti vivano degli errori degli avversari. Contro la Juve, Alex Sandro ha sbagliato e Politano non è arrivato sul pallone. Poi mi ha detto: “Non me l’aspettavo”. Un attaccante non me lo deve mai dire».
Insomma, il falso 9 non le piace?
«Se è Totti, che mette la palla dove vuole, va bene. Anche Perotti in quel ruolo mi ha sorpreso: è uno degli esterni più bravi a puntare l’uomo ma può anche giocare in mezzo».
Il suo 9 ideale chi è?
«Zaza per me è straordinario. Quando era da noi gli chiedevo: “Simone, oggi hai corso in allenamento?”. E lui: “Sì”. Poi gli facevo vedere i dati del Centro Mapei, che le altre società non hanno, e gli dicevo: “Questo livello non basta. Se non migliori, panchina”. E migliorava, perché i dati non mentono, danno una motivazione speciale».
Altri nomi?
«Dzeko, che ora non sta giocando al massimo. Poi Bacca, che attacca sempre la porta e non va mai in giro per il campo. Lui e Berardi possono fare i titolari ovunque, però ora non dite che vado al Milan: mi hanno accostato anche alla Nazionale, fa piacere ma restano chiacchiere».
IL SASSUOLO E IL CAMPIONATO
In A qual è la partita più difficile da preparare?
«Le due con il Napoli sono tra le più difficili: ha qualità nel palleggio e verticalizza benissimo. Higuain è migliorato molto, perché Sarri è bravissimo e gli allenatori per fortuna contano ancora. Poi c’è Insigne, che a sinistra fa certe giocate… Si vede che ha avuto Zeman, un bel maestro».
Ancora Zeman. Come si prepara quella partita?
«Per snaturare loro devi snaturare te stesso, e io non mi snaturo: preferisco parlare di noi, non degli avversari. Certo, devi sapere che il Napoli gioca più a sinistra ed entra in area senza palla a destra. Callejon in questo è un fenomeno».
Allora parliamo del Sassuolo: quanto è cresciuto Duncan?
«Si è adeguato ai ritmi e si vede. Ha doti straordinarie e una buona tecnica, però deve sempre andare in campo sapendo che cosa fare. Può migliorare i tempi: a volte forza la giocata. E di sicuro può segnare di più. Visto il gol al Milan? L’ha appoggiata…».
Quanto può diventare forte Pellegrini?
«Ha grandi margini, è molto interessante. E ha una gran qualità: la disponibilità. Così si fa strada».
Al posto di Magnanelli invece non farebbe comodo un giocatore più rapido?
«Magnanelli è la nostra anima. Se non è il giocatore più importante della squadra ci va vicino e ha sposato al 100% il nostro modo di giocare. Ha caratteristiche diverse da Sensi, che abbiamo preso per quel ruolo: ha meno visione, però è sempre tra i due giocatori che corrono di più. Fa minimo 12 chilometri a partita e in campo capisce quasi tutto. Per dare indicazioni non posso usare il megafono dello stadio, a volte mi basta guardare lui e tutto diventa chiaro».
Per ultimo, Berardi. Pare che voglia essere allenato da lei anche in futuro.
«E’ che Domenico mi vuole bene, non si vuole staccare. Ha un grande talento però a volte mi fa un po’ arrabbiare. Sembra uno dei miei figli…».