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 2016  marzo 27 Domenica calendario

I RIVOLUZIONARI DEL CALCIO

Non c’è bisogno di essere i più bravi e nemmeno i più belli, nonostante la famosa e consumata (e probabilmente inesatta) citazione di George Best: «Se non fossi stato così bello non avreste mai sentito parlare di Pelé». Non c’è bisogno di segnare migliaia di gol. Non c’è bisogno di vincere Palloni d’oro in quantità industriale, cosa impossibile fino all’avvento del premione unico Fifa-France Football. E magari non c’è bisogno di essere stravaganti come l’amatissimo e studiatissimo Gigi Meroni.
I rivoluzionari del calcio hanno lasciato segni indelebili, magari fastidiosi come i graffiti su un palazzo d’epoca. Hanno influenzato tifosi, dirigenti, hanno fatto arrabbiare tanta gente e gioire altra. Ci sono allenatori, come Brian Clough, che hanno ballato poco più di un’estate, ma intanto hanno portato a casa coppe Campioni e ispirato scrittori. Ci sono tecnici, come Rinus Michels, che hanno inventato un calcio diverso, ma sono stati surclassati dal primo solista (Cruijff, nel caso). C’è da dire che Michels si prese la sua rivincita bloccando l’arrivo del divino olandese sulla panchina oranje. I rivoluzionari sono geniali, creativi e litigiosi come le dive. La storia del calcio è la storia di uno smisurato corpo di ballo, o di un’orchestra. Ecco chi è andato fuori dal coro.
Isadora Duncan, ma anche Margot Fonteyn. Improvvisazione, intuizione e tecnica sopraffina. Capacità di immergersi nello spirito del tempo. Johan Cruijff è stato tutto questo e perciò lo amano ovunque. Anche se per la verità quell’Olanda e quell’Ajax erano squadre rivoluzionarie dalla testa ai piedi, figlie della libertaria Amsterdam degli anni 60. Ma hanno rivoluzionato in altro modo anche il sindacalista Gianni Rivera e il poetico George Best. Allora era più facile e alla fine remunerativo.
Titolo di un bel libro su Edoardo VIII d’Inghilterra e Wallis Simpson. Come Edoardo, Gigi Riva ha abdicato, e la sua Wallis era il mare. Era Cagliari, la vita a modo suo. Gigi Riva disse «no grazie» alla Juve senza pentirsene. Alla categoria rivoluzionari romantici si iscrive anche Socrates, il primo esempio universalmente noto di calciatore talentuoso, laureato e problematico. Più pratico poiché olandese ma pur sempre simbolo di anticonformismo Ruud Gullit, l’uomo che fece la fortuna del sacchismo. Come i suoi predecessori oranje, era stravagante quanto basta: un capellone che cantava suonava e vinceva il Pallone d’oro, oltre a interpretare il suo ruolo in modo tecnico e straordinariamente atletico. L’aspetto rasta a quel punto non sconvolgeva neppure Berlusconi.
Chi c’è sul campo di calcio che sia più solo del libero? Il portiere forse. Ma il portiere sta fra i pali che danno punti di riferimento, mentre il libero è uomo di frontiera che vaga nella terra di nessuno. Armando Picchi fu il maestro: il ruolo sembrava fatto su misura per lui, che lo sublimò. Al contrario di Franz Beckenbauer, che voleva di più: testa alta, rinvii eleganti. Picchi ha studiato una parte nuova, Beckenbauer l’ha stravolta. E ha aggiunto altri optional, l’eroismo del braccio fasciato (a Città del Messico contro l’Italia), il trasloco negli Stati Uniti quando l’America era veramente un altro mondo per il calcio. Beckenbauer ha rivisitato i tempi e i modi della difesa.
Certo, c’erano stati Cruijff e Best. Soprattutto Cruijff, che cambiò anche il suo cognome (da Cruijff a Cruyff) per renderlo più internazionale. Ma nessuno nel calcio ha eretto industrie su se stesso prima di David Beckham. Sapeva soltanto crossare, dicono i soliti sapienti del pallone, ma ha segnato un’epoca, ha di fatto sdoganato la Mls americana che adesso attira tanti campioni e si è tolto lo sfizio di battere qualche record. Soprattutto ha contrastato il padre padrone Alex Ferguson prima di ogni altro: se non è rivoluzione questa... Becks ha compiuto il viaggio da calciatore a pop star. Definitivamente.
Ma come si diceva non serve essere belli e neppure vincere chissà che cosa per segnare la storia del calcio. A livello mediatico pochi possono reggere il passo di Eric Cantona, giocatore sopraffino, rissoso e borioso, passato al cinema con facilità. Il francese Eric è stato il primo a picchiare un tifoso in diretta, il primo a portare sul campo le arti marziali care a Zlatan Ibrahimovic. Il quale, a prescindere dal plurimilionario destino, ha già segnato a sufficienza la storia di parecchi grandi club del continente trasferendo le sue valigie qua e là senza mai perderne una. Calciatore del nuovo tipo, ribelle e infedele per definizione, Zlatan ha calpestato tutte le bandiere e anche questa è una rivoluzione. In più ha portato in giro per l’Europa i suoi cento chili piazzati su piedi sopraffini: un attaccante che non è un nove e nemmeno un falso nove, e dice «se non vinco la Champions League sono bravo lo stesso». Suona come certe sentenze di Best, o del divino Johan, appunto.