Paola Zanca, il Fatto Quotidiano 26/3/2016, 26 marzo 2016
«CON ME O CONTRO DI ME». ECCO IL METODO CALTAGIRONE
Per ora, si deve accontentare di un desolato viale a Ponte di Nona, periferia est della Capitale, intitolato al fondatore della dinastia. Ma all’ottavo re di Roma non serve cementare fama e potere, non più di quello che ha già fatto con le centinaia di migliaia di metri cubi con cui ha costruito la città. No, a Francesco Gaetano Caltagirone, basta alzare un sopracciglio per fare e disfare le sorti della Capitale. Impossibilitato a comunicare all’Urbe appunti e disappunti, vent’anni fa si è comprato Il Messaggero, 300 mila copie vendute (all’epoca) e certezza di moral suasion perenne sui temporanei occupanti del Campidoglio. Racconta che quando lo ha comprato, correva l’anno 1996, lo chiamavano tutti: “Volevano che nominassi direttore Maurizio Costanzo, ma secondo voi io mi sono comprato il giornale per far decidere loro?”. Così, fresco di ingresso nel salotto buono dell’editoria, Francesco Gaetano Caltagirone aveva chiarito subito alla politica chi è che comandava: lui.
La regola, nella weltanschauung del palazzinaro, è ancora in vigore. Appena scesa nell’agone della politica romana, la candidata dei Cinque Stelle Virginia Raggi ha toccato il filo scoperto degli affari del re. Acea, la multiutility del Comune, di cui Caltagirone detiene il 16 per cento. La Raggi ha annunciato un cambio ai vertici, qualora vincesse, e subito Il Messaggero (seguito a ruota dal Pd) le ha sputato addosso veleno, accusandola di aver provocato il crollo del titolo in Borsa.
L’ingresso del costruttore nella gestione dei servizi della città risale all’epoca di Francesco Rutelli: è lui, nel 1999, a mettere sul mercato quote di Acea, di cui Caltagirone diventerà il maggiore azionista privato. I rapporti tra i due sono tuttora saldi e sereni, fatta eccezione per lo screzio sulla scelta del sindaco di offrire ospitalità nelle stazioni della metropolitana alla nuova free press Metro, subito tamponato con lo sbarco ai tornelli del concorrente Leggo, di proprietà dello stesso Caltagirone. A tenere, tra gli altri, il filo rosso tra i due è Linda Lanzillotta, assessore al Bilancio nella giunta Rutelli, che resterà strenua alleata del progetto di privatizzazione di Acea anche negli anni di Alemanno, stagione in cui Caltagirone diventerà al contrario feroce avversario del Pd.
Ma quella è un’era tutta da venire. Prima c’è quella di Walter Veltroni e del cosiddetto “modello Roma”. Anni d’oro – i Duemila – per il costruttore con il pallino per i giornali: vince il milionario appalto della metro C, ottiene un piano regolatore praticamente su misura (lo firma Roberto Morassut, allora assessore all’Urbanistica, non a caso sostenuto dal Messaggero nella corsa alle primarie appena vinte da Roberto Giachetti), si aggiudica i lavori per l’incompiuta Città dello Sport di Tor Vergata: doveva servire per i Mondiali di nuoto del 2009, ora è la sede prescelta per le (agognate) Olimpiadi del 2024.
Eppure, nonostante tutto, Francesco Gaetano Caltagirone e Walter Veltroni praticamente non si salutano nemmeno più. Raccontano che il casus belli sia stata una lottizzazione alla Bufalotta, zona nord della Capitale, che il sindaco concesse ai Toti, costruttori concorrenti di Caltagirone. Alle elezioni del 2008 l’editore del Messaggero punta tutto su Gianni Alemanno: l’endorsement è pubblicato a fine 2007, quando l’omicidio di Giovanna Reggiani – la donna vittima di uno stupro alla stazione Tor di Quinto – viene interamente addossato al sindaco “ignavo”. È uno dei cavalli di battaglia con cui Alemanno vince la sfida per il Campidoglio. Non si dimenticherà di Caltagirone, il sindaco, visto che è proprio negli anni dei post-fascisti in Comune che Acea accelera il progetto di privatizzazione. Alemanno voleva portare sotto al 30 per cento la partecipazione pubblica nella multiservizi. Il Pd ingaggia – caso raro in quegli anni – una battaglia feroce che fa arenare i progetti del sindaco, sotto la minaccia di un referendum.
Dalle pagine del Messaggero si combatte la guerra contro i nemici del padrone, ovvero il resto dei palazzinari. È serrata opposizione, per esempio, al nuovo stadio della Roma (progetto di Parnasi) così come alla nuova sede della Provincia di Roma (sempre opera di Parnasi) con cui Caltagirone ha messo in croce Nicola Zingaretti, all’epoca presidente della Provincia e in predicato per succedere ad Alemanno in Campidoglio, poi dirottato sulla Regione per la caduta di Renata Polverini. Questioni di concorrenza. Il costruttore, per dire, è inviperito per gli immobili venduti dai Toti all’università di Confindustria, la Luiss, che ha anche intitolato al patron Silvano una delle sue aule più prestigiose.
Ultima, è venuta l’era di Ignazio Marino. Il rapporto con il sindaco marziano parte molto male: prima delle elezioni ha speso 20 mila euro in azioni per poter partecipare all’assemblea dei soci di Acea. Si presenta negli uffici di via Ostiense per chiedere che non ci siano penali milionarie se il prossimo sindaco (che poi diventerà lui) dovesse “perdere fiducia nel cda nominato”. In pratica andò lì a dire le stesse cose che ora dice la Raggi.
E le fece pure, con la cacciata dell’amministratore delegato Paolo Gallo. Ma la guerra durò poco: il cda prima ridotto a sette, è stato nel giro di un anno rimpinguato di altre due nomine, entrambe vicinissime al costruttore. Infine, a ottobre, una settimana prima della deposizione di Marino dal notaio, è arrivato l’ingresso della figlia di Caltagirone, Azzurra (ex moglie di Pier Ferdinando Casini) nel cda dell’Auditorium Parco della Musica. Nemmeno il marziano è riuscito a resistergli.
Paola Zanca, il Fatto Quotidiano 26/3/2016