Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 26/3/2016, 26 marzo 2016
TUTTI I DEPISTAGGI: DALL’INCIDENTE STRADALE ALL’AUTOPSIA FASULLA
L’unica cosa certa è che sono morti tutti. La vittima e i suoi “presunti” carnefici. Giulio Regeni e i cinque “banditi” uccisi dalla polizia egiziana durante un blitz. Per il resto, ancora una volta, nonostante promesse, vertici, interviste, dalle acque del Nilo si alza solo nebbia. La verità è negata. A chi la invoca, la famiglia, innanzitutto, e poi le autorità italiane (capo del governo, ministro degli Esteri, procuratore della Repubblica di Roma) vengono sbattuti in faccia miserevoli depistaggi. Di più, le ultime notizie lette sul quotidiano El Watan, che ovviamente cita “fonti della sicurezza” egiziane, hanno il sapore di una volgare messinscena.
Cinque rapinatori individuati durante un blitz violento, si è sparato, i cinque hanno resistito e sono stati uccisi. Nessuno di loro potrà mai essere interrogato dal team di investigatori italiani. Le tortuose rogatorie internazionali non servono più, gli italiani dovranno affidarsi alle “verità” offerte dal Cairo.
Ci si accontenti delle foto dei documenti di Regeni rinvenuti nel covo dei sequestratori. Il passaporto, tessere delle università con le quali collaborava, una carta di credito e altro, il tutto servito su un piatto d’argento. Questo tocco alla scenografia suona come la beffa finale. Per non dire delle mani “bambine”, o femminili, che attorno a quel piatto si vedono trafficare con uno smartphone. La verità è lontana, fare il conto dei depistaggi risulta francamente umiliante.
1. Le calunnie sessuali
Giulio scompare la sera del 25 gennaio alle ore 20. È atteso a casa di un amico per una festa di compleanno. Non ci arriverà mai. Da quel momento, è un desaparecido, uno dei tanti svaniti nel nulla nell’Egitto di Abd al Fattah al Sisi. L’ambasciatore italiano al Cairo e la Farnesina fin dal 31 gennaio chiedono ufficialmente notizie. Non ne avranno fino al 3 febbraio, quando il corpo del giovane viene ritrovato in un fosso alla periferia del Cairo. Trovato il cadavere inizia il balletto dei depistaggi. Si tenta di accreditare la pista sessuale. Ma regge poche ore.
2. “Incidente”, “tortura”
Anche perché “a caldo” si apre qualche piccola falla nel rigido sistema della sicurezza egiziana. A introdurre i primi dubbi è il procuratore di Giza, Ahmed Nagi, che smonta la seconda versione della polizia del distretto di Al Dokki dove è stato ritrovato Regeni, e che parla di una morte causata da incidente stradale. Sul cadavere, dice invece il magistrato, ci sono “segni di tortura”, “ferite alle spalle provocate da coltellate”. Un lungo lavoro fatto da mani esperte che sanno come far soffrire a lungo senza uccidere.
3. I giochi del regime
I sospetti cadono sulla polizia e sulla fitta rete di organizzazioni paramilitari al servizio del regime. Le parole del magistrato vengono subito smentite da Asharaf al Anany, portavoce del ministero dell’Interno: “Non c’è stata alcuna tortura, l’assenza di segni è stata confermata dai funzionari dell’obitorio di Zeinhom”. Il lavoro del professor Vittorio Fineschi si incaricherà di dimostrare che Giulio è morto nelle 48 ore precedenti al suo ritrovamento. Dal 25 gennaio al 1 febbraio era vivo. Torturato da mani abili che gli hanno procurato fratture sul corpo, ma non lesioni interne mortali. La fine del calvario è stata provocata dalla torsione violenta del collo. Ma anche su questo dall’Egitto arrivano altre versioni. I tagli alle orecchie e alle spalle ci sono, ma non si tratta di sevizie, sono stati i medici egiziani a procurarsi lembi di pelle per proseguire nelle loro analisi.
4. “È dei Servizi nemici”
Messinscene che rimbalzano dal Cairo a Roma. E versioni fatte filtrare ad arte. Giulio collaboratore dei Servizi italiani, oppure di quelli inglesi, Giulio rapito da infiltrati dei “Fratelli musulmani” nelle forze di polizia egiziane, Giulio vittima di una rapina. Il resto sono parole e vane promesse. Il 14 marzo il procuratore capo della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, vola al Cairo per smuovere le acque di una collaborazione fino a quel momento inesistente. L’alto magistrato viene ricevuto in pompa magna, ma i risultati sono vicini allo zero.
5. L’intervista del rais
Due giorni dopo, è il presidente Al Sisi, intervistato da Repubblica, a promettere e assicurare “verità”. L’Egitto è sotto pressione, l’Italia chiede di sapere come e perché è morto Giulio Regeni. In ballo ci sono relazioni diplomatiche e affari, quelli dell’Eni sul gas e sul petrolio egiziano. Qualcuno al Cairo ha fretta di chiudere la partita. Lo fa ieri, Venerdì santo, quando la “passione” di Giulio viene raccontata da una verità inaccettabile.
Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 26/3/2016