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 2016  marzo 26 Sabato calendario

DI FRANCESCO, IL PIÙ AMBITO “SI SONO ACCORTI TARDI DI ME LA MIA EUROPA È SASSUOLO”

Le porte dell’allenamento sono (quasi) sempre aperte. Anche in questo dettaglio Eusebio Di Francesco è un’anomalia del calcio italiano. «Basta che ci sia silenzio sugli spalti – sorride il tecnico della rivelazione Sassuolo –, perché per me il campo è come un’aula. E non temo le spie: bisogna poi vedere se uno li capisce gli schemi...».
Di Francesco, lei è diventato allenatore per eliminazione?
«Sì. Ho provato a fare il team manager e ho capito che non faceva per me. Così come per il direttore sportivo in una squadra di amici. Mio padre ha insistito nel farmi fare il corso e lì ho capito che avevo delle idee da trasmettere».
Giovane e 7° in classifica con una squadra di italiani: come ci si sente a essere l’eccezione?
«A volte si cercano nomi strani o cose particolari. A me piace più essere che apparire».
Il ct Conte dice che ci sono pochi italiani per la Nazionale…
«Il Sassuolo ha un solo convocato, Acerbi. Siamo orgogliosi, ma ci piacerebbe vedere gratificato il nostro lavoro e avere più considerazione».
Potete andare in Europa?
«Ci proviamo, dobbiamo osare. Dicono che il Sassuolo è ricco, poi vedo che altri hanno speso più di noi e sono dietro in classifica. Noi non siamo una grande squadra, ma siamo una squadra. E, come diceva Mandela, la squadra deve avere un’anima unica, di tanti elementi, ma unica».
Squinzi vuole il Sassuolo sempre nei primi 5 posti. Utopia?
«Varrebbe uno scudetto, ma per poterlo fare bisognare dare continuità e prendere giocatori senza sbagliare scelte».
Quanto è ambizioso?
«Molto, ma unisco questo sentimento alla programmazione. Crederei molto nei progetti, ma non esistono: alle prime difficoltà ci si tira subito indietro».
È più facile farlo in un’isola felice come Sassuolo?
«L’abbiamo fatta diventare felice noi, creando un modo di fare calcio e stando vicino alla gente. Ci dev’essere un piacere nel giocare e nel vederci».
Nel valzer delle panchine, lei è il più ambito. Che effetto fa?
«Mi gratifica, però magari si sono accorti tutti troppo tardi… (ride, ndr). Il futuro lo decideremo a breve e con molta probabilità posso restare al Sassuolo: non è escluso nulla».
Cosa la convincerà?
«Se una cosa mi convince, la porto avanti. Così siamo entrati nella storia: abbiamo battuto Milan, Inter, Juve e Napoli».
Manca la sua Roma, perché?
«Si vede che porto fortuna: siamo sempre stati rimontati. Prima o poi la batterò».
Due esoneri con 6 vittorie in 34 partite nelle prime esperienze in A. Ora la svolta: è cambiato lei o il campionato?
«Io, poi i contesti fanno le fortune degli allenatori. Sbagliavo ed ero duro con me stesso, ma si cresce e ci vuole esperienza».
Qual è la cosa che la infastidisce?
«Le etichette. Dicono che sono da piazza tranquilla, ma che discorso è se non ho mai allenato a Milano, Torino o Roma? Bisogna vedere le qualità, come per Berardi. Veniva dalla strada e ha fatto 40 gol in A. Alla prima partita che gli ho fatto giocare mi davano del pazzo».
Dal Sassuolo è partito Allegri...
«Che giocava anche a Pescara. Ci stimiamo e ho apprezzato molto quello che sta facendo nella Juve. Ha esportato la giusta mentalità in Europa: contro il Bayern meritava di più».
Ha forgiato Zaza per i bianconeri, ora tocca a Berardi?
«Sono contento per Simone: è maturato tanto e ha dimostrato di essere da Juve. Ora mi manda gli sms in cui scrive: “Ha visto come attaccavo la porta?”».
Questo passaggio lo può fare il suo «figlioccio»?
«Deve farlo, ha le qualità per farlo. Quest’anno Berardi è stato altalenante per gli infortuni, ma è un giocatore straordinario e sono sicuro che farà la scelta migliore. E so che Allegri lo stima molto».
Suo padre l’ha chiamata così in onore di Eusebio. Se fosse nato dopo, ora sarebbe Johan?
«Può darsi. E pensare che Ulivieri mi chiamava l’olandese perché in campo sapevo fare di tutto... Cruyff ha cambiato il calcio ed è un grandissimo esempio, valido ancora oggi: guardate il Barcellona».
Lei crede nel modello spagnolo, che cosa importerebbe in Italia?
«Il metodo, le seconde squadre, la “cantera”, i tecnici cresciuti nel club. E poi fare giocare i ragazzi in tutti i ruoli per capire ogni cosa».
A 9 anni faceva calcio e ciclismo, chi sognava di diventare?
«Moser, ma non ho mai avuto il coraggio di dirglielo».
I suoi figli non hanno nomi di calciatori o ciclisti...
«Federico, Mattia e Luca. No, questa croce non gliel’ho data. Il primo gioca in Serie B e Under 21, ma spero mi affronti sempre da avversario. Poi può anche segnare, ma non battermi».
Gianluca Oddenino, La Stampa 26/3/2016