Marinella Venegoni, La Stampa 26/3/2016, 26 marzo 2016
DA SANREMO AL MET AUDELLO IL MAGO DEL TRUCCO
Mario Audello è un «brand» per adepti, che da un portone antico nell’eleganza quieta di via dei Mercanti vola verso i templi più prestigiosi e popolari del mondo dello spettacolo. Metropolitan, l’anno scorso, per il balletto Sleeping Beauty (poi in scena nell’ultimo Natale con Bolle alla Scala), ma anche nei camerini del Festival di Sanremo, dove ha curato le parrucche di Virginia Raffaele e i travestimenti da Kiss e affini per Elio e le Storie Tese. Covent Garden per Les Troyens, ma anche La7, dove Crozza grazie alle sue teste ogni venerdì si trasforma in Razzi o Della Valle e Renzi.
Arena di Verona da 35 anni e pure il backstage di Canale 5 e tante altre capitali dell’opera. Per non parlare di Torino, dov’è di casa al Carignano come al Regio. Nel suo ultimo spettacolo Teo Teocoli, citandolo, ne imitava l’accento, lasciando filtrare la simpatia per questo signore un po’ all’antica, così piemontese e così internazionale, ritroso nel raccontarsi, ma pronto a sfoderare una cortesia squisita e una pazienza imparata in decenni di lavoro nei camerini di soprano, tenori e divi di vario calibro ma sempre di bell’Ego.
VIA LA PARRUCCA
E’ un ferro del mestiere, la pazienza, in un ambiente dove la concorrenza è altissima e spietata: «Sono come bambini, gli artisti», dice. Non si riesce a strappargli un aneddoto, mantenere i segreti è un altro dei mestieri di Audello, il signor Mario. Che ha scalato lo showbusiness grazie al gusto innato e all’abilità manuale e creativa che gli viene da una passione sviscerata per questo stravagante lavoro, nato fra i ’60 e i ’70, quando, senza parrucca in testa, in certi ambienti non si andava, non dico a cantare al Regio, ma nemmeno a fare la spesa al mercato.
«Fino al 1975 era un oggetto di culto – ricorda Audello –. La signora aveva vestiti ai quali abbinava chignon, posticci, teste costruite e naturalmente parrucche. Improvvisamente, dopo le sfilate autunno-inverno di quell’anno, non esistevano più. I grandi parrucchieri, Vidal Sassoon, Tony and Guy e Jean Louis David, teorizzavano la libertà: e io mi sono trovato con una ditta di 9 persone e lo studio vuoto».
Veramente, certi clientoni non li ha persi mai: andava al Turin alle 8 del mattino a pettinare l’ex regina Maria José, sua figlia Maria Gabriella a lungo si è servita in via dei Mercanti, dove c’era un gran via vai di nobiltà e borghesia.
Da a metà ’70 i modaioli scomparvero: «Così, mi sono inventato una seconda vita anche grazie al commendator Erba, il sovrintendente del Regio, che dirottò a me gli ordini di materiale fino ad allora in arrivo da Roma e Napoli. Da lì ho lavorato con lo Stabile, prima con Trionfo e poi con Missiroli, e con la Rai. A Canale 5 ho servito la serie intera di Drive In per 20 anni». E come ci si allarga tanto? «Vai avanti, se negli incontri convinci che gli stai dando la tua vita e hai intorno a te la gente giusta per farlo. E io ce l’ho, ancora adesso, questa gente: cosa farei, senza i miei collaboratori?».
I TEATRI NEL MONDO
Vita spericolata, macchina-aerei-treni, anche ora che i 70 sono suonati ma la passione arde sempre. Come va con i teatri nel mondo? «Gli inglesi sono sempre un po’ arroganti, i francesi meglio, pur nella loro grandeur. Gli americani? Fantastici, se avessi qualche anno in meno mi butterei lì: hanno una perfezione nei pagamenti...». Tasto doloroso, in epoca di spending review. I pagamenti, soprattutto in Italia, tardano ad arrivare. Ci sono giovani appassionati alla costruzione di trucco e parrucco? «Ho mucchi di curricula. Rispetto alla mia esperienza noto una scarsità di propensione al sacrificio: gli interessa la paga e il weekend libero. Dal 1967, quando ho cominciato, non ho fatto un weekend per 25 anni. Ero sempre pieno di spose da truccare e pettinare. Le più belle d’Italia». Poi sussurra: «Ho rinunciato molto alla vita privata».
Adesso, nel suo studio, passano spesso persone alle quali riesce a restituire un sorriso, nella sofferenza di alopecia o chemio: «La parrucca come ammortizzatore psicologico», sorride. E confessa che, con diploma di perito elettronico, fatica con la tecnologia imperante: «Dobbiamo viaggiare con email, whatsapp e Skype: i miei mi collegano con i costumisti di mezzo mondo e io rimango sempre a bocca aperta».
Marinella Venegoni, La Stampa 26/3/2016