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 2016  marzo 26 Sabato calendario

DE KERCHOVE: “L’INTELLIGENCE RACCOGLIE I DATI MA POI LE INFORMAZIONI NON VENGONO USATE”

Scommettere anche sulle cose più semplici, magari. Gilles de Kerchove, coordinatore Ue per l’antiterrorismo, attira l’attenzione sul «numero verde» francese dedicato alle famiglie dei giovani che cadono nella trappola della radicalizzazione. «Molti padri e madri vorrebbero lanciare l’allarme, ma non lo fanno perché non hanno fiducia e temono per la loro incolumità», rileva l’alto funzionario europeo. Siccome si deve «cercare di colpire il male alla radici», assicura, è importante avere uno strumento di dialogo concreto in piena confidenzialità: «Se sanno che è una soluzione blindata, diventa una fonte di informazioni vitale perché sono tanti quelli pronti a chiedere aiuto».
Gli ostacoli veri sono però più grandi di così. Ad esempio, far dialogare i servizi di Intelligence europei che, secondo molte fonti, non riescono a fare squadra come si dovrebbe. De Kerchove non è d’accordo. Parlando coi giornalisti ai margini del vertice dei ministri degli Interni Ue, ha spiegato che il tema da affrontare è un altro.
«I servizi di intelligence stanno lavorando intensamente insieme, ventiquattro ore su ventiquattro - sottolinea -. Potrebbe mai credere che il capo di un servizio di intelligence non condivida una informazione rilevante con il suo vicino? Sarebbe uno sciocco»
Ma è questo che dicono molti Stati e la stessa Commissione.
«La cooperazione c’è. La questione è ottimizzare le piattaforme europee come il servizio di informazione di Schengen. Il sistema è migliorato molto, il quantitativo di nomi del Sis è cresciuto moltissimo. Più lentamente avanza il database di Europol. Ciò che serve è una collaborazione più strutturata. Siamo al lavoro».
Scusi l’insistenza. La sfiducia reciproca viene sistematicamente ribadita.
«No. Non c’è sfiducia. Ci sono semmai dei limiti alla capacità di azione legate alla confidenzialità dei dati e alla protezione delle fonti».
Perché l’inter-operabilità delle banche dati è così difficile?
«Ci sono ragioni tecniche e giuridiche. Molti Stati, e molti cittadini, sono molto legati alla protezione dei loro dati, così sostengono il principio della finalità. Vuol dire che raccogliamo un dato per un motivo, ma non possiamo utilizzarlo per un altro».
Ci fa un esempio?
«Le informazioni su chi ha domandato l’asilo nella banca data Eurodac. Occorrono per gestire le richieste. Gli stessi dati non possono essere adoperati per inchieste contro la criminalità. L’utilizzazione delle impronte digitali per due finalità differenti richiederebbe la modifica del quadro di legge».
E l’aspetto tecnico?
«Bisogna evitare che quando si mette un’impronta in una banca dati ci si debba confrontare con linguaggi e programmi differenti a seconda dei Paesi».
Il Belgio è criticato. Si sente dire che gli inquirenti non sono all’altezza della sfida?
«Il mio compito è far lavorare tutti insieme, non giudicare le capitali. Detto questo, il Belgio è mobilitato e competente. Vogliamo pensare che i francesi sono incompetenti perché hanno avuto due attentati? Il nodo è diverso, davanti alla sfida terroristica. È cosa dobbiamo fare insieme a livello europeo per affrontare questa minaccia. Tutto qui».
Marco Zatterin, La Stampa 26/3/2016