PAOLO MATTHIAE, la Repubblica 26/3/2016, 26 marzo 2016
QUEL TESORO DELLA STORIA NEI SECOLI SIMBOLO DI DIALOGO
Palmira non è soltanto, con Petra in Giordania e Leptis Magna in Libia, il più splendido sito archeologico del Mediterraneo d’età romana imperiale, né soltanto uno dei più affascinanti luoghi storici al mondo, non meno di Machu Picchu in Perù e di Angkor in Cambogia. Splendore e fascino che si esaltano per un rarissimo convergere della cultura e della natura in uno scenario unico di bellezza che supera ogni immaginazione.
Palmira è sempre stata nei secoli un luogo di incanto soggiogante, cui non si sono sottratti, in situazioni storiche incredibilmente distanti, i generali romani al tempo di Aureliano che la conquistarono dopo averla usata come baluardo efficace contro i Sasanidi di Shapur I, i beduini del deserto che la custodirono per secoli con amore nella sua progressiva decadenza materiale, i viaggiatori europei che la riscoprirono alle soglie del Settecento come un miraggio emergente tra le mutevoli sabbie e il verde inatteso dell’oasi, gli archeologi d’Europa, d’Asia e d’America che la vollero far risorgere nelle sue innumerevoli testimonianze di un passato lungo e tormentato fin oltre il glorioso periodo degli Umayyadi, i turisti dei cinque Continenti che senza eccezioni nell’ultimo cinquantennio hanno considerato la visita delle sue rovine un’esperienza indimenticabile.
Palmira è divenuta, nella tragica estate del 2015, la città martire della cultura mondiale. In quei giorni la sua conquista ad opera delle bande nere dell’Is, che ipocritamente garantirono che non avrebbero compiuto alcuna profanazione delle sue spettacolari rovine, ebbe come conseguenza, non imprevedibile, la distruzione intenzionale di quel gioiello dell’architettura imperiale romana d’Oriente che era il piccolo Tempio di Baalshamin, di quella straordinaria realizzazione architettonica che era l’imponente Tempio di Bel, fondato al tempo di Tiberio e completato negli anni di Adriano, e di non poche delle ancora svettanti torri funerarie della sua Valle delle Tombe.
Mentre l’eroico, quanto rischioso, salvataggio di grandissima parte delle sculture funerarie di Palmira ad opera dei funzionari della Direzione Generale delle Antichità di Damasco poche ore soltanto prima del colpo di mano dell’Is, metteva al sicuro decine e decine di mirabili opere artistiche che sono testimonianza di un singolarissimo incontro di sensibilità estetica e di maestria artigianale tra Oriente e Occidente, la barbarica esecuzione di un archeologo, Khaled el-Asaad, che per quaranta anni con impegno continuo e generosa disponibilità alla più ampia collaborazione internazionale aveva curato la conservazione e la rinascita di Palmira, commuoveva il mondo intero dall’uno all’altro Continente.
Oggi per Palmira, simbolo di dialogo nei secoli tra culture diverse, si apre uno spiraglio di luce, che la comunità internazionale non può e non deve lasciar spegnersi.
PAOLO MATTHIAE, la Repubblica 26/3/2016