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 2016  marzo 27 Domenica calendario

“A RISCHIO LE CENTRALI NUCLEARI” IL GIALLO CHE SPAVENTA IL BELGIO

BRUXELLES.
Da martedì mattina, quando il Belgio si è svegliato nel sangue, scoprendosi fragile nella difesa delle proprie infrastrutture vitali e “fallito” nella Babele delle sue istituzioni di governo e dei suoi apparati di sicurezza, c’è un nuovo carburante della paura. Il nucleare.
Il Belgio si chiede e al Belgio viene chiesto quale grado di sicurezza e impermeabilità ai piani di attacco dell’Is o alla sottrazione di materiale nucleare abbiano le sue due centrali di Doel e Tihange e i loro complessivi sette reattori, che assicurano il 50% del fabbisogno di energia elettrica del paese e la cui compromissione in un ipotetico attentato precipiterebbe l’Europa intera in una catastrofe continentale.
Una questione a tal punto sensibile che, per due giorni, la morte violenta di un addetto alla sicurezza dello stabilimento di produzione di elementi radioattivi per uso medico di Charleroi (trovato cadavere la sera di giovedì scorso nel bagno della sua abitazione) e l’apparente scomparsa del suo badge hanno tenuto le prime pagine dei notiziari belgi e fatto ballare la Procura di Charleroi, almeno fino a quando, ieri mattina, non è stata in grado di smentire il movente terroristico dell’omicidio.
Del resto, al netto dell’emotività di questi giorni, c’è una catena non rassicurante di circostanze che spiega il motivo per cui quella parola – nucleare – non faccia dormire sonni tranquilli né al Belgio, né alle Intelligence dei Paesi confinanti. La Francia in primis.
Accade infatti che nel personal computer abbandonato in un cestino dei rifiuti da Ibrahim El Bakraoui, uno dei due kamikaze di Zaventem, vengano ritrovate mercoledì scorso parte delle immagini che erano state girate clandestinamente da una videocamera nascosta nelle siepi di fronte all’abitazione di un dirigente del programma nucleare belga. Videocamera per altro recuperata nella perquisizione della casa in cui, il 26 novembre dello scorso anno, era stato arrestato Mohammed Bakkali, uno degli uomini della struttura logistica della cellula franco-belga responsabile delle stragi del 13 novembre e del 22 marzo. E accade dunque che la polizia belga si convinca che a girare clandestinamente quei video fossero stati, insieme a Bakkali, proprio i fratelli El Bakraoui, nella prospettiva di un sequestro di persona del dirigente per la cui liberazione ottenere materiale radioattivo. Oppure informazioni sul funzionamento e la protezione della centrale di Tihange.
L’incubo che il Terrore islamista possa mettere mano a materiale radioattivo (uranio arricchito, piuttosto che Cesio 137) per la costruzione di una bomba sporca, ovvero decidere di colpire direttamente una centrale nucleare è antica quanto il terrorismo. Con o senza aggettivi. Ed è da sempre una delle ossessioni delle Intelligence statunitense, britannica, israeliana. Per anni, si è attribuita quella ricerca ad Al Qaeda, quindi all’Iraq di Saddam, all’Iran di Ahmadinejad. Oggi all’Is. E, ciclicamente, a fugare i fantasmi sono state le rassicurazioni del mondo scientifico nel ricordare non solo la complessità di costruire ordigni di questo genere ma, soprattutto, di ottenere materiale radioattivo senza correre il rischio di rimanerne contaminati. E’ un fatto, tuttavia, che, proprio nelle ore immediatamente successive alle stragi di Zaventem e Maelbeek le due centrali di Doel e Thiange siano state precauzionalmente evacuate e ad almeno 11 degli addetti siano stati ritirati i badge di accesso. E’ un fatto – come spiegano due diverse fonti qualificate dell’Intelligence francese e italiana – che le autorità belghe abbiano avvertito la necessità di «assicurare i paesi europei che i livelli di sicurezza delle centrali sono stati innalzati». Non fosse altro perché, da quando è apparso nitido il profilo degli appartenenti alla filiera franco-belga e l’attenzione nei loro piani alle infrastrutture (è di ieri la notizia che, in una delle case utilizzate da Abaaoud in Grecia la scorsa estate erano state trovate le planimetrie dell’aeroporto di Zaventem), siano stati ritirati fuori dagli archivi almeno due precedenti. La partenza, nel 2012, di due operai della centrale di Doel alla volta della Siria, dove avrebbero combattuto nella stessa brigata di Abaaoud (ne sarebbe sopravvissuto uno solo, rilasciato nel 2014 da una prigione belga dopo un periodo di detenzione per reati connessi al terrorismo). Nonché un “incidente”, ancora nel 2014, e sempre nell’impianto di Doel, quando uno sconosciuto riuscì a entrare nel reattore numero 4 aprendo una valvola che rilasciò 65mila litri di olio utilizzati per lubrificarne le turbine.
Nel Belgio di questi giorni, poco per concludere per una “minaccia nucleare” concreta e imminente. Abbastanza per non dormire tra due guanciali.
CARLO BONINI, la Repubblica 27/3/2016