Federico Bona, Wired 4/2016, 24 marzo 2016
I MINIBUS CONNESSI
Prendi una città da 3 milioni e mezzo di abitanti, riempila di centinaia di minibus privati, ciascuno con i propri, imperscrutabili, percorsi e fermate, e otterrai un sistema di trasporto regolato dal caos, eppure utilizzato per spostarsi dal 70% della popolazione. Questa era Nairobi nel 2012 e il fatto che i matatu, i minibus in questione, sparassero musica a tutto volume mista a colpi di clacson e fossero decorati con scintillanti palle a specchi da discoteca, contribuiva semplicemente a rendere folcloristica l’idea di caos. A mettere fine a questa situazione sono state Sarah Williams e Jacqueline Klopp, due ricercatrici della Columbia University, con l’aiuto di Adam White, cofondatore di Groupshot, società specializzata in progetti all’incrocio tra innovazione, impegno sociale e sviluppo globale. Nasce dal loro impegno Digital Matatus, il progetto grazie al quale oggi 130 percorsi di minibus e 3000 fermate sono disponibili su GoogleMaps, consultabili da tutti con il cellulare e stampati in una mappa cartacea precisa e coloratissima, che non ha nulla da invidiare a quella delle reti di trasporti pubblici di Londra o Parigi. Realizzarla non è stato facile: il comune aveva sì notizie su circa il 75% dei tragitti, ma si limitavano ai punti di partenza e arrivo. La soluzione? Dieci studenti universitari locali, dotati di smartphone e di una speciale app per annotare nome, luogo e coordinate gps di ogni percorso e di ogni stop, si sono imbarcati per mesi sui matatu. O, nei quartieri più pericolosi, a bordo di auto che seguivano i bus. Una volta raccolti, i dati sono stati aggregati in un formato compatibile con Google Maps e gli ingegneri di Mountain View hanno adattato i propri standard a un sistema continuamente variabile di orari, tragitti e fermate.
Federico Bona