Marco Malvaldi, Wired 4/2016, 24 marzo 2016
MOTO PERPETUO– [LE ONDE DEL MARE, UNA FONTE INFINITA DI ELETTRICITÀ]
Pisa, estate 2014. Ho da poco installato un meraviglioso impianto solare da 3 kiloWatt, e ne vado molto orgoglioso. C’è solo un piccolo particolare: piove ininterrottamente da un mese. Una volta avevo letto che la forma di energia più efficiente da convertire è quella idrica: certo, necessità di grandi altezze (l’energia va come il quadrato dell’altezza da cui casca l’acqua), ma in molti casi si riesce a convertire in elettricità circa metà della potenza del moto. Se il risultato vi pare scarso, tenete conto che qualsiasi conversione di energia termica al massimo può raggiungere il 33%, e che la vostra automobile a benzina ha un rendimento di circa il 25%.
Per cui, per distrarmi, provo a calcolare quanta energia riuscirei a estrarre dalla pioggia, se riuscissi a raccoglierla sul tetto e la facessi scorrere dalle grondaie da un’altezza di 10 metri. Il risultato non è troppo confortante: con un tetto da 100 metri quadrati, posto a un’altezza di 10 metri, supponendo una pioggia da 30 millimetri all’ora (cioè, un nubifragio) ottengo in un giorno più o meno l’energia necessaria per caricare il cellulare.
La quantità di energia portata dall’acqua dipende, è vero, dall’altezza da cui casca; ma dipende, ancora di più, dalla sua densità. Ora, anche il più violento dei nubifragi ha una densità ridicola rispetto all’acqua come sostanza pura. Con l’energia della pioggia non si va molto lontano, quindi. Bisognerebbe sfruttare l’energia del mare. Delle maree, per esempio, o delle onde.
La stessa cosa che è venuta in mente, circa dieci anni fa, a Michele Grassi, matematico laureato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, osservando il rollio di una barca al largo. È un peccato che tutta quell’energia, l’energia delle onde, vada sprecata. Ci deve essere un modo per sfruttarla, e Grassi lo individua. Un’onda, a livello sottomarino, si traduce in una differenza di pressione: detto in parole povere, un’onda è più alta del livello del mare davanti e dietro a sé, e quindi contiene più acqua. La colonna d’acqua sotto l’onda ha un peso maggiore, e questo causa una pressione sottomarina.
Sfruttando l’effetto di questa pressione su un meccanismo mobile, si può pensare di convertire l’energia meccanica in energia elettrica. Niente di difficile, e non c’è nemmeno da cercare troppo lontano: il principio della dinamo è stato inventato proprio qui, dal fisico Antonio Pacinotti, all’incirca un secolo e mezzo fa.
Quello che succede dopo, in Italia, ha dell’incredibile. Grassi rinuncia al caro vecchio posto fisso (all’Università di Pisa, non in fonderia) e si butta cervello e corpo nell’impresa. Fonda una società, fabbrica prototipi, cerca collaborazioni. La prima arriverà con Enel Green Power, che contribuirà a una parte delle risorse finanziarie necessarie per l’installazione di un prototipo di R115 al largo di Punta Righini, vicino a Castiglioncello. La macchina necessita di un fondale profondo almeno 40 metri, e produce 100 kW di potenza – il fabbisogno di 80 famiglie, detto in termini umani.
La cosa è migliorabile? Pare di sì. La prima macchina di Grassi, la R115, sfrutta la pressione delle onde di alto fondale per produrre un moto circolare. Per questo, il dispositivo ha bisogno di una profondità maggiore di quaranta metri. Ma una differenza di pressione come quella causata dall’onda, in basso fondale causa una spinta prevalentemente orizzontale: l’acqua sotto l’onda ha una diversa densità rispetto a quella davanti o dietro all’onda. Nasce così H24, un modulo lungo fino a ventiquattro metri provvisto di una sorta di vela che l’onda di pressione sottomarina fa scorrere su un binario. All’interno del modulo, dei meccanismi appositi trasformano l’energia cinetica (il moto della vela) in energia elettrica. Tutto questo fornisce 50 kW di potenza a sei metri di profondità.
Sei metri è molto molto meno di quaranta. Più facile da installare (un piccolo pontone e una coppia di sub lo posano in un paio d’ore) e soprattutto, più facile trovare posti in cui installarlo. La potenzialità di questo modulo sta infatti nella sua estrema versatilità: H24 si può installare a poca distanza dalla costa. Ora, l’Italia ha più di settemila chilometri di coste.
Supponendo di posare uno di questi oggetti ogni trentacinque metri (in realtà è possibile metterli parecchio più vicini senza interazioni) questi produrrebbero l’ammontare di circa 10 gigawatt di energia. Dieci centrali nucleari di medio cabotaggio, più o meno. Appurate le possibilità, passiamo al costo: un aspetto che quando si parla di energia non va troppo sottovalutato. La potenza nominale di questo impianto è di 50 megawatt, e il suo costo al momento è di circa 200.000 euro (installato, chiavi in mano), il che significa che ogni watt di potenza ha un costo di installazione di circa 4 euro. Un po’ meno dell’eolico domestico (6 €/W) ma parecchio di più rispetto al grande eolico a terra (i grandi parchi eolici producono al costo di 1,5 €/W) e al solare.
Parliamo di potenza nominale, ovvero la massima potenza che l’apparato sprigiona in condizioni di funzionamento ideale. Quello che bisogna considerare, però, è la potenza media. Un parco eolico funziona quando c’è vento: duemila ore l’anno, nelle zone più sfigate d’Italia, cioè circa un quarto del tempo. Peggio ancora il solare: l’efficienza media del pannello solare è circa del 16%.
Con le onde, invece, va meglio. Le fluttuazioni marine in grado di muovere l’apparecchio sono molto più frequenti di quelle ventose, e non c’è bisogno di sole per riscaldarle e renderle pronte allo sforzo. Si calcola che l’efficienza media del dispositivo sia circa del 30%, e se ho capito bene è una stima prudenziale. Paragonando i costi di installazione in euro per watt medio, un watt H24 verrebbe prodotto al costo di installazione di 12 euro, mentre quello di un grande eolico ne costa 6 e quello di un solare 8. Per non parlare dell’eolico domestico, che ne è costato 24.
L’eolico a terra è più conveniente, certo. Però un dispositivo come quello di Grassi si può installare ovunque. Non si vede e non ha impatto ambientale (è di vetroresina, ha lo stesso impatto di una barca, anzi meno: ci sono varie certificazioni comprovanti, come vedremo). Un po’ meglio degli ecomostri eolici, quindi.
Siccome sono un rompicoglioni, e la cosa mi sembrava troppo bella per essere vera, ho fatto a Grassi alcune domande. La prima domanda è semplice: questi oggetti sono sottomarini, il che significa corrosione e arrugginimento. Di quanta manutenzione hanno bisogno questi oggetti? Secondo Grassi, non molta. Il problema della corrosione si ha in realtà quando un oggetto (tipicamente, un oggetto di metallo) viene continuamente immerso in acqua e tirato fuori. L’azione elettrolitica dell’acqua e quella chimica dell’ossigeno, combinate, possono fare danni. Il modulo è fatto invece di fibra di vetro, che non conduce e non arrugginisce, e sulla quale gli organismi marini sono in grado di allignare e crescere. Da chimico, mi tocca dargli ragione. Uno a zero per lui.
La seconda domanda è un pochino più bastarda: un essere umano, un sub, o un povero delfino, una di quelle tenere creature del cui destino ci preoccupiamo mentre trangugiamo un bel filetto di tonno, potrebbero rimanerci impigliati o incastrati, e lasciarci le penne. Anche qui, no. E non solo secondo Grassi, visto che l’analisi dei rischi posti dal modulo ha ricevuto la certificazione Rina (Registro Italiano Navale), un ente noto per la sua particolare severità. Qui, da chimico, mi tocca fidarmi.
La terza domanda è fetente: in Portogallo pochi anni fa hanno costruito un oggetto simile, il Pelamis Energy Wave Converter. Un mostro in grado di generare 750 kW. Sono falliti in pochi anni. Certo che sono falliti, risponde Grassi. Pelamis era un mostro che solo di installazione costava 5,6 milioni di dollari. Il nostro modulo costa venti volte meno. È una spesa affrontabile da una piccola comunità. Piccola comunità? Sì, la scommessa ulteriore di Grassi è questa.
Il coronamento ideale del progetto di Grassi, che propone la possibilità di formare una smart community, in cui una piccola realtà (come un paese di provincia, per esempio: pare che in Italia abbondino) si fornisca di una serie di elementi per produrre da sola la propria energia esclusivamente da fonti rinnovabili, coinvolgendo gli abitanti, i turisti, gli utenti del porto tramite il crowdfunding. Se volete la mia opinione, questo è un vero progetto.
Un progetto organizzativo, ma basato su solide innovazioni tecnologiche, non la solita aria fritta in cui si presenta un progetto in cui si mescolano le due o tre cose che sappiamo fare con quelle che sa fare il tizio che ci siamo trovati accanto a cena due sere prima, e speriamo che funzioni.
È solo la mia opinione. Spero di non confondere la speranza con la convinzione, ma sono convinto che in questo ambito la mia opinione abbia qualche valore.