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 2016  marzo 19 Sabato calendario

GIMBO VOLA PIÙ IN ALTO


[Gianmarco Tamberi]

Undici passi, sei in rettilineo, gli altri in curva. Dal terzultimo inizia la preparazione per lo stacco da terra: il corpo si inarca e la testa pensa solo all’ostacolo da superare. Quindi il balzo, a poco più di un metro dai ritti che tengono l’asticella. È un attimo: Gimbo apre le ali. E vola.
Gianmarco Tamberi, detto Gimbo, ha 23 anni e un’unica data in mente: il 16 agosto, la finale del salto in alto alle Olimpiadi di Rio. Un sogno d’oro per questo ragazzo che sfida ogni giorno la forza di gravità, inanellando un record dietro l’altro: «E posso migliorare ancora, non ci dormo la notte per la voglia che ho di gareggiare». Grazie anche a un’innata forza centripeta che lo porta ad attirare su di sé energie, attenzioni, affetti. E che gli ha permesso di abbattere il cliché dell’atleta musone e insofferente.
Sorride a tutti, Gianmarco, e parla tantissimo. «Vi ho spiegato bene come funziona lo stacco?». «Faccio due ripetizioni e vi racconto di quella volta a Pechino». «Sapevate che suonavo la batteria con i Dark Melody?». Poi dice che uno stadio pieno, rumoroso e con i suoi amici a fare il tifo, vale da solo 10 centimetri in più. «La “solitudine dei numeri primi” non è nel mio Dna: se non potessi condividere la felicità con gli altri, i sacrifici sarebbero insopportabili». Come agli Assoluti italiani di pochi giorni fa nella sua Ancona, quando il Palaindoor in cui lo incontriamo si è riempito di cori, canti e pubblico in T-shirt con la sua faccia da halfbeard, come lo chiamano gli americani.
Sì, perché Tamberi è conosciuto a livello mondiale come il “mezzabarba”, per quell’abitudine-talismano di tagliarla solo sul lato destro prima di una finale. «Mi metto davanti allo specchio, musica a palla e prendo il rasoio. È un rito cui non posso più rinunciare, iniziato per caso. Nella tensione di un pre-gara, per tranquillizzarmi, papà mi disse: “Fai qualcosa di insolito, Gimbo. Che ne so, lasciati la barba solo a sinistra così ti peserà di più su quella guancia e farai meglio la curva prima del salto”. Lo feci e migliorai il mio record personale di 11 centimetri».
Il padre, Marco Tamberi, è anche il suo allenatore. Un papà d’arte: ex primatista di specialità, andò alle Olimpiadi di Mosca 1980 (le stesse di Sara Simeoni), prima di dire addio ai sogni di gloria per un camion che lo investì tranciandogli il tendine d’Achille. «Guardo mio figlio e ritrovo in lui una certa “pazzia”», ci racconta seguendolo con lo sguardo. «I tempi sono cambiati, ma Gianmarco è fortissimo. Il problema è che lo sa, quindi rischia troppo: vorrebbe battere il record del mondo a ogni allenamento. Invece deve pensare a non farsi male, perché non è secondo a nessuno». L’uscita di casa, ammette papà Tamberi, è stato un bene. «Non volevo che andasse a vivere da solo, invece aveva ragione: era un ragazzino, oggi è un uomo. E il nostro rapporto è migliorato».
«Qualunque cosa dica, non è vero», lo prende in giro Gianmarco, prima di aggiungere che non vorrebbe un altro allenatore. «Piuttosto, quando parliamo di basket?». La pallacanestro era il grande sogno. «Dai 4 ai 17 anni era il mio sport (giocava nello Stamura Ancona, ndr), poi vinsi i campionati studenteschi facendo 2,01 senza allenarmi e nonostante la mia prof dicesse: “Non sei portato per l’asticella, lascia perdere”». Invece arrivarono vittorie e primato italiano, migliorato da Gianmarco (che gareggia per le Fiamme Gialle) più volte. «Ma se mi chiedessero di giocare in Nba o fare due tiri con Kobe Bryant, persino il giorno della finale di Rio, accetterei». L’Olimpiade è il pensiero fisso. «Da quando mi sveglio a quando vado a dormire. Il 14 agosto la qualificazione, il 16 la finale: per fortuna alle 8 di sera». Se Gimbo non ama allenarsi al mattino, gareggiare è addirittura un incubo. «Un po’ perché ho iniziato tardi a fare atletica, nella fase in cui ero un teenager festaiolo. Ma anche perché, causa adrenalina, prima delle finali passo notti insonni. Così se devo saltare la sera riesco almeno a riposare un po’ e ricaricarmi». In pista ci passa accanto un ragazzone. «È il bello di famiglia, mio fratello». Campione di giavellotto, Gianluca Tamberi, 25 anni, è attore ed ex Mister Italia (nel 2012). «Io sono quello simpatico», aggiunge Gimbo. «Scherzi a parte è stato fondamentale per me, come una molla. Ogni volta che faceva risultato, anch’io per incanto mi miglioravo. Ora sta attraversando un periodo difficile e spero di essergli io da stimolo grazie al mio “viverla facile”». È una frase, questa, che torna spesso. «Ma non voglio sembrare presuntuoso. Facile per me vuol dire che prendo tutto seriamente, ma sapendo che è uno sport: servono lavoro duro e leggerezza». Quindi parliamo di donne: la fidanzata («Stiamo insieme da quasi 7 anni, lei è una certezza e io sono fedele») e la collega Alessia Trost, campionessa italiana nell’alto: «La stimo molto, mi piace la cattiveria con cui scende in gara». Di cibo: «Mangerei tutto il tempo, ma non posso. Così seguo una dieta personalizzata fino a 3 giorni dalle gare, poi mangio qualunque cosa e in campo tanto cioccolato». Di politica: «La sento lontana, non mi piace. Mi interesso invece di attualità, senza avere paura del mondo: quando hai la fortuna di viaggiare, come accade a me, i pregiudizi cadono». Di sconfitte: «Ai mondiali di Pechino ero un missile, tutti mi dicevano che ero l’unica speranza di medaglia azzurra, non potevo fallire. E invece sono scoppiato». Infine, di sogni. «Non firmerei per un bronzo: io gareggio per vincere. Dove posso arrivare non lo so. E sono anche contento di non saperlo».