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 2016  marzo 21 Lunedì calendario

PARTE LA CACCIA AL TESORO DELLA BCE È IL MOMENTO DEI CORPORATE BOND IN ITALIA 69 MILIARDI GIÀ ACQUISTABILI

Nei giorni precedenti il suo storico annuncio del 10 marzo del “Qe Plus”, come è chiamata negli ambienti finanziari la composita manovra della Bce, Mario Draghi aveva incontrato informalmente alcuni dei più prestigiosi economisti mondiali. A tutti ripeteva un concetto: «Porterò gli acquisti dei bond da 60 a 70 miliardi, questo è sicuro, e non avrò bisogno di giustificarmi con nessuno perché basteranno alcuni accorgimenti di “cosmesi”. Ma se vorrò alzarlo a 80 miliardi, dovrò per forza acconsentire alle richieste tedesche e francesi di estendere il qe ai corporate bond». Esattamente così è andata: acquisti a 80 miliardi e allargamento alle obbligazioni dei grandi gruppi dell’asse renano, Volkswagen e Siemens, ma anche Auchan, Lvmh, Kering, Lactalis e via trasalpinamente discorrendo. All’Italia comunque non sono andate solo le briciole: Merrill Lynch calcola che se l’ammontare dei bond aziendali “eleggibili” francesi è di 209 miliardi e di quelli tedeschi di 122, le obbligazioni nostrane qualificate raggiungono 69 miliardi: sono in circolazione sui mercati 9,5 miliardi di titoli Snam, 18 miliardi di Eni, circa 25 di Enel, 770 milioni di Terna e via dicendo. E i prezzi hanno immediatamente reagito alle sollecitazioni della Bce, a conferma che l’operazione avrà profondi effetti sui mercati finanziari, sulle imprese, sui risparmiatori: in poche ore, mentre Draghi ancora non aveva finito la conferenza stampa, il bond Eni gennaio 2024, cedola 1,750%, scendeva da un rendimento dell’1,58% all’1,45% mentre il valore s’impennava, per il bond A2a gennaio 2022 cedola 3,625% il rendimento si portava in area 1% contro l’1,26% precedente, il titolo Atlantia febbraio 2021, cedola 2,875%, scendeva come rendimento di 15 centesimi e saliva come valore di 0,8 punti, il bond Luxottica febbraio 2024, cedola 2,625%, rendeva l’1,12% contro l’1,18%. Nei giorni successivi si sono scatenate le emissioni: prima la Detusche Bank con un bond da 4 miliardi, poi la multinazionale belga AbInBev addirittura con uno da 13,25 miliardi in sei tranche, e così via. Nei sette giorni fra l’annuncio di Draghi e giovedì scorso le nuove emissioni hanno superato i 34 miliardi. «Sicuramente il fatto di aver esteso ai corporate il quantitative easing è stato una concessione ai tedeschi in cambio dell’ampliamento dell’impegno della Bce», sintetizza Brunello Rosa, managing director dell’Rge, il think-tank di Nouriel Roubini. «Le grandi aziende del nord ora si sentono più sicure se non altro perché è stato creato un backstop contro eventuali perdite catastrofiche conseguenti a vicende imprevedibili, dallo scandalo Volkswagen alla crisi dei Paesi mediterranei: ma ora da tutto questo trarrà beneficio anche il mercato italiano, che pure è più ridotto». Il salto di qualità è epocale: «La Bce è entrata direttamente sul mercato», spiega Angelo Baglioni, economista della Cattolica di Milano. «Forse è troppo dire che la trasmissione dei benefici del Qe all’economia reale affidata alle banche non ha funzionato, perché un po’ di credito è ripartito, ma di certo Draghi ha ritenuto di aggiungere quest’intervento diretto presso le aziende pur di rivitalizzare gli investimenti e auspicabilmente i consumi». Già in autunno la Bce aveva cominciato in sordina a comprare corporate bond e aveva pubblicato un elenco di pochi gruppi di tutta Europa “eleggibili”, limitato a società con una forte presenza dello Stato nel capitale (per l’Italia c’erano Snam, Enel, Eni e Terna). Ma in realtà questo strumento era stato usato ben poco. La corsa agli acquisti parte ora che la possibilità è stata estesa a tutti i gruppi in possesso di un investment grade assegnato dalle agenzie di rating. Le modalità operative, spiegano da Francoforte, devono essere ancora messe a punto: lo saranno entro la fine di aprile quando partirà l’operazione. Gli economisti indipendenti calcolacono che su 2000 miliardi di Qe, sempre che finisca nel marzo 2017 come per ora è previsto, 2-300 saranno destinati ai corporate bond. Quelli emessi da società con un rating sufficiente sono in Europa 546 miliardi (di cui come si diceva 69 in Italia), su 1600 di titoli di credito esistenti. Secondo Barnaby Martin, capo del credit strategy per l’Europa di Merrill Lynch «la febbre di acquisti finirà con il contagiare anche questi ultimi perché gli investitori cominceranno a cercare migliori rendimenti una volta che gli acquisti sui titoli “eletti” ne avranno realisticamente abbassato i tassi perché i valori si saranno alzati». Non solo: «Altri bond ancora fuori dagli acquisti Bce trarranno beneficio: i Reverse Yankees (bond in euro emessi da società americane, ndr), i titoli di credito in altre valute a partire dai bond britannici, le obbligazioni subordinate del bancassurance». «Il mondo “investment grade” conferma Rocco Bove, responsabile del desk obbligazionario di Kairos , gestore dei comparti KIS Bond e KIS Bond Plus e uno dei principali attori sul segmento dei corporate bond europei - ha subito dipo l’annuncio “stretto” sugli interessi dai 90 punti base di partenza a 70. E cominciano a vedersi anche gli effetti indiretti su altri bond: il comparto high yield è passato da 375 punti base a 310, quindi con un restringimento di 65 punti base. Questo perché il nuovo Qe ha una ricaduta indiretta su tutte le altre emissioni, anche di società con un rating inferiore all’investment grade. Inoltre, si sono già notati effetti persino sui tassi dei bond bancari». La Bce sta lavorando su due fronti: «dare ulteriore liquidità alle banche finalizzata al finanziamento delle aziende – dice Bove – e parallelamente incoraggiare le imprese stesse ad utilizzare maggiormente lo strumento delle obbligazioni, visto che in Europa e soprattutto in Italia il canale bancario gioca un ruolo eccessivo e una parziale disintermediazione è auspicabile; il fine ultimo comunque dell’intera manovra rimane il reflazionamento dell’economia». Molti operatori hanno in poche ore o giorni, comprato e venduto: «Noi lo abbiamo già fatto, in parte», dice Luca Riboldi, direttore investimenti di Banor. «Avevamo, ad esempio, una posizione sui bond: dopo la notizia abbiamo ancora comprato a 96 e già rivenduto parzialmente a 99. Il mercato, comunque, si è già riallineato sui nuovi valori. Ma quando arriveranno davvero gli acquisti della Bce ci saranno altre opportunità. Questo è sicuramente il miglior anno, per il settore finanziario, per fare del trading». L’operazione corporate bond è particolarmente delicata. Gli esperti ritengono che lo schema potrebbe ricalcare quello già usato per i covered bond, che già hanno cominciato a far parte del Qe e hanno come garanzia degli immobili e possono essere acquistati – al contrario dei titoli di Stato – anche sul mercato primario, quindi all’emissione, e non soltanto sul secondario. Le banche centrali, e dunque anche la nostra, presteranno la massima attenzione nell’acquistare corporate bond a non distorcere il mercato. Il che significa che dovranno più o meno rispettare le proporzioni fra i vari titoli: non potranno quindi acquistare troppi bond di una società se non in proporzione a quelli già in circolazione o in emissione. Il “carrello della spesa” di Bankitalia sarà riempito con molta cautela. L’operazione peraltro non durerà all’infinito: «Secondo me – dice Antonio Patuelli, presidente dell’Abi – la finestra d’opportunità durerà un anno. Dopo le elezioni americane, infatti, la Federal Reserve dovrebbe iniziare un lento aumento dei tassi. Fino ad allora farà poco o nulla proprio per non disturbare i mercati». Non è questa l’unica parte del “Qe Plus” che si rivolge direttamente all’economia reale. Altrettanto forte potrebbe essere l’impatto dei nuovi Tltro (Targeted long term rifinancing operations), una specie di mondo creditizio alla rovescia dove la banca che prende in prestito i soldi dalla Bce, invece di pagare un tasso d’interesse lo ottiene dalla stessa banca centrale fino allo 0,40 per cento se sfrutta fino in fondo la possibilità, anzi il “dovere”, di finanziare l’economia. Prometeia ha calcolato che le banche italiane potrebbero prendere a prestito dalla Bce fino a 317 miliardi. Se riuscissero a riversare tutte queste risorse nell’economia porterebbero a casa un guadagno di ben 1,27 miliardi. Essere pagati per prendere i soldi in prestito. Il problema a questo punto si sposta sulle banche e sull’effettivo mercato (e sui rischi che restano) che si presenta loro. Spiega Patuelli: «Ci si dimentica spesso che le banche possono prestare, dopo Basilea 1 e 2, soltanto a imprese che siano in regola con il fisco e abbiano bilanci in ordine. E’ questo l’ostacolo principale che limita la capacità di erogare credito. Gli istituti di credito possono essere penalmente responsabili se danno soldi a un’impresa non sana. Il credit crunch non c’è più, anzi, c’è l’esatto opposto: ormai gli istituti vanno a caccia di clienti buoni e se li strappano a vicenda. È una specie di “surroga” dei clienti. I direttori delle filiali utilizzano e incrociano banche dati e verificano di persona sul territorio l’esistenza di società con conti in ordine». Le stesse banche, di fronte a una manovra così complessa e ambiziosa, hanno un rimpianto, commenta l’economista Rainer Masera: «Forse si poteva estendere l’operazione ai titoli cartolarizzati, anche quelli delle sofferenze bancarie, contribuendo a risolvere un problema lasciato colpevolmente a metà dalle autorità europee».
Adriano Bonafede Eugenio Occorsio, Affari&Finanza – la Repubblica 21/3/2016