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 2016  marzo 19 Sabato calendario

DIAMANTI: «IO, GIRAMONDO»

Ogni ricciolo un pensiero e quell’aria da eterno giramondo: mai banale, sempre diretto, è «Alino» Diamanti. Una vita controcorrente. Nell’era della corsa alla Mls e agli ingaggi faraonici in Cina, lui ha scelto l’Italia e l’Atalanta.
Diamanti, Gervinho e Lavezzi a gennaio sono andati a giocare in Cina. Lei è di nuovo qui. Nostalgia oppure... dov’è l’errore?
«Quando Lippi se n’è andato, il Guangzhou ha dato a Scolari un progetto basato su giocatori brasiliani. Non rientravo più nei programmi e ho iniziato a girare. Lavezzi e Gervinho hanno solo anticipato ciò che presto sarà normale: la grande corsa per giocare in Cina. Il torneo è già a un buon livello e salirà ancora quando verrà cancellato il limite dei 4 stranieri in campo».
Che cosa le è rimasto di quella esperienza?
«L’impatto era stato buono sia per me sia per la famiglia. Ho visitato tanti Paesi. Non rinnego nulla. E non erano partitelle tra sprovveduti: si corre tanto, i cinesi li immaginiamo come piccoli e scarsi. Macché... Sono tecnici e ben messi fisicamente. Ho vinto un campionato e giocato la Champions asiatica. I problemi? Clima e trasferte lunghe».
Prima dell’Atalanta sei mesi al Watford in Premier. Sempre in prestito.
«A Londra c’era un problema: per l’allenatore (Quique Sanchez Flores, ndr) gran parte della formazione era “bloccata”. Non c’era spazio per me e non sono pronto per il ruolo di comparsa».
E ora è di nuovo in A: all’Atalanta.
«Sì la cara vecchia Serie A: la Juve che vince, le polemiche, eppure tatticamente rimane il torneo più difficile, dire che è brutta è un pregiudizio. A Bergamo ero già stato ai tempi dell’AlbinoLeffe. Qui mi sono integrato subito nello spogliatoio. Penso di poter dare tanto».
Quattordici partite senza vittoria. Se lo aspettava?
«Sono tante. Ed è inspiegabile. Vedo quello che facciamo in settimana in allenamento e non ci credo. Però la classifica di solito è veritiera: se siamo lì significa che dobbiamo fare di più. Quelle dietro di noi si sono avvicinate troppo. Sapevo che centrare la salvezza non sarebbe stata una passeggiata ma francamente non pensavo nemmeno che potesse essere così complicato».
Domani al Comunale c’è un avversario speciale: il «suo» Bologna, per la prima volta contro dal suo addio del 2014. Tre stagioni da idolo e protagonista.
«A Bologna ho casa e ho vissuto tre stagioni indimenticabili. Una istantanea? All’Olimpico (settembre 2012, ndr) con la Roma perdevamo 2-0 a fine primo tempo e poi ribaltammo il risultato anche con un mio gol: al ritorno trovammo una marea di tifosi ad aspettarci».
Il suo sì al Guangzhou nel 2014 fece discutere. Per il Bologna fu un’operazione da circa 10 milioni.
«Quel trasferimento in pratica fu la salvezza della società: gli stipendi non arrivavano da 4 mesi, i conti furono sistemati e in qualche modo si evitò che Bologna fallisse come altre realtà. E credo che questo abbia anche contribuito a far sì che successivamente altri imprenditori (Saputo, ndr) puntassero sul club».
E domani come andrà a finire?
«Sarà una battaglia ma non abbiamo alternative. Ci serve una vittoria».
A quasi 33 anni l’ultima tappa di Diamanti sarà Bergamo?
«Sono un giramondo ma qui sto bene e vorrei restare. Ho faticato un po’ all’inizio per trovare la condizione, ora sono prontissimo. Fino a dicembre 2016 sono del Guangzhou e il futuro non lo decido da solo: tocca a me convincere l’Atalanta a riscattarmi».
La Nazionale. All’Europeo 2012 segnò il rigore decisivo con l’Inghilterra nei quarti, poi il Mondiale in Brasile l’ha visto da casa.
«Non porto rancore anche se avevo fatto parte di quel gruppo per tre anni. La Nazionale è un sogno: io ci spero sempre».
Ha vinto per distacco nel comprendere le potenzialità della Cina. Su quale tema è in ritardo?
«Odio i social. Ho un profilo Instagram dove talvolta posto le foto dei bimbi ma nulla più: non mi piace fare commenti né leggerli sulla mia vita. Fino a 4 anni fa avevo un cellulare che consentiva solo di chiamare e inviare messaggi, ora ho l’Iphone su insistenza di mia moglie ma basta e avanza. E’ una scelta di vita». «Alino» è fatto così, prendere o lasciare.