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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

AL TELEFONO CON GUIDO CERONETTI

Le dieci di sera sarebbero per me già tardi, ma al buio resisto sul mio letto, mentre telefono a Guido Ceronetti, proprio a quest’ora che gentile mi ha prescritto. Eppure nel menomarsi dei sensi, rigirato storto, stanco, la percezione si affina. Mi riconfermo che la voce dica d’una persona più del viso, ne sia sempre espressione migliore. Quella di Ceronetti è fioca, provata da qualche guaio di salute, e però ha il tono da gioco infantile di qualcuno inorridito dal male, tuttavia delicato, e senza rimedio sincero, e neppure una protesta ogni tanto. Il ginocchio che mi sono smembrato giorni orsono a Urbino del resto mi apparenta al suo stato di malato. Parliamo quindi quasi di tutto, meno che del libro che io dovrei recensire. E invece mi dice dell’elegante Basilea e di quadro un Holbein, al Kunstmuseum, che, mi spiega, è il suo ritratto. Parliamo pure di Isola del Piano, paese minimissimo e precario, dove vivo io e dove viveva Quinzio, dove veniva di frequente prima da Gino.
Il tono di quanto si dice conta più di ciò che si dice: e perciò da tenerezza al cuore. In questa Apocalisse, ecco... ancora un altro innocente in un incubo. È molto diverso dall’idea di lui corrosiva, scostante, assecondata dai giornali, che lo vogliono provocatorio, in esorcismo del suo avere alla fine ogni volta ragione. Com’è del resto diverso pure questo suo ultimo libro della biblioteca Adelphi: Per le strade della Vergine. Testo delicato ch’è miscellanea di note, e pensieri preliminari, quelli che si scrivono in un blocchetto notes per dargli forma poi, e dignitosamente venderseli all’editore o al direttore... Lo apro e la Quinta rettitudine buddhista ovvero l’azione disinteressata, si riconferma il perfetto espediente per ottenere il meglio. Il mio vagare notturno al telefono con lui, più che ottantenne, parlando di tutt’altro, mi fa scrivere ora rapidissimo di questo suo libro di appunti improvvisi, e di lui in cammino per la strada dov’è scrittore, teatrante, malato cagionevole o amante.
E per paradosso in questo suo libro, disorganico e odioso alla ragione, tutto infine quadra. Anzi Ceronetti si prende in esso il rischio di riconoscere e svelare la sua di strada maestra, nel vagare di tanti anni. Così nella premessa la riassume: «Per me, chiaramente, quella strada è uno degli infiniti cammini della Vergine di Luce. La Vergine è un’idea limitata, ma tutto ne è testimone. Ne parlano innumerevoli libri; capolavori dell’arte che lasciano il segno le danno voce. Il Ventottesimo di Giobbe la chiama Sapienza e più volte ripete di non sapere dove si trova». Insomma sospesa, delicata, che si sciupa a spiegarLa, questa sua Madonna degli umili e dei sapientissimi, è l’idea immaginale e salvifica che Ceronetti alla fine scopre d’avere appuntato per strada e senza mai intenzione. E infatti ce ne avverte: «Dunque io vi dico che la incontrerete anche qui, libro che a lei è dedicato, senza l’autore averci affatto pensato, in trenta e più anni di saltuaria stesura. È là che vi attende, nei crocicchi delle sofferenze indicibili di ogni atomo di materia».
Ma è il suo, un annuncio di svolta mistica o stoica conversione forse cattolica? Per fortuna direi di no. Ceronetti è scaltro, a quei depravati che pretendono di invertire vizi e virtù egli non replica cattolicamente. Spariglia, e nei diari annota: «Coricarsi con la borsa dell’acqua calda. Nel buio può sembrare una coscia femminile, fornire una dolcezza inguinale. L’uomo freddoloso sarà meno solo».
E le sue di Marie sono del resto pure i tormenti di qualche intima ritrosia o persino sorprese da rotocalco: «María Mercader, l’attrice bionda e gelida dei tempi mussoliniani e moglie di Vittorio De Sica, spagnola, era la sorella di Ramón, l’assassino di Trockij col nome di Jackson! (Articolo di Massimo Caprara su Oleg Gordievskij ex kgb)...». Ma lo svolgersi del libro è da virtuoso suonatore organistico o di organetto; ancora scombina, negli altri vari saliscendi della vita ritorna mistico: «Il fucile spara al volto della Veronica, ma la sua luce non si spegne ... In verità si spegne, riaccendendosi immediatamente. Il fucile si abbassa e la Veronica resta splendente».
Questi undecennali diari di Ceronetti, annotati tra il 1988 e il 1998, sono così: un raffinato ritmo, ma finto altro, per celare quanto in pochi vogliono capire, e perciò si sciupa a dire: «Maria era vergine e aveva un certo schifo dei rapporti sessuali, non arrivai mai a baciarla. Eppure fu per lei che, poco tempo dopo, mi stabilii a Roma, cominciando là una nuova esistenza, molto più intensa e interessante. Peccato che Maria fosse di Roma invece che di Parigi: mi sarei trasferito a Parigi, dove avrei trovato l’Illuminazione e scoperto molto tempo prima il mio destino di teatrante, dimenticando presto Maria...». E così come i ricordi più intimi, svelati ma non sciupati scorre annotata la recita farsesca della vita delle maggioranze destre e sinistre, ormai sempre più smarrite nell’inumano. E gemma, continua, la cronaca di frasi in intercalare, e caustica sintesi che non lascia replica, come questa: «Un cretino fa le corse perdichili per piazza San Marco cotonata di nebbia».
Né manca l’occulto; ma pure esso viene disarmato. Persino Gustavo Rol deve essere tradotto in teatro prosaico, pure lui il più sorprendente e manierato. Di lui Ceronetti infatti annota in un dieci gennaio: «Risposta medianica da Rol su Giovanna che comincia: “Situazione insostenibile perché immutabile, favorita dal carattere eccessivamente remissivo della donna...”. Rol dice che prima d’incarnarmi io mi sentivo in contrasto col male e dovevo scendere in campo per contrastarlo apertamente nel mondo. La mia carta: La Stella dei Magi. Accidenti, mi fa tirare una carta e annuncia malheur prochain. Come scongiuro mi obbliga a dire tre volte: Accetto! ma non sono tanto accettante... Tiro un’altra carta: la Ruota della Fortuna... Gli leggo un po’ di Waterloo e gli dico Fonès di Kavafis».
Ma forse i libri onesti del futuro potranno scriversi solo così, alla maniera di Ceronetti. E un’intervista sincera si conterrà in due frasi brevi, presocratica come questa: «Marzio Breda del Corriere mi cerca per inchiesta sul disastro del Po. Ma come si potrebbero salvare le sue acque se la bellezza delle rive è perduta?.... Se le sue rive sono destinate ai topi?». E del resto in questa orgia senza piacere, ma frenetica, di frasi sceme, di internettiani, di inviate di guerra eccitate, di esperti di mali sociali da emendarsi, che ci tormentano, la sola risposta vera, onesta sarà sempre più come quelle contratte e misteriche di Ceronetti. Ed ecco perché la sua seguente paginetta sull’Italia, vale due, tre biblioteche. «Il Risorgimento italiano come qua e là tentativo semicosciente di recuperare il centro spirituale perduto e dimenticato. Così si spiegano le molteplici iniziazioni massoniche de gli uomini del Risorgimento e la violenta opposizione demoniaca della Chiesa (che aveva il suo polo periferico nella città risorgimentale Torino, nell’enigmatico pseudosanto Don Bosco, inviato per contrastare la luce e protetto da poteri occulti con la facoltà di uccidere mediante il pensiero). In quella stessa letargica e vinosa provincia dove ebbe la luce ai Becchi il contadino Giovanni Bosco, molti anni prima il seme dell’eresia suprema aveva attecchito. Ma la spada di Garibaldi non fu abbastanza illuminatrice, un’Italia quasi del tutto materiale fu il risultato del Risorgimento. Poi la mistica di disperazione della Grande Guerra ecc. Poi più nulla. Noi rari nantes...». «Errore di una conquista rovinosamente materialista e sfruttatrice; dal Piemonte nessuna luce: vittoria del tenebroso apostolo...».
Ceronetti, lui, il manicheo, sempre «malato cronico di ciò che è, senza confini, mondo...», è del resto l’ideale conversatore telefonico notturno, malato di geniale patologia infantile, che avverte l’errore prima che lo si dica, ma senza mai incattivire. Perché la strada dove cammina neppure lui la prevedeva, e se ne sorprende. Non vuole togliere alle sue note la rivelazione, ch’è Sapienza, e perciò, come nell’Apocalisse, anche una vera donna. Di qui quell’amorosissima nota che segue: «Michèle è morta il 20 agosto 1997 nella casa di sua madre come aveva fortemente desiderato. L’ho vista per l’ultima volta circa un mese prima e non parlava più da alcuni giorni, immersa in un profondo sonno. Quando mi sono avvicinato le ho detto: Michèle so che se lo vuoi tu puoi parlare, allora dimmi qualcosa». Apre gli occhi e mi dice spenta di voce: “Guido, tu es con” e dopo un attimo: “Moi aussi je suis conne...”. Approvo calorosamente». Ma Per le strade della Vergine di Ceronetti ci si incontra di nuovo sempre, come in un gioco di specchi. E un anno dopo che è morta, il nostro la ritrova «sotto un tappeto d’edera» e gli pare «raggiante, perfettamente felice».
Al lettore il compito ulteriore di sezionare quest’anima suo malgrado scoperta, oltremodo onesta, tutta da proteggere.
Geminello Alvi