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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

METTI UNA SERA A CENA CON DELON. PARTE II

L’altra volta avevamo lasciato Adriana Trentin che aspettava a casa la telefonata di Alain Delon che l’aveva invitata a cena dopo averla conosciuta per caso sul set...
good mood, via turati. «Tanto ero sicura che non mi avrebbe chiamato e allora sono corsa da Ricordi, luogo di molti sogni dove si amoricchiava chiusi nelle cabine ad ascoltare dischi, e ho comprato una ventosa con un aggeggio che si attaccava al registratore e al telefono. Pensavo, non chiama di sicuro ma se chiama almeno avrò la prova che non sto sognando. Ha chiamato invece, puntuale, e io ho risposto ansimando e sono andata a prenderlo con la mia A112 al Principe e Savoia. Seguiti da Zina, la sua guardia del corpo, su una Citroën Maserati nera, mi pare di aver passato tutti i semafori col rosso. Siamo andati a mangiare in via Fiori Chiari; c’era anche Giovanni Soldati, che era aiuto regista, Marc Porel e altre due ragazze, diventate poi mie amiche, con cui qualche volta ci immalinconiamo ricordando quella sera di cui non abbiamo dimenticato neanche un particolare. Ero seduta di fianco a lui. Com’è stato? Spiritoso, ironico, compìto e gentile, bellissimo. Mi ha preso in giro perché mi sono alzata da tavola venti volte per fare pipì per l’agitazione e per chiamare mio padre a rassicurarlo che andava tutto bene (eravamo in era pleistocenica ma le voci sul côté per male di Delon erano note anche senza internet e Novella 2000). Abbiamo condiviso una milanese, ero muta e imbarazzata. Poi siamo andati al Good Mood in via Turati, mi ha invitato a ballare, mi ha chiesto se mi sentivo bene perché mi è venuto un attacco d’asma; mi sono detta: io glielo dico tanto chi lo rivede più? Sono molto emozionata, ho sussurrato mentre mi accarezzava la schiena, credo per sentire se avevo il reggiseno, sì lo avevo, e lui, che si aspettava l’avventura con la ragazza bien un po’ meno reticente, è rimasto deluso e ha voluto che lo riaccompagnassi verso l’albergo. L’ho lasciato a un semaforo di piazza della Repubblica. Vieni a trovarmi se vuoi, mi ha detto, giriamo al parco domani... L’ho guardato allontanarsi, aveva un cappotto blu, non quello cammello della Prima notte di quiete ma la camminata era la stessa, con le mani in tasca, l’aria cupa, la stessa vista tante volte nei film. Mi è sembrato un uomo triste. Disperata, non so neanche come sono arrivata a casa e sono rimasta sveglia tutta la notte seduta sul letto a darmi della cretina. Qualche giorno dopo è arrivata Mireille Darc con un’amica bellissima e nera, si diceva che avessero una storia a tre e io sono corsa a comprare il 45 giri di Song Song Blue, la canzone che avevamo ballato e ho anche pianto.
Avevo 19 anni, non so se rimpiango di non avergliela data, non credo. Mi spiace di essermi emozionata così tanto da non essere riuscita neanche a spiccicare due parole. È andata così, ero fatta così e forse è naturale che, con molti anni in più, le pippe del romanzo di Missiroli mi abbiano annoiato. Altre sono le emozioni, credo, almeno per me, e, in un libro che avrei ricordato perché scritto bene, mi hanno urtato e non ricordo più la storia. Mi scusi se non ho messo le maiuscole, stasera proprio non ne avevo voglia».
Non si preoccupi, le metto io. E grazie.