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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

NIBALI: «COSI’ BELLA, COSI’ SPECIALE, È LA SANREMO»

Vincenzo Nibali alla vigilia della Milano-Sanremo apre le porte di casa, e del suo cuore, alla Gazzetta. E in un ambiente sempre più difficile, dove tanti non si sa con quali titoli si sentono fenomeni; dove sempre più spesso il pubblico, la gente della strada, sembra quasi un fastidio per squadre e corridori, il fatto ha l’aspetto dello straordinario. Del resto Vincenzo è un fuoriclasse anche per questo, straordinario nella sua normalità. Un uomo perbene, un patrimonio ciclistico da tutelare.
Così volano via quasi due ore di chiacchierata, perché spesso le domande dell’intervista lasciano spazio a considerazioni e a scambi di opinione, in cui lo Squalo risponde, spiega, argomenta. Sempre con il sorriso negli occhi, spesso tra abbracci e strilli — e qualche scarabocchio sulla poltrona in pelle rossa — della piccola Emma. Rachele, la moglie, sorveglia discreta. Preziosa e quasi invisibile. Però, nell’arredamento, si nota il suo tocco. «Quando siamo arrivati in questa casa sembrava di stare in un ospedale. Era tutto bianco. Ho messo un po’ di colore, di vita», dice. Vincenzo, poi, confida di quel vicino della casa di fronte che lo ha infastidito perché «mentre facevo i rulli sul terrazzo ho notato che mi guardava in casa con il binocolo. Eh no, mi sembra troppo». Capito la discreta Svizzera? «Eh, ma questa è una parte d’Italia».

Nibali, perché ha deciso di correre la Sanremo? Sulla carta, è la classica meno adatta a lei.

«Corro la Sanremo perché è bella. Corro la Sanremo perché me lo chiedono amici, compagni, tifosi… Corro la Sanremo perché spero anche in un colpo di fortuna».

La condizione è quella voluta?

«Quando ci siamo visti la prima volta in questa stagione? A Montecatini, primo ritiro. Come mi hai visto? Magro, vero? È da ottobre che mi alleno per essere in condizione dalla Tirreno alla Liegi. Se non dovessi andare forte sarebbe preoccupante. Qualche risultato è arrivato, sono sereno».

A ottobre si notava subito la magrezza insolita per quel periodo. C’era un piccolo segreto.

«Sì. Ho fatto una dieta senza carboidrati, zero totale. Si chiama dieta chetogenetica, mi ha seguito Emilio Magni, il mio medico in Astana. Mi sono trovato molto bene, mi è stata utile, ma ora in stagione di corse non la seguo».

Un punto chiave?

«La chiave della Sanremo sono i corridori, come fanno la corsa. Se si corre a catenaccio o si fa dura. Non esiste un punto x. Anche se sono all’80%, i velocisti possono passare Cipressa e Poggio e giocarsi la vittoria».

Che corsa si aspetta?

«Ci sono corridori molto importanti, oltre a me, che devono muoversi: Van Avermaet, Cancellara, Sagan… Gaviria, Kristoff, Bouhanni, Matthews sono molto veloci».

La Cipressa può decidere?

«Difficile che si muova qualcuno così da lontano. Però se la si fa forte si intossicano i muscoli dei velocisti. Poi bisogna vedere il vento… Nel 2014 ero d’accordo con Sagan di attaccare lì, invece poi lui non s’è mosso. Potere delle radio».

Da fine Cipressa ai piedi del Poggio ci sono 9.100 metri.

«Interminabile. Se sei da solo muori. Io nel 2014 mi sono finito lì. E il Poggio vuol dire sei minuti a fuoco, in acido. Spero di avere la gamba e non dovere stare a ruota dei velocisti. La discesa, invece, non fa danni, come la prendi, arrivi».

Traguardo: meglio via Roma o Lungomare Calvino?

«Via Roma: è la storia della corsa. Può diventare leggenda».

Favorito?

«Cancellara. Poi Sagan».

Primo ricordo della Sanremo?

«Da ragazzo la vittoria di Chiappucci, e quella di Kelly del 1992. Forza, ma anche fortuna. Da corridore il terzo posto di Paolini nel 2006, in Liquigas».

Nel 2013, bufera di neve, il peggior giorno della sua carriera?

«Non lo so se in assoluto il peggiore. Però non ho mai preso così tanto freddo in vita mia. Ero congelato, mi veniva persino da vomitare».

Consigli prima del via?

«In ammiraglia ci sarà Zanini. Chi conosce la Sanremo meglio di lui?».

La corsa che noi non vediamo, quella dentro il gruppo. Com’è?

«La corsa parte già da piazza Castello, non in via Chiesa Rossa. Basta distrarsi un attimo e tra rotaie, pavé e altro è un attimo cadere e finire già fuori corsa. Poi un’oretta abbastanza “andanti”, la fuga e la corsa che si assesta. Con i compagni si fa il punto, verso Tortona c’è spesso vento e il gruppo potrebbe frazionarsi. Sosta “tecnica”, e prima del Turchino bisogna già essere in posizione anche se non è più come anni fa. Prima la galleria era un imbuto, ora ci si sta tutti. Sul mare comincia un’altra Sanremo: si controlla la fuga, i Capi, capisci che gamba hai, anche se il test vero è sulla Cipressa. Ai compagni chiederò di starmi vicino. Di controllare se in gruppo ci sono facce strane».

Sul lettino di Michele Pallini, la sera prima?

«Massaggio normale, non sono più un novellino che si stressa e gli va il cuore a mille. Quello che mi pesa di sicuro è la sveglia che non sarà più tardi delle 6.30. Svegliarmi presto non mi è mai piaciuto e di solito mi lascia di cattivo umore fino al pomeriggio».

Meteo: è previsto sole.

«Molte grandi corse le ho vinte con la pioggia, ma 300 km sotto l’acqua non è piacevole. C’è da dire che quando piove metà gruppo ha già perso prima del via».

E i ritiri?

«I giorni passano meglio se hai vicino la famiglia, ma questo non sempre è possibile. Comunque mi piace il ritmo cadenzato e ordinato dei ritiri. In ritiro fai solo il corridore, a 360 gradi. Sto bene».

C’è tempo per parlare di futuro.

«Prossimo o remoto? Dopo il Giro d’Italia, dove credo di avere buone chance di vittoria, bisognerà tirare le somme».

A naso, aumentano le possibilità che lei resti ancora in Astana

«E’ un discorso molto ampio che va molto oltre il lato economico. In primo luogo viene il gruppo: compagni, allenatore, massaggiatore, medico… (otto persone circa, ndr). Poi conta il progetto, se uno crede fino in fondo in me o meno. La fiducia deve essere totale, 100%. Senza se e senza ma. Devo dire che in Astana quest’anno siamo partiti molto bene, c’è grande armonia. Ci sto bene. Vinokourov (anche ieri era in Kazakistan per avere ancora più soldi da mettere sul piatto, ndr) ha fatto la sua proposta con una tabella premi importante. A cambiare sai quello che lasci, ma non quello che trovi»

E la convivenza con Aru?

«Io ho corso anche con Basso e noto la differenza: c’è un abisso. Ivan era una persona molto aperta, difficile vederlo arrabbiato. Non perché era vecchio, perché era saggio. Fabio si arrabbia spesso, diventa irascibile. Certo, io all’epoca ero il giovane, ma ero diverso: seguivo Ivan. Fabio non chiede nulla, non ti tiene in considerazione. Si fida di altre persone. Il suo punto di riferimento è Tiralongo, che ha corso con mille capitani e ha esperienza anche lui».

Con la Trek discorso chiuso?

«No. Quando ancora non avevo Paolo Slongo, avrei voluto essere allenato da Luca Guercilena, questo per dire la stima che ho della persona. Hanno fatto la loro proposta perché vogliono un corridore da grandi giri. Però non so quanto interesse abbiano davvero nei miei confronti».

Resta il team che dovrebbe nascere nel 2017 in Bahrain.

«Che abbia conosciuto il principe è una cosa nota, ci siamo visti a Dubai. Ha in mente un progetto, vediamo se si concretizza».