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 2016  marzo 18 Venerdì calendario

GOLLINI: «IO TRA FOLLIA ED EQUILIBRIO»

Sorridere pensando al passato non è da tutti, ma da Gollini sì. Ed è fortunato perché nonostante compia 21 anni oggi di passato ne ha tanto. Grazie alla sua parata finale su Kalinic, il Verona somiglia al suo centro di allenamento in queste mattine: cielo cupo per la classifica, ma alberi in fiore che danno speranza e rappresentano un tesoro per il futuro. Quel miracolo? Semplice: «Istinto e testa. La partita stava per finire, azione concitata, c’era un mezzo fallo, pareva fuorigioco... la mia forza è stata rimanere concentrato, poi è venuta naturale: ero piazzato bene, ho seguito la palla. E sono stato bravo a buttarla fuori, a non rimetterla in area».
E’ il suo secondo sgarbo a Firenze. Del primo parliamo dopo, questo come l’hanno preso?
«Tanti complimenti. Tra tutti mister Betti, mi allenava nelle giovanili: mi ha fatto l’in bocca al lupo, il primo allenamento al Franchi l’avevo fatto con lui. Gli ho risposto dopo la gara che forse era destino tornarci, in A e con una parata così».
Portieri si nasce, lei però non ha fatto solo quello...
«Il calcio l’ho sempre avuto in testa. Da bambino non volevo vedere i cartoni, ma le partite con mio padre. Poi mi prese la Spal negli Esordienti, da difensore. Mi allenavo di fianco a dove giocavo con gli amici: tutto il giorno prima in porta al campetto, poi in difesa con la squadra. Un giorno mi misi a martellare l’allenatore dei portieri: “Fammi provare, sono bravo”. E lui: “Quando vieni con dei guanti magari...”».
E i guanti li aveva?
«Certo, li chiedevo ogni anno a Babbo Natale. Li portai, videro che non ero male, poi finì l’anno e mi fecero: “Ti confermiamo, decidi tu: porta o difesa?”. Non ebbi dubbi».
A 16 anni, quando passò dalla Fiorentina al Manchester United, di dubbi ne ebbe?
«Me lo dissero e passai la notte a guardare il soffitto: sarei partito la mattina dopo. Mi hanno accusato di aver fatto questa scelta per soldi, ma non è vero: la mia famiglia non ha preso un euro. Era la voglia di confrontarmi con un mondo nuovo».
Che esperienza è stata?
«Formativa ma dura. In Italia a 16 anni vivi il calcio come un gioco, lì è già un lavoro. Hanno più soldi di noi e li investono nello sviluppo dei calciatori. Guardi lo United ora: a causa degli infortuni dà spazio a tanti ragazzi e sono tutti già pronti».
E nel suo Manchester United i rapporti com’erano?
«Il primo giorno vado in mensa, passano Giggs e Ferdinand e mi salutano. Dopo l’allenamento Rooney e Mata facevano gara di punizioni e mi chiamavano. Ogni tanto entravo nella contesa, tipo che Rooney mi fa: “Oh, su 10 te ne segno 7”. E io: “No, no, meno”. Qualcuna gliela paravo, anche se mollava certe botte... Ecco, confrontarmi così giovane con campioni così mi ha fatto crescere».
E Pogba se lo ricorda?
«Gran personalità, colpi da campione e la reputazione di quello forte. Però forse l’hanno sottovalutato, non pensavano che potesse diventare quello che è ora».
Molti hanno fatto il suo percorso e si sono persi. Lei è esploso quando è tornato in Italia...
«Ognuno ha la sua strada e la sua testa. Io dopo tre anni volevo tornare, ma è stata una scelta legata al ruolo: mi serviva un allenamento tecnico differente. La nostra scuola di portieri è superiore alla loro, lo dice la storia. Se fossi stato un difensore forse non sarei qui, chissà».
«L’Italia è timida nel lanciare i giovani», diceva. Però il Verona con lei c’è riuscito...
«Ho scommesso su me stesso e non sono sorpreso. Ci ho messo del mio, e il Verona mi ha dato un ruolo importante. Sono partito come secondo, non ci sono tanti altri secondi di 20 anni. Dal presidente a Sogliano prima e Bigon poi, fino al mister Petrelli che mi allena: il lavoro di tutti mi ha dato l’opportunità. E io resto concentrato».
Cos’è andato storto in questa stagione?
«C’è un po’ di demerito di tutti, potevamo fare di più, il cambio di allenatore ci ha dato qualcosa, ma sono convinto che se il campionato cominciasse oggi non ci troveremmo in questa situazione e ci salveremmo. Spesso la fortuna ci ha voltato le spalle, ma la fortuna è dei forti e uno dev’essere anche bravo ad averla».
Dovete affrontare quasi tutte quelle che lottano per salvarsi. Un po’ ci credete?
«Certo, è il nostro dovere. Il punto di Firenze ci dà forza, col Carpi giochiamo la nostra finale di Champions. Battiamolo, giochiamole tutte al massimo e poi vediamo».
Il suo rapporto con un totem come Toni?
«Proprio l’altro giorno mi diceva: “Ah, sei nato il 18 marzo del 1995? Io il giorno dopo esordivo nel Modena”. Per me avere un compagno campione del mondo è il massimo, lui poi è super, una bandiera. Oltre che IL bomber».
Quando non gioca cosa fa?
«Seguo il basket, ascolto hip-hop e soprattutto videogame. Se qualcuno vuole sfidarmi, il mio gamertag è thebossPG. Gioco a Nba 2k e a Fifa».
Nel suo futuro vede l’azzurro? Magari l’U21, dove ancora non l’hanno chiamata...
«Qualsiasi Nazionale è un mio obiettivo. E anche se mi chiamano in U20, ci vado con piacere e do il massimo».
Magari un giorno si giocherà la Nazionale senior con Donnarumma
«Me lo auguro. Nella nostra posizione abbiamo tanto da perdere: il difficile è ora, nel confermarci, sentirci arrivati a quest’età è il peggio che possa capitarci. So di essere forte ma anche di poter essere più forte».
Risposta responsabile. Di solito i portieri non sono così posati...
«Mi accusano del contrario, di avere un carattere che va un filo oltre. Ma non credo. Ho una personalità forte, sono estroverso, ma sempre nel rispetto di tutti. Un po’ di follia ci vuole, però se c’è da essere seri ci sono. Il portiere non può mai togliere la testa dalla partita, serve anche equilibrio».
Facciamo un gioco: Mondiali 2022, faccia la sua Italia.
«Io in porta, Romagnoli e Rugani centrali, Florenzi a destra, Darmian a sinistra. Poi Verratti, il più forte degli italiani, con Baselli e Cristante. Davanti Insigne, Berardi e Bernardeschi».
Poi declama di nuovo la squadra. «Tanta roba, oh». E sorride.