Guido Fontanelli, Panorama 17/3/2016, 17 marzo 2016
EMISSION POSSIBLE
Non si è ancora spento lo scandalo del «dieselgate» e Giovanni De Santi, direttore dell’Istituto per l’energia e il trasporto del Joint research centre di Ispra, sul lago Maggiore, già evoca forme di inquinamento che voi umani neanche vi immaginate: «Lo sa che un’auto elettrica, con tutte quelle batterie a bordo e per l’intensità delle correnti in gioco, può creare un forte campo magnetico? Quale sarà l’impatto sulla salute? Che succederà quando decine, centinaia di queste vetture viaggeranno sulle strade di un mondo sempre più interconnesso, magari insieme a veicoli senza conducente completamente automatizzati?». De Santi parla con l’entusiasmo di un ragazzo in un’enorme stanza ricoperta di pannelli quadrati, un laboratorio unico al mondo dove si misurano i campi magnetici delle auto ibride ed elettriche, con tanto di piattaforma rotante nascosta sotto terra. Fantascienza vista lago.
De Santi, 60 anni, un ingegnere alto e asciutto, guida con orgoglio un’eccellenza internazionale nel campo della misurazione dell’impatto ambientale e dell’efficienza energetica. Uno di quei gioielli che gli italiani non sanno neppure di avere sotto casa: l’Istituto per l’energia e il trasporto si trova all’interno del Jcr, un’enorme campus di laboratori e centri di ricerca che occupa quasi 170 ettari, un terzo del territorio del comune lombardo di Ispra. Recintato e protetto da vigilantes, il Jcr appartiene alla Commissione europea ed è formato da 138 edifici in cui lavorano1.850 dipendenti e collaboratori. Con i suoi studi sulle più svariate tecnologie, dal nucleare all’ecologia, il centro fornisce supporto scientifico a Bruxelles. All’interno del Jcr, dal 2000 opera il laboratorio per le emissioni da veicoli (Vela) che fa parte dell’istituto guidato da De Santi: fu creato per fornire all’Europa dei dati indipendenti sui consumi e le emissioni di moto, auto e camion. Partito con un laboratorio, ora ne conta ben nove e ha circa un centinaio di dipendenti. Qui è stato messo a punto il test adottato in tutta Europa per omologare le nuove vetture (quindi stabilire se rispettano le varie normative Euro).
Qui è stato definito lo standard dei filtri anti-particolato che, dopo una dura battaglia con i costruttori europei, sono ora montati su tutte le auto diesel. E sempre in questo istituto, grazie al lavoro dei suoi tecnici, sono emersi nel tempo i limiti del vecchio test di omologazione (condizioni troppo lontane rispetto alla guida reale e di conseguenza dati poco affidabili sui consumi) ed è stata messa a punto la nuova metodologia che entrerà in vigore il prossimo anno: la Wltp (Worldwide harmonized light vehicles test procedures) e la Rde (Real driving emission) che dovrebbero finalmente dirci quanto consuma e quanto inquina effettivamente un’auto. Lo scandalo del dieselgate, con i motori delle Volkswagen modificati per superare i test, hanno infatti alzato il velo sull’inefficacia delle misurazioni attuali e sui trucchetti usati dalle case automobilistiche. Un tema al quale Panorama ha dedicato il 24 settembre 2015 il servizio di copertina, che mostrava gli scostamenti tra consumi dichiarati e consumi effettivi di una trentina di auto.
«A differenza del test precedente» spiega De Santi mentre indica un monitor piazzato davanti a una Volkswagen Golf collegata agli strumenti, «il Wltp è più dinamico: dura 30 minuti ed è suddiviso in quattro parti con una fitta serie di accelerazioni e decelerazioni che simulano la guida in città, extraurbana e in autostrada». Ma la vera novità è l’altro test, l’Rde: una verifica delle emissioni inquinanti fatta su strada. Domanda: come si fa a condurre delle verifiche omogenee guidando in condizioni di traffico e meteo che ogni giorno possono essere molto diverse? «Dal 2006 abbiamo iniziato a usare una nuova strumentazione che prima non era disponibile» risponde De Santi. «Una strumentazione che mette insieme elettronica, informatica e analisi chimica e che può essere montata a bordo di un veicolo. L’auto va guidata in città, in campagna e in autostrada: il test è affidabile e può durare anche più di tre ore».
Questa apparecchiatura, grande più o meno come due personal computer, dovrà essere adottata dai centri che nei vari Paesi europei si occupano di omologazione dei veicoli. Il risultato è che, con un test più severo e una verifica su strada, probabilmente scopriremo che le auto consumano di più di quanto finora hanno dichiarato. «Di quanto esattamente non si può dire» mette le mani avanti De Santi. «Però è vero che quando abbiamo iniziato a fare i controlli su strada, abbiamo scoperto che mediamente i consumi erano il 20 per cento più alti rispetto ai risultati dei test ufficiali».
Ed proprio grazie a questi controlli che si è accesa la miccia del caso Volkswagen, con la casa tedesca accusata il 18 settembre 2015 dalle autorità americane di aver truccato i motori diesel per superare i test sul biossido d’azoto. La storia è questa: nel 2005 l’istituto guidato da De Santi venne incaricato di studiare le cause dell’inquinamento in Lombardia. Dall’indagine emerse un dato sconcertante: le emissioni inquinanti dei veicoli erano più alte di quanto era logico aspettarsi in base al numero di mezzi che circolavano per strada. Di qui l’avvio di una ricerca, condotta tra il 2009 e il 2011 da un gruppo di specialisti guidati da Martin Weiss e Pierre Bonnel, per verificare se le emissioni di gas, in particolare quelle di azoto, in condizioni di guida reale eccedessero i limiti di legge. Vennero presi in esame 12 veicoli diversi, guidati lungo quattro itinerari tra Milano, Varese, Ispra, il Lago Maggiore e il Sacro Monte. Alla fine il verdetto fu impietoso: i risultati delle misurazioni delle emissioni indicavano che l’ossido di azoto eccedeva i limiti di 2-4 volte, con punte fino a 14 volte. Ed è questo studio del 2011 ad aver stuzzicato la curiosità degli esperti che, nel 2015, cercavano di capire come mai le emissioni di biossido di azoto delle Volkswagen negli Usa fossero così diverse rispetto a quelle rilevate in Europa. Ma è anche la prova che i nuovi test adottati un Europa non sono una conseguenza dello scandalo del dieselgate, nascono molto prima: il laboratorio di Ispra ha iniziato a lavorare al Wltp cinque anni fa. La metodologia è stata approvata dagli organismi Onu di Ginevra due anni fa e un anno dopo ha ottenuto il via libera dalla Commissione europea. Infine, martedì 2 febbraio il Parlamento europeo ha dato il via libera ai nuovi limiti sulle emissioni dei veicoli in condizioni di guida reale (Rde). Limiti più laschi rispetto a quelli applicabili in laboratorio che hanno provocato le proteste degli ambientalisti, ma che, secondo la Commissione europea e soprattutto le case automobilistiche, sono giustificati dalla necessità di verificare il funzionamento dei nuovi dispositivi portatili di misurazione messi a punto proprio a Ispra.
De Santi intanto guarda avanti: nell’ottobre del 2015 è stato inaugurato il laboratorio dedicato alle vetture elettriche e alle reti intelligenti. «Oltre ai problemi legati ai campi magnetici» ricorda l’ingegnere «dobbiamo studiare gli effetti di una motorizzazione elettrica di massa sulle reti: saranno in grado di reggere la ricarica di milioni di vetture? E a che prezzo?» Problemi apparentemente lontani, ma che nei laboratori di Ispra sono già maledettamente vicini.