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 2016  marzo 12 Sabato calendario

SE NEL CURRICULUM DAI IL PEGGIO DI TE


Non tutti hanno il lavoro che si meritano. Spesso, a dire il vero, neanche il curriculum. Internet ormai ci ha abituati a esprimerci e a interpretare il mondo con altri strumenti, in diagonale e senza limiti, per indizi, citazioni e affinità. Nel gran technicolor del web, quell’elenco uniforme di dati scritti in Word appare laconico, inespressivo, sempre meno adatto a raccontare la personalità e l’esperienza di un professionista alla ricerca di lavoro. Soprattutto per chi lavora in campo creativo, il famigerato curriculum vitae oggi sembra non bastare più. Eppure, per quanto apparentemente sorpassato, resta ancora uno degli strumenti indispensabili per cercare lavoro e per selezionare personale.
Lo sa Chiara, fashion designer freelance di 33 anni: «Aggiorno sempre il mio cv, ma non lo considero un ritratto fedele di me e tanto meno del mio percorso. Se scegli di non lavorare per grandi aziende ma di dedicarti a far crescere marchi medio-piccoli, è difficile che nel tuo curriculum riecheggino nomi altisonanti, e quindi forse non sarà notato. Ritrovarsi a spedire curriculum, per professionisti come me, è come uscire in tuta. Non che mi stia male, intendiamoci... ma difficilmente attirerò la tua attenzione in mezzo alla folla di chi come me sta cercando nuovi clienti».
Nell’era di Linkedln, dei colloqui via Skype, dei portfolio online, né le aziende né i candidati sono riusciti a inventarsi un sostituto del famigerato A4 allineato a sinistra, e sempre più spesso candidature e offerte di lavoro si esprimono con linguaggi piatti e stereotipati. Come ha ricordato di recente il Guardian in un articolo che analizzava il tone of voice del mondo del lavoro britannico, «le aziende hanno i candidati che si meritano»: è difficile pescare talenti da un oceano di «motivati, creativi e appassionati», e altrettanto far crescere un’azienda se il suo Ceo si esprime per frasi fatte e impersonali.
«La concorrenza oggi è spietata», spiega Livia Quadriano, addetto alle risorse umane del sito inglese per freelance PeoplePerHour, «ma anche le occasioni di lavoro si sono moltiplicate. È il linguaggio – dei cv e delle offerte – che non ha ancora saputo adattarsi. Incontro spesso persone infinitamente migliori dei loro résumé. Il contrario accade di rado. Non dimentichiamo il biglietto da visita di Albert Einstein: “Professore e fisico”, punto e basta. L’ho sempre trovato istruttivo». E allora come riuscire a farsi notare? Il web è spesso d’aiuto.
Di recente c’è stato il caso di Nina Mufleh, una creative strategist americana originaria del Medio Oriente che voleva a tutti i costi lavorare per Airbnb. Nina aveva inviato il suo cv più volte senza ottenere risposta. Così si è inventata nina4airbnb.com, un mini-sito costruito su misura per presentare il suo profilo al colosso dello short rental, in cui – ricalcando il tone of voice e lo stile grafico del colosso della sharing economy – raccontava se stessa e proponeva un’analisi di quello che l’azienda di San Francisco avrebbe secondo lei dovuto fare per espandere il suo mercato nei mercati medio-orientali.
Solo allora Nina è stata immediatamente contattata dal Ceo di Airbnb, Brian Chesky, e ha ottenuto il colloquio che voleva. Non è stata assunta, ma la sua idea in poche ore ha fatto il giro del mondo e, scrive Mufleh, «ha fatto decollare la mia carriera, spalancandomi porte su mondi e aziende altrettanto interessanti».
La morale della storia sembrerebbe: se vuoi emergere, inventati qualcosa di diverso. Ma non sempre un curriculum creativo aiuta, anzi.
«Quando devo scegliere un nuovo designer», racconta Francesco Cavalli, uno dei direttori creativi di Leftloft, studio di design indipendente con sede a Milano e New York, «scarto a priori due tipi di curriculum: quelli in formato europeo e quelli troppo fantasiosi. Sono due opposti; il primo “conformista” e il secondo “ribelle”; entrambi però dimenticano una regola che un bravo designer deve sempre tenere a mente: God is in details. Anche il font che scegli conta, i margini che scegli, il modo in cui costruisci la pagina... oltre a quello che scrivi, ovviamente! Ormai quasi tutti i grafici hanno la loro pagina su Behance, ma il curriculum rimane in un certo senso più personale: il portfolio è il tuo lavoro, il curriculum sei tu, da dove vieni, come ti presenti al mondo, senza layout prestabiliti. Detto questo, temo che non sopravviverà ancora per molto. Ci affideremo sempre di più a Linkedin e simili, come già sta accadendo negli altri Paesi del mondo».
Per il momento, in realtà, Linkedin ha preso piede soprattutto in America, Canada e Regno Unito (ma ha battuto ogni record in Islanda, dove risulta iscritto il 30% della popolazione). Da noi, il tasso degli utenti attivi è pari solo al 9%. Proprio come in Francia, dove, insieme al cv è d’obbligo inviare anche una cosiddetta “lettera di motivazione”, un breve testo formale a sostegno della candidatura. «Quella sì che è diventata quasi una formalità, ormai», racconta a pagina99 Maxence Petitjean, che lavora a Parigi per Radio France e ogni giorno si occupa di selezionare giornalisti e redattori specializzati nel campo dell’informazione. «Formule stereotipate, concetti ingessati: quando devo scegliere qualcuno per un colloquio la lettera di motivazione non mi serve quasi a niente. Giusto a controllare che non ci siano errori di ortografìa! Per il cv è diverso: è una convenzione “all’antica” ma resta necessario. Non credo che scomparirà mai davvero. In compenso, ricevo sempre più spesso cv longform creati con Shorthand o applicazioni simili, che non elencano, ma raccontano, trasformando il résumé in un discorso narrativo e personale».
In attesa di scoprire se il fatidico stampato A4 scomparirà o meno, in molti stanno quindi provando a ripensarlo, nella forma e nel contenuto. Sono ovviamente i creativi quelli a cui il cv canonico va più stretto. Anche perché, si sa, oggi sempre più spesso non si fa un lavoro solo per vivere, e le competenze sono ibride, così come le esperienze e i percorsi possibili. «Sono entrato a scuola facendo teatro, ne sono uscito due anni dopo programmando un videogame», racconta a pagina99 Francesco Nappi, ex studente della Scuola Holden di Torino. «Il cosiddetto storytelling ha spalancato i confini delle storie, si è narratori nei campi più diversi, con la conseguenza – paradossale – che diventa sempre più difficile spiegare agli altri quello che fai, perlomeno seguendo gli schemi classici di presentazione. Quando, dopo il diploma, mi sono trovato a rimettere mano al mio curriculum, ho capito che bisognava fare qualcosa. È lì che è nata l’idea di una app sostitutiva del classico cv, in grado di tracciare una mappa esaustiva e interattiva della tua personalità e delle tue esperienze. È una geografia complessa, ci lavoro da un anno, l’idea è quella di riuscire a modularla su target professionali differenti».