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 2016  marzo 17 Giovedì calendario

HOOPER, C’È GLORIA IN PISTA

Mesi di allenamento e ti giochi tutto in soli sette secondi. Un battito di ciglia dureranno i 60 metri di Gloria Hooper che si giocherà in questo fine settimana il mondiale indoor di atletica, a Portland in Oregon, Stati Uniti. L’azzurra è di casa ormai in America, dal novembre 2014 vive e si allena in Florida all’Img Academy di Bradenton sotto gli insegnamenti del “guru” della velocità Loren Seagrave e con la compagnia dell’altra azzurra d’origine cubana Libania Grenot. Gloria dall’altra parte del telefono ha la voce pulita e brillante, quasi avesse dentro di sé i colori dell’Africa, il suo continente d’origine. Ma lei non ha confini, per questo dopo aver conquistato il bronzo europeo junior del 2011 e altri due bronzi (200 e 4x100) agli europei under 23 del 2013 aveva bisogno di altro.
Gloria, perché ha deciso di partire?
«Nel 2014 non mi sono piaciuta ed ero in crisi. Ho voluto questo biglietto di sola andata verso gli Usa perché i sogni non aspettano e in soli cinque giorni quando arrivai mi sentii come rinata».
Quando finirà questa esperienza americana?
«In teoria dura un biennio, quindi alla fine di questo 2016. Ma ho tutta l’intenzione di rimanere ancora qui. Sto valutando anche di riprendere gli studi magari online con l’Italia oppure trovare una facoltà universitaria qui vicino. Studiavo biotecnologie, ma sono aperta anche ad altri settori».
Appartiene alla seconda generazione, ovvero fa parte di quei figli di stranieri arrivati in Italia. Ci racconta la sua famiglia?
«I miei genitori sono originari del Ghana e si sono conosciuti a Napoli. Sono nata e vissuta in provincia di Verona e ho avuto la fortuna a 16 anni di avere il passaporto italiano e dunque non aver problemi a vestire la maglia azzurra. Non per tutti è così semplice la trafila burocratica. Siamo cinque fratelli, ora un po’ dispersi per il mondo, ma siamo comunque sempre uniti. Due mie sorelle vivono a Londra, i miei genitori sono a Liverpool con i miei due fratelli più piccoli ed io negli Stati Uniti».
Riuscite ancora ad andare a cantare in chiesa?
«È la nostra passione il canto gospel, l’abbiamo fatto spesso tutti insieme. I miei genitori sono pastori protestanti, io stessa vado sempre in chiesa, mi dà forza e serenità.
E da quando sono qui ho ricominciato a suonare la chitarra».
È mai stata in Ghana?
«Non sono mai riuscita ad andarci ma vorrei farlo presto. Vorrei andare a salutare nonna Selina che ha vissuto qualche anno con noi in Italia e poi è voluta tornare in Africa. Conosco il cibo e la cucina, presto ci andrò».
Vale la pena andare all’estero ad allenarsi? Consiglierebbe questa esperienza anche ad altri atleti italiani?
«È una domanda difficile, senza una risposta vera. Io avevo bisogno di cambiare e ricominciare. Non è detto sia una regola generale valida per tutti gli atleti. Sono maturata molto da quando sono partita, lavorando anche con un mental-coach. Qui non hai distrazioni, il focus è sempre e solo l’allenamento e la tua prestazione, la concentrazione è sempre massima. Anche se non è stato tutto così semplice e piacevole».
Quale la difficoltà più grande di questi mesi?
«Ho dovuto imparare a correre nuovamente. Qui utilizziamo una tecnica di corsa completamente diversa rispetto all’Italia. Mi sono dovuta rimettere in gioco facendo mille esercizi per assimilare i nuovi movimenti. Sono una perfezionista di natura e solo ora li considero automatismi, sto iniziando a raccoglierne i frutti».
Sabato la vedremo impegnata sui 60 metri, ma la sua gara sono sempre i 200 metri?
«Da oltre un anno mi sto impegnando per migliorare la prima parte di gara, quella dove sono più deficitaria. I 60 metri sono un brivido, non hai margine di errore, non respiri nemmeno. Ho fatto il mio personale di 7’32 in Alabama a inizio febbraio ma credo che sia ancora migliorabile. Nei 200 metri ho 22’92 di primato ma sono sicuro di poterlo abbassare per un bel po’. Quella sarà la mia gara a Rio 2016».
Ha solo 24 anni e sarà alla seconda Olimpiade in carriera. Cosa si aspetta?
«Di essere più competitiva. A Londra avevo poca esperienza, era tutto nuovo, ho vissuto quei giorni con tanta intensità ma era come fossi nel paese dei balocchi. Ora ho fatto anche i mondiali di Pechino 2015, conosco le grandi competizioni e credo di essere più calma, ovvero presente e meno distratta oltre che più cosciente di me stessa. Voglio la finale dei 200 metri, voglio un posto tra le prime otto del mondo».
Nell’atletica c’è il razzismo?
«Credo che a nessuno importi del colore della tua pelle. Conta solo correre più forte o saltare o lanciare più dei tuoi avversari. Il bello dell’atletica è che da sempre è davvero globale. Ai mondiali o Olimpiadi ci sono oltre 200 Nazioni rappresentate. In Italia o qui negli Usa non ho mai avuto problemi di alcun tipo. Quello che conta è solo il cronometro, adoro l’atletica anche per questo».
Non ha paura che le sue avversarie potrebbero barare col doping?
«Credo non lo facciano. È difficile ora scappare ai controlli, siamo controllate fisicamente 24 ore al giorno. Dobbiamo costantemente aggiornare i nostri movimenti dichiarando dove dormiamo ogni notte e anche durante il giorno dove saremo e dove ci alleneremo. Alcune Nazioni hanno coperto i loro atleti fino a qualche tempo fa, ma ora credo non sia più possibile».