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 2016  marzo 16 Mercoledì calendario

IL REGISTA DEI GIOCHI

[Intervista a Fernando Meirelles] –
Nel momento in cui inizio a scrivere questo articolo mancano 148 giorni, 7 ore e 45 minuti al 5 agosto ore 20 (fuso di Rio de Janeiro), alla cerimonia che aprirà la XXXI Olimpiade. In Brasile l’atmosfera è molto diversa rispetto a quando, nel 2010, la manifestazione fu assegnata alla sua città più famosa. La crisi economica è da vertigine, gli scandali coinvolgono politici fino ai vertici della nazione, metteteci anche il virus zika e capirete che c’è poco da ballare il samba. Ma quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare. In questo caso, tra i duri che giocheranno ci sono anche degli italiani.
La macchina produttiva che si occupa del viaggio della torcia (lunghissimo, viste le dimensioni del Paese), e delle manifestazioni di apertura e chiusura, è in mano a Cerimônias Cariocas (CC 2016), composta dagli italiani di Filmmaster Events (negli ultimi dieci anni hanno realizzato eventi olimpici a Salt Lake City, Torino, Londra e Sochi) e dai brasiliani Srcom. Il quartier generale, spaziosi uffici in rua da Quitanda, è nel centro di Rio, in un crocevia di traffico e baretti affollati. L’atmosfera è elettrica, da conto alla rovescia.
Si stanno reclutando 10 mila performer volontari, producendo 4 mila costumi, realizzando 76 mila chili di impalcature e 14 chilometri di cavi. I registi delle quattro cerimonie (apertura e chiusura di Olimpiadi e Paralimpiadi) sono tutti brasiliani. Con Daniela Thomas e Andrucha Waddington, il frontman del team artistico è Fernando Meirelles, autore di molti film (The Constant Gardener - La cospirazione, Cecità), nominato all’Oscar per City of God nel 2004, nonché uno dei principali produttori cinematografici brasiliani. Ci siamo incontrati negli uffici di Cerimônias Cariocas, sotto un cartello che riporta un hashtag di buon augurio: #readyforceremonies.
Come è stato coinvolto?
«Ci hanno provato per mesi e io ho resistito. Non è il mio mestiere. Ma poi mi hanno convinto: a bordo con me ci sono degli amici, era difficile dire di no. E poi, ammetto, creare qualcosa che vedranno tre miliardi di telespettatori è una grande opportunità».
Le ultime cerimonie, a Pechino e a Londra, sono state grandiose.
«La nostra non lo sarà altrettanto. Questione di budget: in Cina hanno speso 900 milioni di dollari, a Londra 450. Noi siamo vicino ai 75. E non mi pare sia il momento di eventi faraonici. Smettiamola con le stravaganze e gli sprechi. C’è altro cui pensare, meglio essere razionali. Ho riguardato le cerimonie degli ultimi decenni per farmi un’idea, penso che la migliore resti quella di Atene 2004: sobria, elegante, esprimeva i veri contenuti dello spirito olimpico».
Quindi anche voi sarete sobri. Ma Rio non è certo una città sobria.
«No, la nostra cerimonia interpreterà il carattere di Rio che è solare, allegro e festaiolo. Terremo presente che certi cliché, dal samba al calcio, sono quello che unisce, e che però bisogna stare attenti a non abusarne. Ha visto la cerimonia di apertura dei Mondiali, qui in Brasile? Fatta da un belga del Cirque du Soleil, non c’entrava niente con noi ed è stata una delle cose più brutte che si siano mai viste».
Quali sono le principali difficoltà?
«Logistica a parte, bisogna considerare che il sistema delle Olimpiadi ha un fondo di politicamente corretto che non è facilissimo rispettare. Tutti i Paesi devono essere ugualmente rappresentati e bisogna stare attenti a non offendere culture e religioni diverse».
Per esempio?
«Abbiamo fatto delle prove costumi e poi ci siamo accorti che dovremo fare non uno ma quattro passi indietro. Per noi brasiliani, esibire centimetri di pelle non è un problema, ma mostrarli agli spettatori dei Paesi arabi, per esempio, potrebbe esserlo».
Da spettatore, in passato quali sono i suoi momenti olimpici preferiti?
«Sempre Atene 2004. Vanderlei Cordeiro de Lima, il maratoneta brasiliano che stava per vincere e che venne aggredito da quel pazzo irlandese, ricorda? (Poi vinse l’italiano Stefano Baldini, ndr). Una vittoria mancata per un soffio, una vicenda umana che mi ha sempre commosso».
Le giro una domanda che si pongono molti stranieri: la sicurezza in città, durante le Olimpiadi, sarà un problema?
«No, come non lo è stato durante il Mondiale. Rio non è necessariamente la città più sicura del mondo, ma anche i criminali credo sappiano che questo non è il momento più adatto per mettersi in mostra».
Il suo film City of God, che raccontava il mondo delle favelas, ha iniziato un vero e proprio boom del cinema brasiliano.
«Sì, oggi si producono 126 lungometraggi all’anno, negli anni Novanta erano meno della metà. Abbiamo leggi che impongono a tutte le reti televisive, anche quelle via cavo, di mandare in onda alte percentuali di film brasiliani. Non credo sia merito del mio film, sono proprio cambiati i tempi e i contesti».
Lei, infatti, è molto impegnato a produrre soprattutto per la televisione. Dopo Passioni e desideri del 2011, con Rachel Weisz e Anthony Hopkins, non ha diretto altri film.
«Sono stato impegnato a lungo a preparare Nemesis, tratto da un libro su Jackie Kennedy e Aristotele Onassis. Purtroppo non si è mai trovata l’attrice americana disposta a interpretare una versione di Jackie cattiva e avida di denaro. Nemmeno Angelina Jolie ha voluto farlo, perché è amica personale di Caroline Kennedy».
È vero che non legge mai le recensioni dei suoi film?
«Ho smesso dopo le stroncature feroci che Cecità ricevette al festival di Cannes. Quella stessa mattina avevo appuntamento con un attore americano. Quando gli dissi che ero abbattuto per quello che avevo appena letto su Variety, lui mi rispose che, se avesse letto quello che era stato scritto su di lui per i primi quindici anni della sua carriera, avrebbe abbandonato il mestiere. Ho seguito il consiglio».
Chi era?
«Brad Pitt».