Stefano Boldrini, La Gazzetta dello Sport 15/3/2016, 15 marzo 2016
MANNONE: «UNDICI ANNI QUI E IN ITALIA MAI UNA CHANCE» –
Undici anni d’Inghilterra, quasi mezza vita di Vito Mannone, portiere del Sunderland, sangue siciliano e nato a Desio, Monza e Brianza. Mannone parla un inglese fluente «e certe volte mi capita anche di pensare in questa lingua», ma le origini non si dimenticano «perché mi porto dentro forte il senso della famiglia. Il mio grande rimpianto è che mio padre non abbia potuto vedermi diventare pro, se n’è andato via troppo presto e per questo quando l’Arsenal mi prelevò dall’Atalanta nel 2005, portai con me a Londra mia madre. Avevo 17 anni. Ero un ragazzino». Che è diventato un ragazzone, 189 cm d’altezza, muscoli, fisico. Il classico gigante buono, e non è un luogo comune: quando il 18 ottobre 2014 il Sunderland perse 8-0 a Southampton, fu lui a promuovere una colletta tra i colleghi per rimborsare i 2.500 tifosi che avevano seguito la squadra in trasferta.
Una data così non si può dimenticare.
«La peggiore giornata della mia carriera. Fino al 5° gol cercai di reagire, poi anch’io affondai. Prendere 8 gol può distruggere un portiere. La prima cosa che pensi quando leggi un risultato come questo è “ma chi stava in porta?”. E quello che stava tra i pali diventa il maggior responsabile, anche se il calcio è uno sport di squadra. Io non mi sottrassi alla regola. Persi il posto da titolare. Ma la mia prima preoccupazione dopo quella batosta non furono le vicende personali, ma i nostri tifosi. Rimborsare i biglietti mi parve la cosa giusta».
Nove mesi prima la sua miglior serata: 22-1-2014, semifinale di Coppa di Lega col Manchester United, 2 rigori parati a Januzaj e Rafael.
«Serata incredibile. United avanti con Evans. L’1-0 ci portò ai supplementari. Bardsley pareggiò al 119’, ma al 121’ arrivò il 2-1 di Hernandez. Ai rigori pareva tutto già scritto. In questi casi, la squadra che ha visto sfumare una finale in quel modo perde lucidità, invece noi riuscimmo a mantenere la calma. Dopo la parata sul tiro di Rafael fui sommerso dai miei compagni. I tifosi erano in delirio. E io fui votato giocatore dell’anno. È stata la migliore stagione della mia vita. Era cominciata male con Di Canio, ma con Poyet le cose erano cambiate».
Che cosa era accaduto con Di Canio?
«Con lui le cose erano filate bene all’inizio. Arrivò, prese la squadra quasi retrocessa, vinse il derby con il Newcastle e salvò il Sunderland. Ho sempre apprezzato le idee e il comportamento schietto di Di Canio, ma dopo essere stato titolare durante la preparazione estiva, alla vigilia dell’esordio in campionato mi annunciò che avrebbe giocato Westwood. Mi spiegò che io ero silenzioso, quasi cupo, mentre Westwood dava maggior serenità alla squadra. Quando Di Canio fu sostituito da Poyet (ottobre 2013, ndr ), la situazione cambiò perché il nuovo allenatore voleva un portiere più coinvolto con la squadra. Mi piace giocare con i piedi. Con Poyet ho vissuto un bel periodo».
Il suo primo allenatore inglese è stato Wenger all’Arsenal.
«Con lui non ho avuto un grande rapporto umano. Non ha mai creduto in me, ma quando giocai col Sunderland all’Emirates dopo quella fantastica serata all’Old Trafford mi disse “devo complimentarmi con me, sei un grande portiere”. Erano parole sincere. Mi fecero piacere».
L’Arsenal che cosa rappresenta nella sua vita?
«L’Arsenal mi ha lasciato dentro l’insegnamento di un grande club. È una società che ti fa crescere non soltanto come calciatore, ma anche come uomo. E io ci arrivai a 17 anni Con l’Arsenal ho vissuto momenti indimenticabili: l’esordio in Premier con lo Stoke City e quello in Champions con lo Standard Liegi a 21 anni nel 2009».
Quasi 11 anni in Inghilterra, ma zero presenze in Serie A.
«Per me è un mistero. Ho anche giocato con l’Under 21, ma in Italia non c’è mai stata un’opportunità. Forse ho pagato la lontananza, ma nel calcio moderno mi pare assurdo. Giocare in Premier è difficile. È il torneo più complicato del mondo, specie per un portiere. Possibile che per me non ci sia mai stata una chance? Spero ancora che prima o poi quest’opportunità arrivi».
Il miglior compagno della sua storia?
«Titi Henry».
L’avversario più pericoloso?
«Aguero del City».
Il miglior amico inglese?
«Paul Goldrick. Era il mio insegnante d’inglese. Un grande appassionato di calcio. Ora fa l’osservatore del Liverpool».
In che cosa Mannone è diventato inglese?
«Ho assorbito la loro cultura: sono diventato preciso e metodico. E poi amo la musica: tutta».
Il Leicester visto da Mannone?
«Splendida storia. È la seconda squadra di tutti. Le basi sono state poste da Nigel Pearson, ma serviva Ranieri per compiere il salto di qualità».
Domenica prossima il derby a Newcastle.
«Sarà come sempre: una battaglia. Uno derby più sentiti qui. L’arrivo di Benitez è un problema in più».