Sandro Mazzola, SportWeek 12/3/2016, 12 marzo 2016
GLI INTOCCABILI CHE NON T’ASPETTI
Non ci sono più gli stacanovisti di una volta. Una SerieA da grandi numeri, quest’anno: 555 giocatori scesi in campo sino a oggi, in media quasi 28 per squadra. Solo il Napoli si è fermato a 20, mentre molti club hanno utilizzato addirittura 30 giocatori (Atalanta, Genoa e Verona) o più (Sampdoria e Roma 32, Carpi 33). Per la serie: gli intoccabili, questi sconosciuti. Rose ampie, concorrenza allargata: è l’equazione perfetta. Oggi si cambia formazione più spesso perché il calcio impone ritmi altissimi di gioco, gli impegni si sono moltiplicati al pari dello stress psicofisico e degli infortuni. Il titolarissimo che mezzo secolo fa rappresentava quasi la regola in A, nel terzo millennio non avrebbe avuto più vita. Certo, ci sono le eccezioni. Albiol ha saltato solo una gara, per squalifica, correndo per 2.430 minuti in un Napoli che fra i giocatori di movimento ne ha altri tre sopra quota 2.300: Hamsik, Hysaj e Higuain. Manolas è il top della Roma, Gonzalez del Palermo, Fernando per la Samp. E poi ci sono Moras a Verona, Bacca al Milan, De Roon all’Atalanta, Mario Rui a Empoli, Bonucci alla Juve, Borja Valero a Firenze.
Un dato è evidente: chi non è una stella, per rimanere stabilmente lassù ha alle spalle una bella storia di lotta e di sacrificio. Come quelle che raccontano la stagione di Laxalt al Genoa e di Moretti al Torino (2.430 minuti per entrambi), una vita da gregari. La vicenda del rossoblù è emblematica. L’estate scorsa il destino gli ha aperto subito le porte della squadra di Gasperini, complice anche la sua duttilità tattica e qualche acciacco dei compagni. Lui poi è un maratoneta: copre una dozzina di chilometri a partita, ma è pure un multiruolo. È stato il quarto di difesa, s’è mosso bene in mediana e nel tridente d’attacco. «Mi è sempre piaciuto essere concreto», dice l’uruguaiano. «Ma il segreto è non sentirsi mai arrivato. Non c’è spazio in questo calcio per fare calcoli». A Genova l’ha rigenerato una preparazione all’altezza (merito della triade Trucchi-Pilati-Barbero) e la solita cura-Gasperini, con il suo Grifone camaleonte. «È fondamentale un allenatore che ti sappia far rendere al meglio e una squadra che ti metta in condizione di eccellere. Il lavoro fisico è la base, la passione fa il resto. Diamo tutto in allenamento, con la testa alla partita. In questo modo diventi anche un esempio per il gruppo». Poi c’è Emiliano Moretti, ex genoano oggi nella Torino granata. Un modello in campo e fuori, un leader anomalo, un insostituibile dopo che Gastón Silva, la sua alternativa, è stato dirottato in altri ruoli. Non solo: a 33 anni, è diventato il più anziano debuttante in Nazionale (battendo il primato di Tassotti), favorito dallo stesso modulo a tre utilizzato da Ventura e da Conte.
Il mondo capovolto, rispetto al passato remoto del nostro calcio. Anni 60, quelli di Riva, Rivera, Boninsegna, Mazzola. Giocavano sempre loro. Correvano, lottavano, vincevano. Rose ridottissime e zero turnover, anche perché il regolamento non prevedeva i cambi. La sostituzione del portiere infortunato, ad esempio, venne introdotta dalla Fifa soltanto nel 1965 e quella di un giocatore di movimento infortunato due anni dopo.
Il primo spartiacque fra il pallone di ieri e di oggi sta nell’aspetto mentale. Calciatori e uomini liberi. Immensamente liberi. Il racconto di Sandro Mazzola e della sua epopea interista lo conferma: «Pensavamo al calcio in modo diverso da oggi, in maniera quasi totalizzante». Non esistevano gps, sensori sulle maglie, diete personalizzate né droni a vigilare sugli allenamenti. Rose da quattordici elementi più un paio di giovani. «Oggi invece bisogna distribuire le forze», riconosce Mazzola. I motivi per cui la Serie A attuale regali così pochi esempi di giocatori super utilizzati nascono altrove, e lo stesso simbolo nerazzurro li mette a fuoco: «Il calcio dei miei tempi non è neppure paragonabile a quello attuale. Meno tensione, ma pure minor impegno fisico rispetto ai tempi moderni. Mancava la rotazione degli uomini e poi le rose ora sono quasi raddoppiate. Meno cambi voleva dire però anche minor numero di scelte per l’allenatore».
La metamorfosi si è compiuta per gradi, anche se la rivoluzione arrivò con l’età dell’oro rossonera sotto la presidenza Berlusconi, che portò di fatto alla scelta di allestire un doppio organico, primaria condizione per essere competitivi in campionato e in Europa: era l’86, sei anni prima la Fifa aveva deliberato sull’apertura a cinque riserve in panchina, anche se i tre cambi sarebbero arrivati soltanto nel 1995. Fra il passato remoto e il presente, va in scena l’interregno degli Anni 80 e 90: un periodo spartiacque che ha come simbolo il primo tricolore della Sampd’oro di Vialli, Mancini e del capitano Luca Pellegrini, oggi voce tecnica di Sky: «Sembrerà paradossale, ma feci la mia migliore stagione nell’87, quando fui impegnato su quattro fronti, compresa Under 21 e Nazionale militare. Rispetto a oggi, in quegli anni potevi ancora autogestirti in allenamento, sapendo che alla domenica non sarebbe cambiato il nucleo di sette-otto titolari fissi. Adesso, invece, con due giocatori per ruolo, pure l’allenamento va vissuto a mille. Guardiola fu il primo a usare il termine “competizione” abbinato alle sedute di allenamento, a riprova della necessità di andare a mille anche lavorando con i compagni. Ma un altro fattore determinante per questo turnover così ampio nasce a mio avviso dalla diffusione dei campi sintetici: mai come quest’anno, per esempio, c’è stata una così alta incidenza di traumi ai legamenti».