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 2016  marzo 15 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - LA MELONI SI CANDIDA, IL CENTRODESTRA SI FRANTUMA A ROMA


REPUBBLICA.IT
Giorgia Meloni verso la candidatura a Roma. In una nota l’ufficio di presidenza di Fratelli d’Italia ha invitato la leader del partito a candidarsi come sindaco di Roma. Lei si è presa 24 ore di tempo per pensarci e consultarsi con gli alleati ma è quasi certo, salvo ripensamenti dell’ultima ora, che domani a metà giornata verrà annunciata la sua candidatura con un conferenza stampa ufficiale.
E Guido Bertolaso, candidato discusso ma "ufficiale" del centrodestra, commenta così: "Decideranno i nostri leader politici. Per me la notizia del giorno è che via della Moschea è stata chiusa per dissesto stradale e tutto il traffico della zona è paralizzato. Questi sono i problemi che interessano a me e non altri". E ancora, ospite a ’Porta a Porta’, l’ex Protezione civile: "E’ evidente che c’è una lotta tra alcuni personaggi per avere la leadership del centrodestra alle prossime elezioni nazionali, e io ci sono andato di mezzo per aver detto che mi volevo occupare della mia città. Davanti a me c’era una scritta ’traguardo’ ed era davanti al Campidoglio, io era lì che volevo arrivare".
La Meloni, inizialmente in ballo per la poltrona da primo cittadino e da settimane evocata anche dallo stesso Salvini, si era sfilata dalla corsa dopo l’annuncio della sua gravidanza durante il Family Day a Roma. Un pancione da polemica politica. Guido Bertolaso, candidato sostenuto inizialmente dall’intera coalizione e poi dalla sola Forza Italia, aveva liquidato così la possibilità di un ticket con la Meloni: "Deve fare la mamma". "Io non voglio polemizzare. Dico solamente con garbo e orgoglio a Guido Bertolaso che sarò mamma comunque e spero di essere un’ottima mamma, come lo sono tutte quelle donne che tra mille difficoltà e spesso in condizioni molto più difficili della mia riescono a conciliare impegni professionali e maternità. Lo dico soprattutto per rispetto loro" aveva replicato la leader di FdI.
Con Bertolaso c’è Silvio Berlusconi, suo principale sponsor: "Le donne hanno cinque mesi di lavoro non obbligatorio" quando diventano mamme, "è chiaro a tutti che una mamma non può dedicarsi a un lavoro terribile" come amministrare Roma "che è in una situazione terribile". A replicare all’ex premier, però, è il presidente del Consiglio Matteo Renzi: "Certo che una mamma può fare il sindaco - dice il segretario del Pd -, assolutamente sì". Pochi minuti e anche il candidato del centrosinistra Roberto Giachetti si schiera: "Se questi uomini così bravi a dare consigli alle donne, cambiassero qualche pannolino in più, questo sarebbe un Paese migliore". Su Bertolaso erano già piovute le critiche bipartisan dalle ministre Maria Elena Boschi e Beatrice Lorenzin.
Nel centrodestra è dunque caos. Con l’annuncio della Meloni i candidati diventerebbero quattro: oltre a lei e Bertolaso, in corsa c’è Francesco Storace e anche l’imprenditore Alfio Marchini, che non è candidato ufficiale ma il suo nome è stato messo da Salvini tra i "papabili" sindaci alle
primarie della Lega lo scorso 28 febbraio ed è risultato il più votato. In corsa per l’estrema destra anche Simone Di Stefano di CasaPound e Alfredo Iorio per Msi, Fiamma nazionale e Forza Nuova. E nel toto-nomi di queste ultime settimane era spuntata, per poche ore, la candidatura di Rita Dalla Chiesa, caldeggiata dalla stessa Meloni; si era proposto Fabio Rampelli e si era fatta avanti anche Irene Pivetti, con Salvini che precisava che non era una sua candidata.


DAGOSPIA
1 - QUANDO LA MELONI DICEVA: «CON UN FIGLIO IN ARRIVO, UNA CAMPAGNA ELETTORALE NON È LA STRADA GIUSTA»

Paola Di Caro per il “Corriere della Sera” del 4 febbraio 2016
A vederla, in tailleur nero e camicia rossa, non si direbbe mai: «La pancia non si vede? Beh, non sono nemmeno al terzo mese, e poi sto attenta alla dieta, non vorrei prendere troppi chili...» sorride Giorgia Meloni, protagonista di uno dei casi politico-mediatici più fragorosi degli ultimi tempi: per l’annuncio della sua gravidanza caduto proprio nel giorno del Family Day; per il fatto che è arrivato - in quella piazza tradizionalista - da una donna non sposata; e soprattutto perché è stata oggetto di «insulti, attacchi, assalti feroci che mai avrei immaginato potessero arrivare».
L’ha consolata il suo compagno
A consolarla, racconta, è stato il suo (da un anno) compagno Andrea Giambruno, autore Mediaset: «No perché - ride -, vorrei rassicurare tutti quelli che dubitavano, un uomo ce l’ho, non è stato lo Spirito Santo...». Lui le ha «nascosto le cose più brutte, ha cercato in tutti i modi di proteggermi, fa sempre così», con lui fantastica: «Quanto vorrei fosse maschio: vengo da una famiglia di sole donne, sorella, nipoti, ho pure il cane femmina, vediamo se riesce il miracolo!». Con lui, quando sarà, magari si sposerà: «Chissà, vediamo che succederà...».
Appare felice la leader di Fratelli d’Italia, che comunque una certezza ce l’ha: «Quell’annuncio non lo rifarei mai. Oggi difenderei con tutte le mie forze questa piccola vita che mi cresce dentro, e che non sono riuscita a tenere lontana dalle brutture a cui pure la politica mi ha abituata»
La solidarietà politica corale è una consolazione?
«È vero, mi hanno fatto sentire affetto. Con l’unica eccezione dei 5 Stelle, guarda caso quelli che finiscono sempre per assecondare gli istinti peggiori del popolo dell’anonimato in rete».
Le sono state anche mosse accuse politiche, però: perché fare quell’annuncio in quella piazza?
«Perché mi è venuto, perché lo sentivo, perché non ci vedevo nulla di male, perché da tempo mi pressavano “che farai su Roma, ti candiderai, quando scioglierai la riserva”?».
Lei non è sposata, quella è una piazza tradizionalista
«Ma io non contesto il ddl Cirinnà sulla base di una convinzione etico-religiosa, non mi interessa se una coppia è sposata in Chiesa, civilmente, se non lo è, se convive o no. Io contesto la pretesa assurda di volere a tutti i costi un figlio come fosse un diritto acquisito, contesto il capriccio di chi - forte perché organizzato in gruppo, perché adulto, perché vota, perché spesso ha i mezzi per una fecondazione eterologa o una maternità surrogata - vuole decidere sulla pelle di bambini che non sono oggetti da creare a piacimento. Lo trovo un ipocrita sotterfugio per far passare come legali pratiche che non lo sono».
Sulla stepchild non cambia idea, ma per la corsa a sindaco la maternità l’ha convinta a rinunciare?
«Premetto: una gravidanza non impedisce ad una donna di vivere pienamente la sua vita e il suo impegno, non è né deve essere vissuta come ostacolo, mai. Ma non c’è dubbio che una campagna elettorale che si concluderebbe al settimo mese per un mandato che ti impegna anima e corpo mentre nasce il tuo primo figlio, ti porta a pensare che non sia la strada giusta. Io sono disponibile a tutto per la mia città, che amo, a fare il capolista o qualunque altra cosa. Ma potrei candidarmi solo se non ci fosse nessun’altra soluzione possibile, solo come extrema ratio».
Come vedrebbe Bertolaso?
«Ha un ottimo curriculum, saprebbe certamente affrontare le emergenze di Roma. Unico dubbio i suoi processi - che pure da quanto capisco vanno verso l’assoluzione - potrebbero essere una formidabile arma nelle mani dei grillini. Dobbiamo riflettere».
E Marchini? Anche lui, come voi, è aperto alle primarie
«Le primarie sono la nostra richiesta da sempre, penso sarebbero un ottimo sistema, purché non solo a Roma, per far conoscere le proprie proposte, per rendere i possibili candidati - penso a Parisi a Milano - conosciuti ai cittadini anche quando non hanno una grandissima popolarità. Ma parlo di primarie vere, non all’americana come le vuole Marchini: io voglio la gente ai gazebo, una testa un voto, non le scelte ristrette di gruppi di potere organizzati. E chi partecipa, deve schierarsi con il centrodestra».
Sembrate finiti in un «cul de sac».
«Non è così, i candidati li troveremo, mancano ancora 5 mesi al voto. L’importante è non far prevalere gli egoismi di partito, perché checché ne dica Renzi questo voto sarà un test politico cruciale, e noi vogliamo vincerlo».
C’è chi pensa che lei in realtà non voglia candidarsi a Roma perché mira alle prossime politiche. É vero?
«Chi mi conosce sa che non ho mai obiettivi personali sul piano nazionale, ma è vero che la preoccupazione di non sguarnire la destra ce l’ho. Da sindaco abbandonerei la politica nazionale, sono ruoli incompatibili».
La freddezza di Berlusconi, e in parte di Salvini, sulle primarie nasce dal timore di creare un precedente nella corsa alla leadership del centrodestra?
«Che possa essere un “precedente” l’ho sentito dire anche al vertice... Ma cosa abbiamo da temere? Berlusconi sa bene di essere una risorsa spendibilissima per FI come sa che dovrà passare il testimone della guida del centrodestra. Niente primarie? Scegliamo un altro metodo. A me interessa un centrodestra unito, perché so che possiamo vincere».

2 - QUANDO LA MELONI CONTESTATA DICEVA: «PERCHÉ NON MI CANDIDO? QUANDO PARTORIRAI TU MI SAPRAI DIRE»
Video da Corriere.it: http://video.corriere.it/giorgia-meloni-non-si-candida-cittadino-contesta-lei-quando-partorirai-tu-mi-saprai-dire/012f19e8-e137-11e5-86bb-b40835b4a5ca

3 - ROMA: BERLUSCONI, MELONI NON PUO’ FARE MAMMA E SINDACO
(AGI) - "Bertolaso ha chiarito che si trattava di una battuta per difendere Meloni da chi, nel suo partito, la tira per i capelli". Ha aggiunto Berlusconi che ricorda la sua stima nei confronti della leader di Fratelli d’Italia, "non a caso ne ho fatto uno dei piu’ giovani ministri".
Detto questo, Berlusconi sottolinea che "le impiegate pubbliche hanno il non lavoro obbligatorio cinque mesi" per la gravidanza "e sei mesi dopo la nascita senza stipendio: e’ cosa chiara a tutti che una mamma non puo’ dedicarsi a un lavoro che in questo caso sarebbe terribile e Giorgia Meloni stessa lo aveva detto. Fare il sindaco di Roma - ha insistito Berlusconi - significa stare in giro e in ufficio 14 ore al giorno e non credo proprio possa essere una scelta giusta nell’interesse stesso di Giorgia Meloni dedicarsi a un impegno cosi’ difficile. Io sono abbastanza tranquillo che tutto tornera’ a posto e immagino che Bertolaso lo sosterranno tutti", ha infine concluso Berlusconi.

DAGOSPIA
ASPESI SU REPUBBLICA
Natalia Aspesi per “la Repubblica”
E se il vecchio e scaltro Bertolaso avesse ragione? Se a ogni donna incinta, operaia, amministratrice delegata, mendicante, diva, escort, quindi anche sindaca, fosse consigliato di lasciare il lavoro, con un bello stipendio da parte ovviamente dello Stato?
Per fare solo la pre-mamma e la mamma, non per qualche mese soltanto ma almeno per qualche anno, ritrovando poi il suo lavoro e il suo stipendio? Permesso anche alla casalinga stessa, che smettendo di cucinare, rifare i letti, fare il suo dovere di sposa, sostituita da una casalinga statale in tutte le mansioni, potesse dedicarsi solo a questo mestiere solo a lei femmina consentito, per seguirlo a tempo pieno.
In questo caso essere donna e madre potrebbe essere in sé una libera professione al servizio della Patria e anche l’incinta Meloni potrebbe usufruirne senza infastidire Bertolaso e compagni, evitando di vomitare durante la campagna elettorale e di perdere le acque durante una manifestazione di piazza. Ma soprattutto togliendo all’aspirante sindaco almeno un motivo per dichiarazioni sceme, che purtroppo lo aiuterebbero a vincere le elezioni, con ovvi danni alla città già molto danneggiata.
Un sindaco che allatta durante una accesa battaglia in giunta renderebbe invece la Meloni sempre vincente, perché anche i suoi più duri antagonisti maschi arrossirebbero guardando altrove: ma anche in questo caso a perdere sarebbe di nuovo Roma, e non a causa di mamma Meloni, ma semplicemente della Meloni.
Essendo da almeno cinquant’anni femminista, non vorrei essere giudicata maschilista se oso dichiarare che la signora Patrizia Bedori ha fatto molto bene a ritirare la sua candidatura, che non avrebbe neppure dovuto proporre, per molte ragioni. Perché se una può diventare sindaco perché in 74 l’hanno votata online, non pare proprio un furor di popolo, anche nel suo stesso noiosissimo movimento già molto antiquato.
Perché ha smascherato definitivamente il finto giovanilismo democratico dei suoi compagni elettronici che l’hanno insultata perché “casalinga e disoccupata” come milioni di altre donne e ormai molti uomini disoccupati e casalinghi in quanto soli. Che l’hanno definita «brutta, grassa e obesa», come molti rispettati onorevoli maschi, quindi di meritare di essere «buttata fuori a calci in culo». Bastava dire che, come la maggior parte dei suoi compagni, non sembrava preparata al difficilissimo ruolo di sindaco di Milano, soprattutto dopo Pisapia.
Del resto, anche in passato i ragazzi Cinque Stelle avevano dimostrato la loro paura delle donne, come Massimo De Rosa che ha onorato le colleghe del Pd con un complimento forse invidioso: «Voi siete qui solo perché siete brave a fare i pompini!». Brutte non le vogliono quegli incontentabili, ma neanche belle. Nicola Morra, senatore M5S: «La ministra Boschi sarà ricordata più per le forme che per le riforme» (per saperne di più c’è il libro Stai zitta e va’ in cucina di Filippo Maria Battaglia).
Resta un problema più vasto del misero maschilismo dei politici, che dovrebbero avere la furbizia di pensare ogni nequizia ma di non dirla. Se le femmine sono femministe coscienti di esserlo in gruppi privilegiati ma non oceanici, i maschi sono per natura da sempre maschilisti. Lo sono stati per secoli, per legge, religione, natura, cultura, storia, denaro, potere e mamme adoranti. Da anni cercano di correggersi, da quando negli anni Settanta si misero persino a fare autocoscienza come le ragazze.
Ma non ce la fanno sino in fondo. Ogni tanto il maschio militante salta fuori, lancia un’ingiuria sempre fisica e sessuale, o, se è molto nervoso, taglia la gola della donna che non fa finta di adorarlo comunque e di essere certa della sua superiorità. Che fare? Niente, stare zitte, ridere a ogni bertolasata, che più o meno sempre ci sarà, e prendersi tutto quello che ci spetta non tanto come donne quanto come esseri umani.

DAGOSPIA
1 - BUFERA SU BERTOLASO “CONTRO LA MELONI UN ATTACCO SESSISTA”
Carmelo Lopapa per “la Repubblica”
Giorgia Meloni troppo incinta per candidarsi a Roma, Patrizia Bedori troppo casalinga e dunque disoccupata, anche un tantino “brutta e obesa”, per sognare di diventare sindaco di Milano. È il giorno dell’impazzimento nel frullatore della politica, sullo sfondo le prossime amministrative, nel mirino le donne potenzialmente candidate. Un gioco a far male in cui gli uomini sono i protagonisti in negativo e le donne, anche di opposti schieramenti, danno il buon esempio - le ministre Boschi e Lorenzin esprimendo solidarietà - e difendono le colleghe finite nel tritacarne di battute infelici, quando non di veri e propri insulti.
Succede a Giorgia Meloni, “rea” di aver annunciato la sua disponibilità a candidarsi al Campidoglio, e sferzata da Guido Bertolaso in tv («Deve fare la mamma »). Per una giornata l’ex sottosegretario ha provato a minimizzare la «battuta», quando il caso era ormai deflagrato. La Meloni gli risponde «con garbo e orgoglio che sarò mamma comunque e spero di essere un’ottima mamma, come lo sono tutte quelle donne che tra mille difficoltà e spesso in condizioni molto più difficili della mia riescono a conciliare impegni professionali e maternità ».
Tutto il mondo politico o quasi si schiera con lei. «Bertolaso, altri due attacchi alla mamma Meloni e la voto», dice anche l’avversario Alfio Marchini. La vice segretaria pd Debora Serracchiani sottolinea che «si può essere mamma e fare politica, la mela Bertolaso è caduta poco lontano dall’albero Berlusconi». E la leghista Barbara Saltamartini: «Quando sento queste idiozie, provo un senso di disgusto».
Nelle stesse ore, con un post su Facebook Patrizia Bedori, ormai ex candidata Cinque stelle a Milano, si toglie «qualche sassolino dalla scarpa» contro chi l’ha definita «brutta e obesa» e attacca: «Mi avete chiamato casalinga e disoccupata per offendermi, volevo dirvi che per me non sono offese. Ci sono milioni di casalinghe in Italia e grazie a loro, le vostre madri, sorelle, mogli, l’Italia sta in piedi». Il ministro della Salute Beatrice Lorenzin sta con lei: «Questo paese non è per le donne, ciò che sta accadendo in questi giorni è incredibile, rivela una misoginia di fondo», dice riferendosi a entrambi i casi.
E il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi via Twitter: «Quando chiederanno a un candidato uomo di ritirarsi perché non telegenico? O perché deve fare il padre? Solidarità a Bedori e Meloni». A Roma la crisi del centrodestra è senza fine. Salta il vertice chiesto dalla Meloni dopo aver annunciato la propria disponibilità a candidarsi. L’ex capo della Protezione civile in un primo momento si sbilancia, dice di essere pronto a farsi da parte «se Giorgia si candida per conto di tutto il centrodestra e Berlusconi me lo chiede».
Ma il Cavaliere non glielo chiederà, anzi non ne vuol sentire parlare, e metterà stamattina il suggello intervenendo al suo fianco a “Radio Anch’io”. Cade nel vuoto l’appello di Ignazio La Russa per conto di Fratelli d’Italia a Berlusconi e Bertolaso («Si faccia di lato»). Salvini ha già detto che il suo candidato è la Meloni, se accetterà. I due si sono sentiti ieri mettendo a punto l’asse anti-Cavaliere, oggi potrebbero incontrarsi a Roma. «A noi interessa poco - chiude Gasparri - votiamo Bertolaso».

2- BERTOLASO: «MISOGINO? INTENDEVO TUTELARLA. A GIORGIA VOGLIO BENE, LE MANDERÒ DEI FIORI»
E. Men. per il “Corriere della Sera”
Alle cinque del pomeriggio, Guido Bertolaso è in giro per la città: «Sto continuando la campagna elettorale, certo».
Ma le frasi sulla Meloni «mamma» non sono un autogol clamoroso?
«Guardi, ho parlato di una donna a cui voglio molto bene e che stimo».
La sua uscita è quantomeno infelice, mezzo Parlamento le si è scagliato contro...
«Sua moglie fa politica?».
No, ma che c’entra?
«Ecco, ho parlato a Giorgia come se fosse mia moglie. La campagna elettorale è un impegno gravoso, dalle sei del mattino a mezzanotte, bisogna andare in giro tra buche, topi, sporcizia, campi rom».
E quindi?
«Ecco, mia moglie cercherei di tutelarla, proteggerla, coccolarla, anziché mandarla in tutti i Municipi romani. Ho parlato in sua difesa, niente altro».
Sarà. Ma è stato accusato di maschilismo, misoginia, scarsa sensibilità. Sicuro di non aver sbagliato?
«Le ho detto semplicemente: fai la mamma, che è la cosa più bella della vita. Non certo, fai la mamma e levati dai piedi... Che io sia poco sensibile o attento al lato umano, poi, è una bugia. Mi ero ritirato perché la mia nipotina stava male».
Vi siete sentiti con la leader di FdI?
«No, non volevo disturbare. Ma domattina (oggi, ndr ) le manderò un mazzo di rose».
Gaffe o non gaffe, Salvini non la sosterrà.
«Di Salvini non mi importa nulla. Ho il gradimento dei romani: c’è chi sta rosicando, se ne faccia una ragione».
Se si riferisce alle gazebarie, sui 47 mila e passa votanti dichiarati — che in un suo tweet sono diventati per errore 470 mila — ci sono molti dubbi
«Facciamo anche una tara del 10%. Ma la gente c’era, ed era vera. Non era Salvini che voleva sentire i romani? L’ho fatto, e non cambio idea, io».
Se Berlusconi le chiedesse di ritirarsi?
«Sarei l’uomo più felice della Terra. Tornerei in Africa ad occuparmi dei miei bambini malati, senza remore o rimorsi».

3 - RENZI, UNA MAMMA SINDACO? CERTO CHE PUÒ FARLO
(ANSA)
"Certo, assolutamente sì". Risponde così il premier Matteo Renzi all’uscita da Palazzo Chigi, a chi gli chiede se una mamma può fare il sindaco, riferendosi alle polemiche scoppiate sulle parole di Guido Bertolaso su Giorgia Meloni. "Ma spero che vinca Giachetti", aggiunge Renzi prima di arrivare al seminario su terrorismo e sicurezza dove è atteso un suo intervento.

4 - CAV,FARE SINDACO DIFFICILE,NO SCELTA GIUSTA PER MELONI
(ANSA)
"Fare il sindaco di Roma significa stare 14 ore al giorno in ufficio, io non credo che possa essere una scelta giusta per la Meloni, dedicarsi ad una funzione difficile e impegnativa". Lo afferma Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia a Radio anch’io.

DAGOSPIA
15 mar 2016 11:01
IL DOPPIO GIOCO DEL BANANA - SALVINI HA CAPITO CHE BERLUSCONI PENSA SOLO ALLE SUE AZIENDE E FINCHÉ CI SARÀ LUI IN SELLA PER IL CENTRODESTRA NON C’È FUTURO: “BERLUSCONI RICORDI CHE HO PIÙ VOTI DI LUI. IN FORZA ITALIA C’È CHI PARLA MALE DI ME E BENE DI RENZI…”
“Lo stimo per quel che ha fatto in passato. Può ancora dare un contributo, piuttosto vedo che in FI c’è qualcuno che ha nostalgia degli inciuci con Renzi. Perché non vanno con Verdini o Alfano, aggregandosi alla transumanza?”... -
Tommaso Ciriaco per “la Repubblica”
Meloni faccia la mamma, ha detto Bertolaso. Ha ragione lui, Matteo Salvini?
«Una frase fuori dal mondo. L’Italia è piena di mamme che lavorano, mi sa che Bertolaso è fermo a qualche anno fa. Anzi, a Giorgia faccio gli auguri come mamma e candidato sindaco. Se poi vogliamo parlare seriamente di donne, si voti subito la proposta della Lega per mille nuovi asili nido. Renzi ci sta?».
Ma cosa le ha fatto Bertolaso per renderla così ostile?
«Visitando i campi rom, ho incontrato cittadini che denunciavano roghi tossici e prostituzione. E Bertolaso che dice? Che il problema si risolve togliendo i cassonetti.... Comunque per me il suo capitolo è chiuso. Le beghe locali non mi interessano».
Beghe locali, dice. Non sarà invece che lei e Meloni state pensionando Berlusconi?
«No, cerco solo di scegliere i candidati migliori. Però aggiungo che per battere Renzi abbiamo bisogno di un chiarimento tra noi. Guardo ai temi internazionali, alla Turchia: temo che FI la pensi come il governo e voglia Ankara nell’Ue. Noi no».
Insomma, la leadership del centrodestra non cambia?
«Quando mi hanno eletto segretario, dicevano che eravamo morti. In due anni siamo il primo partito del centrodestra e il terzo d’Italia. Però serve un chiarimento nel centrodestra sui contenuti. Se poi il leader non sarò io, va bene: può chiamarsi anche Pippo. Solo non vorrei che qualcuno fosse nostalgico del passato».
Torniamo a Roma: è Meloni la candidata giusta?
«Non la forzo. Non le metto pressione. Se si dovesse convincere, per me il candidato è lei».
C’è chi pensa che lei alla fine possa sfilarsi e lasciare sola anche Meloni. È possibile?
«No. L’esempio è Milano, dove per il bene della coalizione ho accettato un ottimo candidato e un’ampia alleanza. Non è Salvini quello dei veti. Ma a tutto c’è un limite: Bertolaso è andato oltre».
E se Meloni si ritira, la Lega sostiene Marchini o Pivetti?
«Io ora aspetto solo la risposta di Giorgia, non ragiono d’altro».
A proposito: quando si terrà il vertice del centrodestra?
«Io domani (oggi, ndr) sono a Roma. Sono pronto. Quando vogliono loro».
Ha sentito Berlusconi per dirgli che Bertolaso è un errore?
«No, ma se lo sostiene avrà fatto le sue valutazioni».
Le vostre divisioni non rischiano di favorire il M5S?
«Mi ha stancato la vecchia politica degli equilibrismi. È più semplice: per me è meglio Meloni».
Anche lei però aveva scelto Bertolaso: solo pentito o era una trappola per Berlusconi?
«Nessuna trappola, Bertolaso ha infilato una serie di stranezze. E non ho difficoltà a chiedere scusa e a cercare di rimediare. Io ammetto gli errori, lo faccia anche Renzi sulla legge Fornero...».
Però Berlusconi ha usato parole molto dure verso di lei.
«Lo stimo per quel che ha fatto in passato. Può ancora dare un contributo, piuttosto vedo che in FI c’è qualcuno che ha nostalgia degli inciuci con Renzi. Perché non vanno con Verdini o Alfano, aggregandosi alla transumanza? ».
Faccia i nomi, Salvini.
«Quelli che in FI parlano male di Salvini e bene di Renzi».
Però, davvero: se rompete su Roma, non salta l’alleanza e il listone unico alle Politiche?
«Per me Roma è una questione locale. Se qualcuno vuole farne un dramma nazionale, faccia pure, ma mica giochiamo a Risiko. Sul listone vedremo nel 2017, dobbiamo ancora decidere cosa fare la prossima settimana... ».
Un centrodestra guidato da Salvini e non da Berlusconi non sarà troppo estremista?
«Faccio notare il voto in Germania, ma anche quello in Austria, Francia… Faccio notare come votano i cittadini dell’Ue, con un’idea chiara sull’immigrazione e sul resto».
A Torino FI schiera Osvaldo Napoli. Lo sosterrete?
«Non dico no pregiudizialmente, però voglio valutare anche le altre proposte. Ho già sbagliato su Bertolaso...».
Sosterrà i grillini al ballottaggio di Roma e Torino?
«Leggo anche che dirò sì al referendum sulle trivellazioni per un accordo con Grillo: balle, dico sì per l’ecosistema. Ho solo detto che se si trovassero al ballottaggio contro i renziani, li voterei perché Renzi è un disastro».

DAGOSPIA
Follow the money! Quando si parla di Silvio Berlusconi e del suo ruolo nella politica italiana, si torna sempre lì: i danè. In questi giorni è in atto un cambiamento geopolitico simile al terremoto che negli anni ’92-‘93 accompagnò la discesa in campo del Cavaliere.
L’obiettivo è lo stesso: tutelare le sue aziende. Ma se ieri erano minacciate dall’azione dei magistrati e dal temuto arrivo degli ex comunisti al potere, oggi i pericoli vengono dai concorrenti internazionali e dalla gestione dei suoi eredi, non sempre all’altezza delle capacità paterne. Proprio da una scommessa scellerata di Pier Silvio, l’acquisto per 700 milioni di euro dei diritti triennali della Champions League, nasce l’accelerazione di questi giorni.
Mediaset Premium è arrivata a perdere decine di milioni l’anno, visto che i nuovi abbonamenti non valgono affatto l’investimento (che corrisponde a 3/4 del valore dell’intera società, valutata circa 900 milioni). Premium va ceduta, e in fretta, a un gruppo che possa assorbire una simile emorragia di cassa, nascosta nel bilancio consolidato Mediaset.

CONFALONIERI, RENZI E IL PATTO DEL NAZARENO PIÙ VIVO CHE MAI
La faccia moderata del Biscione, Fedele Confalonieri, resta il consigliere più fidato per le strategie politico-economiche di Silvio. E’ lui ad aver segnalato che Premium è diventata ingestibile: un buco nero che potrebbe affondare il gruppo. Allontanata l’idea di un’incorporazione da parte di Sky (rogne Antitrust, malumori di Murdoch ecc.), svanito l’interesse di Al Jazeera, tramontate le speranze di un allargamento di Telefonica, l’unica alternativa resta Vincent Bolloré. E qui arriva il primo intreccio politico.
Il finanziere bretone è infatti nel pieno di una ’’campagna d’Italia’’, lanciata dopo anni da spettatore dentro Mediobanca-Generali. Nel giro di pochi giorni, è arrivato al 24,9% di Telecom, ha piazzato un suo uomo (Philippe Donnet) al vertice delle assicurazioni triestine, e attraverso il fidato Nagel controlla piazzetta Cuccia senza ostacoli, visto che Unicredit, prima azionista di Mediobanca, è in tutt’altre faccende affaccendata.
Per portare avanti una simile conquista in terra straniera, serviva il disco verde del governo Renzi. Fin da subito, il premier gli ha fatto capire che la strada, soprattutto in Telecom, non era spianata. Inizialmente ha minacciato di appioppare alla Cdp la vecchia rete nazionale (scorporandola dalla società principale), o di schierare la Cassa in prima fila nel piano della fibra ottica (attraverso Metroweb). Certo, ora questa minaccia appare spuntata: dopo il bagno di sangue della ricapitalizzazione di Saipem, la Cdp non può digerire un altro macigno in un lasso di tempo così breve.
In seconda battuta, il premier non ha ostacolato (anzi) l’investimento in Telecom del francese Xavier Niel, fondatore di Iliad (ma che ha agito con capitali propri), come "bastoncino" tra le ruote di Bolloré.
Messi sul tavolo questi ostacoli, Renzi ha potuto sfruttare l’espansione di Bolloré a proprio vantaggio politico. Come? La risposta è sempre nel Patto del Nazareno, stele di Rosetta dell’era Renziana, attraverso cui è possibile decifrare le strategie del bullo fiorentino. Ufficialmente morto dopo l’elezione di Mattarella, il Patto è in realtà più vivo che mai, ma si muove nei sotterranei della politica per non far imbizzarrire le rispettive fronde ostili (Brunetta da una parte, minoranza dem dall’altra).
Due sono le prove più evidenti: la resa berlusconiana alle comunali di Roma e Milano, con lo schieramento di candidati deboli e/o osteggiati dai compagni di coalizione; e l’ingresso de facto di Verdini nella maggioranza, diventato la stampella che tiene in piedi il Pd.
Ecco che dalla ritrovata merchant bank di Palazzo Chigi (che dai tempi dalemiani si era rivista solo con il duo Prodi-Rovati...) si dipana il triplice accordo: Renzi in cambio della sopravvivenza del suo governicchio e del via libera su Roma e Milano, garantisce a Berlusconi l’intervento di Bolloré in Mediaset Premium (e, in prospettiva, su tutta Mediaset), mentre al boss di Vivendi è permesso di mangiarsi il resto del capitalismo italiano: Mediobanca, Telecom, Generali. Uno scambio di favori e convenienze che cambierà gli equilibri del potere economico del nostro Paese, per mantenere stabili gli equilibri politici.

I PASSAGGI: OGGI EI TOWERS, DOMANI MEDIASET PREMIUM, DOPODOMANI MEDIASET

La road-map è sotto gli occhi di tutti: si è partiti in questi giorni con l’operazione Ei Towers. Un bel po’ di antenne del gruppo Mediaset – dopo lo smacco dell’Opa bloccata su RaiWay - stanno per essere acquisite da Inwit, società che Telecom intende cedere per alleggerire il debito. Se il deal andrà in porto, Ei Towers si troverà con il 25% di Inwit.
Il secondo passaggio riguarda Premium. Confalonieri spera di smollare la pay-tv a Bolloré entro marzo. Non è un caso che il titolo Mediaset abbia guadagnato il 20% nell’ultimo mese, pompato dalle ’’indiscrezioni’’ sull’ingresso di Vivendi.
Lo step finale comprende tutto il cucuzzaro: Mediaset. Non sarà oggi, né domani. L’orizzonte temporale è di un paio d’anni. Silvio deve ancora giocarsi qualche carta, e cedere l’impero vuol dire perdere ogni potere e influenza. Ma il destino è segnato.
E non solo per un problema nella successione, lo stesso che si nota dalle parti di altri magnati dell’editoria (De Benedetti, un nome a caso), ma anche per un oggettivo deficit di scala. In un panorama che vede l’inarrestabile concentrazione dei grandi gruppi delle telecomunicazioni, il Biscione non potrebbe comunque restare indipendente.

TUTTI GLI UOMINI DI BOLLORÉ: BEN AMMAR, NAGEL, PUYFONTAINE
Il finanziere che possiede il 14,3% di Vivendi non arriva dal nulla, e ha avuto un importante maestro di faccende italiane: Antoine Bernheim, il banchiere di Lazard che per 30 anni ha mosso i fili delle Assicurazioni Generali. Pensionato Bernheim, il suo Virgilio al momento è un altro straniero con molti interessi e contatti in Italia: Tarak Ben Ammar.
Il cinematografaro tunisino è da anni nel consiglio d’amministrazione di Telecom Italia, è grande amico e socio sia di Silvio che di Bolloré (fu lui a farlo entrare in Mediobanca nel 2003, insieme a Groupama e Dassault). Oggi lo consiglia e fa da tramite con i Berlusconi nell’operazione Mediaset.
In Mediobanca, come più volte sottolineato da Dagospia, il suo uomo di fiducia è diventato Alberto Nagel. E’ attraverso l’amministratore delegato (con l’appoggio fondamentale di Pellicioli-De Agostini) che è stata orchestrata la sostituzione di Mario Greco al vertice delle Generali. Con un manager, Philippe Donnet, nato, cresciuto e pasciuto in Axa, alla corte di Claude Bebéar, altro sodale di Bolloré. Donnet naturalmente siede (ma è in uscita, per salvare almeno la faccia davanti al conflitto d’interessi) nel consiglio di sorveglianza di Vivendi.
L’ultimo tassello, Telecom, vede protagonista il solito Ben Ammar, ma anche l’amministratore delegato Marco Patuano, che il 1 marzo si è recato a Parigi a negoziare la sua uscita dalla società. Chi prenderà il suo posto? Al momento, i nomi restano coperti.
Telecom è in mani straniere dai tempi dell’ingresso della spagnola Telefonica, ma almeno all’epoca erano rimasti soci forti (Intesa, Generali, Mediobanca) e manager italiani. Come italiani sono gli attuali vertici, nonostante la maggioranza dell’azionariato si sia trasferito Oltralpe. Dopo un inizio in sordina, sono però partite le bordate francesi. La prima è stata data con l’ingresso (forzato) di quattro consiglieri in quota Vivendi, guidati da Arnaud de Puyfontaine, e con il rigetto del piano di conversione delle azioni risparmio in azioni ordinarie.
Ora Bolloré è arrivato indisturbato alla soglia dell’Opa obbligatoria (25%). Il prossimo e naturale passo è l’imposizione di un manager a lui caro. Di sicuro, non potrà essere francese: sarebbe davvero troppo, anche per il nostro sgangherato sistema industriale. Il motto di Palazzo Chigi è: prendetevi tutto, ma salvate le apparenze. Almeno fino al 2018, quando Renzi spera di andare al voto e di essere finalmente eletto.
P.S.: Nella sua cavalcata trionfante e indisturbata, Bolloré qualche problemino ce l’ha. In casa. Un durissimo articolo di Libération (http://www.liberation.fr/futurs/2016/03/09/bollore-prend-ses-ponctions-chez-vivendi_1438620 ) racconta le tattiche spregiudicate con cui il finanziere sta gestendo Vivendi. Molto criticata è stata la sua scelta di vendere le controllate nelle telecomunicazioni (SFR, GVT, Maroc Telecom) e nei videogiochi (Activision) per poi comprarne in questi stessi settori (Telecom Italia e Ubisoft), sebbene avesse detto che la strategia del gruppo era di abbandonarli in modo graduale ma definitivo.
Nell’articolo viene messa in evidenza la gestione della liquidità generata da queste operazioni, con 8 miliardi destinati alla distribuzione di dividendi e al riacquisto di azioni proprie. E si racconta il piano per accrescere la quota di Bolloré dal 14 al 17-18% senza che il furbo finanziere debba mettere altri soldi.
Occhio: Libé è controllata dal gruppo Altice Media, che rappresenta uno dei rivali più ostili all’espansione fuori controllo di Bolloré, soprattutto da quando ha cementato il suo controllo nel gigante della comunicazione Havas.
L’altro "nemico" di rilievo, che definisce Bolloré un ’’predone’’, è il banchiere Matthieu Pigasse, nume tutelare di Le Monde e Nouvel Observateur, nonché socio di Xavier Niel, che intende riunire altri tycoon francesi in un nuovo gruppo in chiave anti-Vivendi (http://www.gqmagazine.fr/pop-culture/interview/articles/matthieu-pigasse-bollore-est-un-predateur/29856 ).