Paolo Berizzi, D, la Repubblica 12/3/2016, 12 marzo 2016
MONTENEGRO SOLUZIONE 9 PER CENTO
Domenica a mezzogiorno. Uno dei ristoranti più trendy nel centro d’affari di Podgorica. L’ambasciata italiana è cinquanta metri più avanti, sul lato opposto del viale dei taxi e degli hotel. Nella sala al primo piano pranza Milo Djukanovic, il premier “monarca” che da un quarto di secolo governa il Montenegro come fosse un feudo familiare a partecipazione pubblica. Sia che decida di correre di nuovo alle elezioni di ottobre, sia che molli per logorio da potere (con il suo inner circle Milo, nonostante la fiducia appena ottenuta in Parlamento, sta ragionando anche su questa ipotesi), per le nozze d’argento l’uomo forte vorrebbe regalare al Paese il biglietto di ingresso nella Nato. Ventinovesima casella dell’Alleanza Atlantica. Un posticino che, alla faccia dei mal di pancia di Putin e delle proteste che infuriano da tre mesi nella capitale in un crescendo dalla lettera di invito spedita dal segretario generale Nato Jens Stoltenberg (fine dicembre 2015) ai due giorni di colloqui a Bruxellex preparatori dell’ingresso (febbraio 2016), varrebbe a Podgorica un doppio passo dentro l’anticamera per l’agognata entrée nell’Unione europea.
Sfida strategica per il futuro? Azzardo? Prima di capire la partita Nato, le ricadute, chi favorevole e chi è contrario, scopriamo le cose che il Montenegro si porta in dote. A partire da un fiore all’occhiello poco conosciuto: è la nazione con la tassa unica più bassa d’Europa, 9 per cento. Si, la benedetta e dibattuta flat tax (“tassa piatta”): quella che secondo gli analisti superliberisti funziona come una bacchetta magica sui sistemi fiscali ingarbugliati.
Torniamo al ristorante, il Dalì (dal nome del pittore). A piano terra non c’è un posto libero. Il cameriere arrotola la ricevuta fiscale, la infila nel bicchierino da grappa e la depone sul tavolo al momento della comanda. Sembra Marte, ma è la normalità, e non siamo in Svezia. In nove esercizi su dieci funziona così. «Le ricevute le battiamo tutti perché, con il 9% di tasse, non farlo non conviene. È un rischio inutile», dice il proprietario Filip Djokic. È fiero del fatto che, come la maggior parte dei titolari di attività di vendita al dettaglio e delle piccole e medie imprese, così risparmia sul commercialista. Il perché lo spiega Erich Cossutta, imprenditore dei trasporti marittimi e presidente di Confindustria Serbia-Montenegro. «Non serve il commercialista, qui sai quello che devi pagare e quello che non devi pagare. In azienda ti basta un buon amministrativo che tenga i conti in ordine. L’evasione? È quasi scomparsa», ragiona, forse con troppo ottimismo. «È emersa, invece, la legalità. Perché il punto é questo: con una tassa così bassa a chi viene la tentazione di fare il “nero”?». Mettiamo pure che la legalità sia un concetto ancora relativo, perché nella realtà il livello di corruzione rimane comunque altissimo. Ma non è poco che sull’altra costa dell’Adriatico, a dieci ore di nave, una di volo e al netto di una differenza di Pil con l’Italia di duemila 145 miliardi di dollari (il Montenegro produce per 4,4 miliardi di dollari, l’Italia per 2mila 149,4 miliardi) ci sia uno Stato che in quattro anni ha recuperato quasi il 70% del “nero” commerciale.
L’aliquota unica il Montenegro l’ha introdotta quattro anni e mezzo fa. Il senso è: chiunque genera profitto è affrancato dalle gabelle che tagliano le gambe all’investitore e frustrano l’iniziativa privata. L’obiettivo della piccola rivoluzione fiscale era ed é soprattutto l’effetto “miele”: attirare i capitali stranieri per dare una sferzata alla non florida economia locale e accorciare, così spera l’80% della popolazione che ancora ha votato Djukanovic all’ultimo giro elettorale, i tempi d’ingresso nell’Ue. Per funzionare, funziona, la flat tax... Primi effetti: nell’entroterra sono arrivati i cinesi e gli egiziani (strade), sulla costa i canadesi (porto Montenegro) e i russi, che l’hanno quasi colonizzata con alberghi e real estate. Tutti fondi di investimento.
Gli italiani, che già c’erano, hanno raddoppiato occupando il settore della produzione di energia, asset nazionale insieme al turismo. Terna ha già posato 140 km di cavo sul letto dell’Adriatico (l’elettrodotto sottomarino va da Tivat a Villanova in Abruzzo). A2A, la multiutility quotata in Borsa nata dalla fusione delle municipalizzate di Milano e Brescia, resterà in Montenegro altri 5 anni dopo avere acquisito nel 2009 il 43% della società energetica pubblica Elektroprivreda. Dettaglio: dei 450 milioni italiani per la privatizzazione, una parte, almeno 300, sono stati versati sui conti della Prva Banka, il colosso bancario controllato dal fratello del premier, Aco Djuknovic, e del quale possiedono azioni lo stesso Milo e la sorella Ana. L’opposizione parlò di operazione «poco trasparente». Ma tutto fa brodo. Sarà stata dunque senz’altro un’intuizione del nostro governo (c’era Berlusconi, buon amico di Djukanovic) l’idea di portare qui con un volo di Stato (19 gennaio 2009) un folto gruppo di imprenditori tra cui i capi dei due player italiani Terna e A2A.
La gita coincise con il momento in cui il Montenegro iniziò a mettere a reddito l’argenteria statale nel campo del turismo. Dalla perla mondana Budva a Tivat, dove è venuto su un porto per yacht che è un gioiellino, alle strepitose Bocche di Cattaro – l’insenatura dominata dalle catena della Alpi Dinariche dichiarata dall’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità – al parco naturale che tutela l’ecosistema della sezione locale del lago di Scutari. La natura del Montenegro, pure se si impegnano a sfregiarla col cemento, è uno spettacolo. Cresce il turismo e a braccetto va il reddito medio pro capite degli abitanti: il terzo dei balcani (500 euro lordi) dietro Slovenia e Croazia. «Altri investitori italiani stanno arrivando», giura Giulio Moreno, direttore della Banca europea per lo sviluppo e la ricostruzione. «Lentamente, ma arrivano». Fino a ieri erano stati più numerosi i montenegrini a cercar fortuna da noi: dai calciatori di gran tocco (Savicevic,Vucinic, Jovetici...) alle modelle. Domani, forse, il flusso invertirà la rotta. Dice l’ambasciatore Vincenzo Del Monaco: «Il Montenegro è un Paese che, nonostante le sue fragilità, ha compiuto molti progressi. Dall’indipendenza (dalla Serbia, 2006, ndr) a oggi sono state fatte riforme importanti soprattutto nel campo dello Stato di diritto». Da qui, sostiene il nostro rappresentante diplomatico, il «riconoscimento da parte della Nato». Che non sarebbe un regalo. Ma nemmeno una manna dal cielo, se quasi la metà della popolazione pare non avere nessuna voglia di mettersi sotto l’ombrello dell’Alleanza Atlantica. Le proteste vedono in piazza (in manifestazioni a volte sfociate in violenti scontri con la polizia) un fronte agguerrito guidato dalla coalizione di opposizione al governo: Demokratski Front (DF). Contestano la gestione verticistica di Milo Djukanovic, chiedono il voto anticipato. Con la minaccia di mandare a monte la partita Nato. «Vogliamo le prime vere elezioni libere in Montenegro», dice Andrija Mandic, uno dei leader del Demokratski Front. «Il popolo si è svegliato, si è formata una massa critica sufficiente per portare a un vero cambiamento, un’opposizione abbastanza unita da offrire un’alternativa valida al governo Djukanovic. Il quale non esita a usare la forza pur di rimanere al potere». Anche l’astuzia politica, però: qualche settimana fa Milo ha spiazzato tutti offrendo quattro ministeri chiave alle opposizioni. Il clima, tra faide in Parlamento e catene umane intorno ai palazzi del governo, resta rovente. Oltreché avvelenato dai sospetti: Djukanovic è convinto che le proteste anti Nato siano alimentate dall’irritazione di Putin all’idea che il Montenegro – avamposto della penisola balcanica sull’Adriatico – entri a far parte dell’Alleanza atlantica.
In questo pentolone l’unica piccola certezza resta la sostenibile leggerezza della flat tax formato bonsai. Raccontano che persino Sergio Mattarella ne sia rimasto colpito.
Il 27 maggio scorso il Presidente della Repubblica è venuto in visita ufficiale a Podgorica: 32 anni dopo la visita di Sandro Pertini. Era la prima volta in Montenegro di un capo di Stato di un Paese del G7. La prima volta a “Flataxlandia”.