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 2016  marzo 12 Sabato calendario

LA MIA NAVE VA


[Elisabetta Sgarbi]

Casa editrice è molto più di un modo di dire. Nelle case dove nascono e crescono i libri anche muri, finestre e mobili contano. Per questo Elisabetta Sgarbi della Nave di Teseo ha scelto e procurato perfino i dettagli. Al piano terra di un palazzo altoborghese milanese vicino al Castello Sforzesco, stanze messe per tre anni a disposizione dell’impresa dal finanziere Francesco Micheli, campeggiano all’ingresso i cartoni preparatori degli affreschi di Carlo Sbisà, il pittore amico di Afro e Margherita Sarfatti che negli anni Venti rappresentò come belle donne fiere le città di Gorizia, Pola, Zara al Museo del Risorgimento di Trieste. «Li ho portati dalla Fondazione di famiglia a Ferrara, come qualche mobile che fa da scrivania. La sala riunioni col tavolo oblungo, invece, mi ricorda quella mitica di Gallimard a Parigi: da tutte e due si vedono dalle finestre gli alberi e il cielo».
Naturalmente nelle case editrici contano di più le persone: qui sette in tutto (Sgarbi, direttore generale ed editoriale, il presidente Mario Andreose, tre editor ex Bompiani guidati da Eugenio Lio, la responsabile dell’ufficio diritti) alle prese con una montagna di incombenze: «Avviare una casa editrice indipendente da zero implica fare in prima persona una quantità enorme di cose che in un’azienda come la Bompiani che abbiamo lasciato erano già date: contratti di distribuzione e promozione, aspetti legali e di diritto del lavoro, fiscali, tirature, sconti. Fino all’arredamento estetico e funzionale dell’ufficio, dalle fotocopiatrici ai rubinetti al colore della carta igienica». Tanto da fare anche per una abituata alla trasversalità e al superlavoro come Sgarbi, che oltre ad aver diretto Bompiani per 13 anni (e prima esserne stata per quasi altrettanti editor) da 18 edizioni organizza gli incontri estivi fra scrittori e fra le arti “Milanesiana” e ha diretto 20 film documentari. Ma quello era niente rispetto al ritmo delle ultime settimane.
Quando ci eravamo visti qui una prima volta, un mese fa, la vernice dei muri era ancora fresca e freschissime, sullo scaffale bianco lungo tutto il corridoio, le prove di stampa e copertina (design di Luigi Cerri) dei primi dei 50 volumi previsti quest’anno. Perché ovviamente più di tutto il resto, nelle case editrici, contano i libri: dalle fiabe rilette Un cigno selvatico di Michael Cunningham a Matrimonio di piacere di Tahar Ben Jelloun, al romanzo su un’ossessione d’amore La femmina nuda con il quale Elena Stancanelli esce giusto in tempo per partecipare con il nuovo marchio al premio Strega. Soprattutto c’era già, rivista poche ore prime dall’autore, la prova di stampa di Pape Satàn Aleppe di Umberto Eco, prima fondamentale firma sotto il manifesto di dissenso per la vendita di Rizzoli (Bompiani compresa) a Mondadori, per impulso del quale La Nave di Teseo è nata.
Poi, tempo e destino hanno bruscamente accelerato. La sera di venerdì 19 febbraio la scomparsa di Umberto Eco, il lutto di tutta la cultura internazionale e la decisione che il suo ultimo libro scritto sarebbe stato, stampato a tempo di record, il primo titolo della Nave di Teseo: 75mila copie vendute nel primo giorno, il resto dei numeri da primato nelle cronache recenti, assieme a quelli del tascabile Come viaggiare con un salmone, mandato in edicola 24 ore prima con i giornali storici di Eco, Repubblica e l’Espresso.
Insieme, sono arrivati anche gli sviluppi dell’istruttoria dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che acclara la posizione dominante (quindi nociva al mercato) della concentrazione Mondadori-Rizzoli Bompiani compresa: il punto d’origine di questa che di fatto è la diaspora editoriale italiana più importante da quelle del Saggiatore (1958) e di Adelphi (1962). E così anche l’inquietante favola editoriale italiana “Biancaneve e i sette nani”, una sola impresa che avrebbe svettato con il 35-40% dei libri venduti, avrà il finale almeno in parte riscritto dalla vendita programmata entro 15 mesi e accettata da Mondadori di Bompiani, Marsilio, Sonzogno.
Paradossale, no? Con La Nave di Teseo è stata vinta una guerra di principio importante ancora prima di scendere in mare, ma la battaglia per l’eventuale acquisto di Bompiani (a cui anche altri editori sono interessati) è ancora tutta da combattere. Come finirà? E Sgarbi non avrà qualche ripensamento, guardando a quello che è successo dall’inizio? «Guardi, i principi in generale non sono negoziabili. Quindi, ripensamenti nessuno. Consapevolezza di una scelta importante sì, molto. Come finirà, invece, non lo so. A questo punto mi pare che nel mercato italiano esistano almeno quattro gruppi importanti: Mondadori, Gems, Feltrinelli, Giunti. Ed editori importanti con quote non indifferenti, da Neri Pozza, a Marsilio, a Sellerio, ovviamente Bompiani e aggiungo la Nave di Teseo e altri. La scelta che abbiamo fatto è definitiva.Per quanto riguarda me, citando Madame de Staël, “nella vita non ci sono che inizi”. E questa è una lezione che mi ha lasciato anche mia madre».
Si può partire da questo pure per capire meglio il percorso che dall’infanzia a Ferrara ha portato Elisabetta Sgarbi all’oggi, dribblando la biografia telegrafica con cui cerca sulle prime di liquidare la domanda: «Agli inizi ero farmacista, poi lettrice allo Studio Tesi, poi ufficio stampa alla Bompiani, poi editor, poi direttore editoriale. E poi qui, dove ho iniziato tutto daccapo». L’indizio più curioso viene da una pagina di Lungo l’argine del tempo, Memorie di un farmacista, che il padre di Elisabetta, Giuseppe Sgarbi, ha pubblicato due anni fa a 92 anni (proseguendo con Non chiedere cosa sarà il futuro e il prossimo Lei mi parla ancora, editore Skirà, per inciso un altro degli ex satelliti Rcs tornato in mano ai fondatori, come Adelphi e Archinto, dopo il big bang). Primi anni Settanta, va al bando «una gran bella farmacia (dieci vetrine!) a Cologno Monzese, nell’hinterland di Milano». Rina Cavallini Sgarbi, la madre di Elisabetta, che col marito ne ha già una a Ro Ferrarese, partecipa all’esame per l’assegnazione. Per farla breve, è preparatissima e becca un errore nella formula del test, scritta alla lavagna. Complimenti seccati dal professore: «Ha ragione, la formula è sbagliata. E lei ha vinto una farmacia!». Il figlio maggiore che mamma Rina si era portata per sostegno morale «saltò in piedi come per un goal allo stadio e abbracciò la Rina con incontenibile entusiasmo». Era già Vittorio Sgarbi, fin da piccolo.
Elisabetta, che ha una dozzina d’anni meno del fratello, quel giorno invece non c’era: probabilmente era a casa a fare i compiti. Ma qualche anno dopo quel negozio da dieci vetrine sarebbe finito tra i suoi compiti da fare. «Quando ho finito il liceo mio fratello aveva già scelto Lettere e Filosofia. Mi sono iscritta a Farmacia seguendo la tradizione di famiglia». Un po’ feudale, no? «Decisamente feudale, se si aggiunge che, quando non ci sono eredi idonei all’esercizio della professione, la titolarità della farmacia va a concorso per essere ceduta». Scelta obbligata, ma non presa sottogamba. «Siccome mi sembrava di non saperne abbastanza, per soffrire ancora un pochino dopo la laurea ho fatto altri due anni di farmacologia. Ma siccome sono “Betty Wrong”, come il titolo della canzone di David Bowie che poi ho preso in prestito per la mia casa di produzione di film, il periodo di pratica l’ho voluto fare, anziché in famiglia, a Tamara, il paesino sul Po dov’è nato il poeta Corrado Govoni».
Diligente, in ogni caso, non vuol dire obbediente. «Malinconicamente, il mio cuore batteva altrove, per la letteratura e le arti». Alla fine madre e figlia si chiariscono. «L’ho sempre ringraziata per la libertà che lei e mio padre mi hanno lasciato, magari anche un po’ distratti dall’attenzione per mio fratello, il figlio maschio...». L’occasione, minima, arriva quando Gianantonio Cibotto, cantore del Po, letterato fondatore, tra gli altri, del premio Estense e frequentatore della colta famiglia di farmacisti ferraresi, le propone di fare la lettrice per la giuria del concorso. Tre anni dopo, Sgarbi mette piede da lettrice nella piccola e attenta editrice Studio Tesi di Pordenone. Dopo un po’, a un altro premio (sembra la prova che a volte servono a qualcosa) incontra Mario Andreose, che è appena arrivato a Bompiani da Mondadori, dopo essersi formato come editore al Saggiatore, e in quel momento cerca un ufficio stampa. Lei preferisce leggere e fare editing, ma Cibotto le dice di non fare la difficile.
Pochi mesi dopo, alla Bompiani, insiste per passare al lavoro editoriale «e tutti si stupiscono: preferisci leggere e correggere bozze che incontrare le persone?». Preferisce, ma meglio ancora le riesce di annusare titolo e autore giusti. Per un decennio comincia a sceglierli. Bene: Hanif Kureishi, il superbestseller Coelho, Tahar Ben Jelloun, Houellebecq scoperto prima del successo conclamato con Le particelle elementari, Joel Dicker prima che al Salone di Francoforte andasse a ruba La verità sul caso Harry Quebert. Tra gli italiani, per citarne solo qualcuno, Nesi, Scurati, Veronesi, Gamberale, Baresani. Citare solo i successi, certo, è troppo facile, ma è un bel pezzetto di storia recente di Bompiani, quello che si è lasciata alle spalle.
Seduta al tavolo nero lucido nella stanza di direttore editoriale, la più sobria della Nave di Teseo (libreria scura e una sola fotografia alle pareti), riflette: «Un po’ di tempo fa, invitata a parlare alla Scuola dei librai Umberto ed Elisabetta Mauri, a Venezia, mi sono definita scherzando più che un editore modello un editore “monello”. Parlo delle mie passioni trasversali: coi libri, musica e cinema, che è quasi un amore non voluto, nato guardando tutta la notte i film di Fuor Orario. I film li faccio nel tempo libero e nelle vacanze estive, prima i corti quasi per gioco, adesso prendendo la cosa molto sul serio: i documentari sull’arte, su Trieste, sui pescatori del Po, sulle badanti dell’Est… È una passione che si è moltiplicata dal momento in cui ho potuto vedere il mondo dentro l’inquadratura. E anche la casa editrice ho imparato a vederla dentro l’inquadratura, escludendo tanta parte che non era opportuno che entrasse».
Cosa deve restare escluso? «Le interferenze, i manoscritti proposti con insistenza, i consigli di fare o non fare assolutamente qualcosa, le pressioni non necessarie. Come dice Jean Claude Fasquelle, l’amico grande editore francese che a titolo personale partecipa da socio con la moglie Nicki al nostro progetto, un bravo editore deve saper dire no».
Alla periferia dello sguardo, sulla parete a sinistra del tavolo, c’è invece la grande fotografia incorniciata della madre, giovane e sorridente a Ferrara in un scatto di tanti anni fa. Ma lei, spiega, nell’inquadratura rientra comunque. «È scomparsa lo scorso 3 novembre. La cosa che mi manca di più è non poterle raccontare come è cambiata la mia vita. Non ho fatto in tempo. Anche se un po’ lo aveva capito, che qualcosa poteva succedere. In ufficio tengo appesa solo la sua foto perché mi piace pensare che sia entrata in casa editrice prima di me. Che lei sia stata più veloce, come sempre».
Tornando a guardar fuori e in avanti, il varo della Nave di Teseo nel nome di Eco è stato clamoroso, ma non cancella le incognite, a partire dai nuovi libri e dal recupero dei titoli precedenti del primo fondatore e degli altri autori rimasti a Bompiani. L’orientamento dell’Authority a negare per tre anni a Mondadori il diritto di prelazione sui nuovi libri dei suoi scrittori, vi aiuta? «Il tema che abbiamo posto, anche durante l’istruttoria, è la percentuale di mercato che si sarebbe venuta a creare sui tascabili. Riguarda anzitutto gli autori che, avendo scelto per una questione di principio di fondare una nuova casa editrice, hanno lasciato la propria backlist da Bompiani, e dunque desiderano ricongiungersi a essa. Altro fatto ancora è che un editore, senza catalogo, fa ovviamente più fatica. Questo è stato il rischio della nostra scelta: dobbiamo costruircelo quasi da zero, e iniziamo a farlo con i titoli di aprile».
Sgarbi ha sempre detto di essersi dimessa da Bompiani cotro la posizione dominante del colosso che si veniva a creare, non per conquistare l’indipendenza del marchio. Un domani, oltre eventualmente a trovare i capitali per comprare la casa lasciati alle spalle, sarebbe pronta a confluire in un altro gruppo interessato ad acquisirla? «Di confluenze, al momento, non abbiamo parlato. Ora guardiamo alla realtà della Nave di Teseo, che è una casa editrice indipendente. Bisogna farla crescere, questo è il mandato ereditato da Eco, anzitutto».