Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  marzo 14 Lunedì calendario

QUADRI, VINO, GIOIELLI E AUTO QUANTO RENDE UNA PASSIONE

Roma
«Dona un diamante, farà brillare il Natale di chi ami di una luce nuova»: alla vigilia delle feste di fine anno, Ubi banca invitava i clienti a pensare a un regalo diverso. Una pietra prezioso e duratura sulla quale allocare le proprie risorse. Sempre, in tempi di borse sull’ottovolante e di tassi di Bot e Btp ai minimi, si apre la caccia ai cosiddetti beni rifugio. Beni dove allocare i propri risparmi quando si ha paura di perdere tutto di fronte alla minaccia di una recessione, o ancor peggio, di uno tsunami finanziario. Un tempo era l’oro, oppure il mattone. Poi la fantasia si è sbizzarrita e anziché pensare solo a un paracadute, molti risparmiatori hanno in realtà pensato di acquistare oggetti di piacere personale. Arte, vino, gioielli, macchine d’epoca, orologi in serie limitata: una decina di beni di lusso sono diventati anche “passion investment”, investimenti di passione. Fanno parte della quota di investimenti alternativi che pesano tra il 7 e il 10% sul portafoglio degli Hnwi, i Paperoni del mondo. Ciascun bene ha il suo borsino, le sue quotazioni. Piazze ufficiali o private dove gusto estetico e ricerca di un rendimento si fondono, rendendo in realtà difficile stimare reali guadagni. «È questo il punto chiave, ci vuole una grande cautela a considerarli investimenti in senso stretto», afferma Paola Musile Tanzi, docente di Intermediazione finanziaria e assicurazioni alla Sda Bocconi. Spiega Musile Tanzi: «Uno degli aspetti da tenere sempre in considerazione è la liquidità di questi beni. Prendiamo l’arte, considerata l’emblema di questi cosiddetti investimenti alternativi: i comunicati stampa riportano sempre i record delle vendite, ma pochi si soffermano ad analizzare l’invenduto, vuol dire che non sempre e non tutto si può sempre rivendere». La liquidità di un investimento è una valutazione chiave. Prima di comprare la domanda è: in caso di bisogno urgente potrei mai rivedere questo bene? Perché un conto è avere un portafoglio diversificato che consente di parcheggiare una quota delle proprie risorse senza preoccupazioni, un altro pensare di fare l’investimento che in poco tempo ci può rendere ricchi. Secondo una recente ricerca di Citi, nonostante la battuta d’arresto dovuta alla crisi, il mercato dell’arte è cresciuto a un tasso medio annuo del 13% dal 2000 a oggi, arrivando a toccare un valore di 16,1 miliardi di dollari su scala mondiale. La corsa è destinata a proseguire almeno per i prossimi 15 anni, anche se non a un ritmo così sostenuto. Per gli esperti della banca americana, chi opera nel settore dell’arte si dovrà “accontentare” di un +9% all’anno. Rispetto agli andamenti del reddito fisso, praticamente piatti, e all’insicurezza dei listini azionari, rendimenti da sogno. Ma si tratta di una media. E a trainare la crescita di questo mercato ha contribuito in modo consistente il boom cinese, un mercato trainato dai tycoon emergenti, che con la progressiva liberalizzazione del mercato e delle libertà individuali hanno iniziato a investire i loro capitali in arte. Così come in vino e cognac. Altri segmenti dei “passion investment” trainati dal Dragone e da altre economie emergenti. I ricchi cinesi sono quelli che si aggiudicano le aste record, i Master più cari e famosi. E secondo Citi, adesso che la Cina è diventata un mercato maturo per l’arte, i tassi di crescita sono destinati a rallentare soprattutto in termini di volumi. La disoccupazione resta alta, i consumi frenano, aumenta il tasso di povertà. Ma, paradossalmente, allo stesso tempo le aste di vini, arte, orologi e gioielli fanno registrare impennate nelle quotazioni sulle principali piazze mondiali. Segno che chi ha soldi, tanti, non soffre la crisi. Ma segno anche che la platea di appassionati si è ampliata. E anche il mercato “alternativo” è accessibile a diverse fasce di investitori. «Opere giovanili di artisti poi diventati famosi, opere di scolari, artisti dimenticati, opere in serie limitate: è questo il cuore del mercato dell’arte», dicono gli esperti di Artprice e Amma. Oltre l’80% della Fine Contemporary Art venduta in asta riguarda opere che costano meno di 10.000 dollari. Tra le fotografie i disegni e le litografie, il prezzo medio nel 2015 è stato di 5.000 dollari, mentre il 75% delle sculture e dei dipinti aggiudicati quotava attorno ai 7.200 dollari. Male che va restano sempre pezzi di arredamento di gusto e di valore, sempre meglio di una obbligazione senior “illiquida”. «Vino? Male che va lo puoi sempre bere», amava ripetere l’avvocato Gianni Agnelli quando investire in etichette top era appannaggio di pochi ricchi. Oggi il “bere bene” è diventato una moda. Un mercato liquido, appunto, perché una bottiglia mantiene il suo valore finché il vino che contiene si può ancora bere. Il Liv-ex Fine Wine 50 index, il benchmark dei più importanti vini di Bordeaux, si è impennato a gennaio e febbraio di questo anno. Un rally che si registra dopo cinque anni di declino dell’indice, che aveva fatto registrare un crollo del 40% dai suoi picchi massimi, dovuto a uno spostamento della domanda degli estimatori verso i vini della Borgnogna, quelli d’Italia e della California. Non tutti possono permettersi un Romané-Conti. Ma su e-bay impazzano le aste di vini meno cari e meno pregiati. Un mercato piacevole. Male che va, lo porti in tavola.
Paola Jadeluca, Affari&Finanza – la Repubblica 14/3/2016