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 2016  marzo 15 Martedì calendario

C’è molto da imparare dalla nuova telenovela francese per il controllo di Telecom Italia Da qualche tempo tre ombre dalla Francia si stanno allungando su Telecom Italia

C’è molto da imparare dalla nuova telenovela francese per il controllo di Telecom Italia

Da qualche tempo tre ombre dalla Francia si stanno allungando su Telecom Italia. La Vivendi di Vincent Bolloré, l’industriale della telefonia Xavier Niel e il colosso di stato Orange (ex France Telecom). Con modalità diverse, tutte e tre hanno messo nel mirino la società di telecomunicazioni italiana. Potrebbe sembrare solo una nuova puntata di una telenovela che va in onda da quasi 20 anni: la lotta per il controllo di Telecom, ma i movimenti degli ultimi mesi potrebbero dirci molto anche sulla rivoluzione in corso (con o senza regia, resta da capire) nel capitalismo italiano [1].

La prima ombra, Vivendi, parla con i numeri e soldi contanti. In meno di due anni il colosso francese ha rastrellato in Borsa il 24,9% di Telecom. Né Telco, né prima Olimpia, avevano mai avuto una presa così salda: senza pagare premi di maggioranza e senza scatole indebitate, Vivendi ne ha di fatto rilevato il controllo investendo circa 3,6 miliardi. Partendo, quasi incidentalmente, da un pacchetto dell’8,3% che nel giugno 2014 Telefonica gli aveva girato come parte del corrispettivo per la brasiliana Gvt, a fine 2015 il gruppo di Bolloré aveva iscritto a bilancio il 21,4% di Telecom a 3,3 miliardi. Poi, approfittando della debolezza del titolo dopo il piano dello scorso 16 febbraio, si è comprato un altro 3,5% del capitale salendo al limite della soglia d’Opa (25%). Fine degli acquisti: dato che non ci sono altre quote rilevanti intorno a quella detenuta da Vivendi, che non siano di investitori finanziari, per ora non c’è la volontà di superare quella soglia [2].

Vivendi ha però dato il segnale, per molti non scontato, di non voler mollare la presa su Telecom in un momento in cui il colosso transalpino Orange, il cui primo azionista è lo stato francese con il 27%, è tornato a mostrare interesse per una fusione con Telecom Italia: «Se Bolloré mi chiamasse – ha recentemente detto l’ad di Orange Stéphane Richard – potremmo metterci d’accordo». Interesse respinto al mittente anche dall’attuale presidente di Telecom Giuseppe Recchi («l’ipotesi è solo nella testa dell’ad di Orange»), che è ben felice se imprenditori francesi investono nel nostro paese («i capitali non hanno passaporto») ma resta contrario a operazioni che significherebbero consegnare la principale azienda tecnologica italiana in mano alla Francia, inclusa quella rete a banda larga che dovrebbe rappresentare uno dei principali fattori di crescita futura del Paese [2].

È però lecito pensare che non basterà la fermezza di Recchi ad allontanare la seconda ombra francese su Telecom Italia, quella appunto di Orange, se anche il presidente François Hollande, al vertice di Venezia della scorsa settimana, si è offerto da padrino per la nascita di un campione europeo delle tlc con una fusione italo-francese: «Non dobbiamo temere questi investimenti» [3].

Bolloré, da quando è diventato azionista di riferimento di Telecom, ha sempre tenuto a far sapere di agire in modo indipendente, senza accordi o alleanze con altri operatori. Soprattutto da quando nella partita italiana ha messo un piede (terza ombra) Xavier Niel, con la sua Rock Investment, altro imprenditore francese già nel settore del tlc, che nel settembre 2015 con un investimento di 200 milioni ha acquistato opzioni che potranno essere convertite in azioni a partire dal giugno 2016 per un complessivo 15% del capitale di Telecom [3]. Dagospia: «Niel, anche se nasce come industriale, su Telecom si è comportato da consumato raider e ha prenotato il 15% della società perché scommette in un grande apprezzamento del titolo quando l’operazione con Orange sarà matura» [4].
Insomma, è proprio questa rivalità tra gruppi d’Oltralpe a far pensare che prima o poi possa scaturire un accordo tra di loro. Con Hollande al governo la moral suasion su Bolloré potrebbe alla fine avere successo e convincere il finanziere bretone a conferire il suo pacchetto di azioni Telecom a Orange diventandone contemporaneamente, con lo stato francese in fase di diluizione, l’azionista di riferimento [3].

Bertone: «Le premesse sembrano ideali: nessuna sovrapposizione di business, la possibilità di dar vita all’operazione senza metter mano al portafoglio grazie a uno scambio di azioni. E ci sarebbe pure spazio per un azionista italiano forte, magari dell’area pubblica: sarebbe sufficiente che la Cassa depositi e prestiti conferisse Metroweb in cambio di azioni. In questo modo l’attuale Telecom Italia potrebbe accelerare la corsa alla banda ultralarga, grazie a una struttura finanziaria più robusta» [5].

Ma Bolloré? Per quale motivo dovrebbe condividere il primato conquistato nelle tlc? La risposta arriva, nuovamente, da Parigi. Vivendi in realtà punta al controllo della pay tv del gruppo Berlusconi. Anzi, è già pronta un’offerta su tutti i titoli, con l’eccezione dell’11 per cento detenuto da Telefonica. In sostanza, il finanziere bretone vuole diventare il protagonista assoluto delle tv a pagamento del sud Europa, contrapponendosi al gruppo Sky di Rupert Murdoch e all’arrembaggio di Netflix, il terzo incomodo [5].

Le trattative tra il gruppo parigino e Mediaset vanno avanti da mesi, con più obiettivi. Oltre all’accordo, non facile, sulla piattaforma Premium (le parti sembrano ancora divise dal prezzo), sono in ballo una joint venture commerciale e un’intesa finanziaria per condividere lo shopping delle partite di calcio e dei film, oltre a un accordo sulla produzione e la distribuzione delle serie tv e dei lungometraggi. Un dialogo complesso, più volte interrotto, che sembra arrivato allo snodo decisivo, come dimostra la presenza al tavolo di Pier Silvio Berlusconi e di Yannick Bolloré, uno di tre figli del tycoon [3].

Ancora, oltre a mirare al controllo dei media e delle tlc, monsieur Vincent, secondo azionista di Mediobanca in cui ha insediato nel consiglio e nel comitato esecutivo la figlia Marie, 27 anni, spinge alla guida delle Generali l’attuale ad Philippe Donnet, ex Axa, a lui vicino. E l’impronta sempre più marcata di Bolloré sul capitalismo italiano avviene in parallelo alla ritirata degli ex poteri forti di casa nostra [5].

Bertone: «Marco Tronchetti Provera ha ricche cedole da garantire ai nuovi padroni di Pirelli, i cinesi di Chem China. I grandi della moda e del lusso, da Leonardo Del Vecchio a Diego Della Valle, non hanno la forza o la volontà per contrastare la leadership assoluta nella carta stampata della corazzata La Stampa-Repubblica. Fiat-Chrysler ormai guarda a uno scenario internazionale, forte della sua presenza nell’Economist e nell’alleanza con il clan De Benedetti» [5].

Insomma, il capitalismo italiano si riscopre, una volta di più, povero di capitali e senza alcuna intenzione di rischiare, almeno in casa propria. Renzi l’ha capito e si muove di conseguenza: i capitali per la crescita bisogna cercarli oltre frontiera. Ma, per aver successo nell’impresa, bisogna rispettare le regole senza la tentazione di trovare scorciatoie. Bertone: «Il buon politico dei nostri tempi, come accade in giro per il mondo, dev’essere rispettoso della governance. È il capitalismo di sempre ma, visti molti precedenti, per l’Italia, è un nuovo capitalismo» [5].

(a cura di Francesco Billi)

Note: [1] Giovanni Pons, Affari&Finanza 7/12/15; [2] Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore 12/3; [3] Giovanni Pons, la Repubblica 9/3; [4] Dagospia 13/11/15; [5] Ugo Bertone, Il Foglio 10/3.