Stefano Lorenzetto, L’Arena 6/3/2016, 6 marzo 2016
MA C’È ANCHE L’ELEMOSINA DI STATO
Fino a una trentina di anni fa vi era nella nostra città un’edificante tradizione, che non so se sopravviva tuttora. Il venerdì, giorno di uscita di Verona Fedele, una lunga fila di popolani indigenti e barboni scarmigliati si formava poco prima delle 15 davanti alla sede del settimanale diocesano, non a caso ubicata in via Pietà Vecchia. All’apertura degli uffici, i poveri ricevevano dall’amministratore Michele Sorio, detto Nini, una copia omaggio del giornale fresco di stampa e 50 lire. Cibo (anche se poco) per l’anima e per il corpo.
Chissà come si sarebbe regolata, in un caso del genere, la polizia municipale, oggi chiamata a far rispettare l’ordinanza emessa dal sindaco Flavio Tosi contro l’accattonaggio e a favore del decoro urbano. Poiché l’operazione avveniva sulla pubblica strada, non v’è dubbio che gli agenti avrebbero dovuto stroncarla: non appariva certo bello, agli occhi dei turisti che si erano appena inebriati di splendore davanti all’Assunta del Tiziano, vedere quell’umanità disperata, sudicia e sgomitante in coda sul lato destro del Duomo. Ma chi multare, se la dazione di denaro avveniva all’interno di una proprietà privata?
Sul controverso provvedimento firmato dal primo cittadino di Verona, che commina da 25 a 500 euro di sanzione a coloro i quali osano fare la carità per strada, si è aperto un appassionato dibattito, nel quale ciascuna ragion mi pare torto, per dirla con il poeta medievale Bondie Dietaiuti rispolverato da Franco Battiato, ma anche ciascun torto mi pare ragione. Inevitabile quando la libertà e il discernimento individuali vengono prevaricati dalla marziale applicazione di norme all’apparenza dettate da buonsenso.
Ha ragione Tosi, quando nell’ordinanza scrive che il problema della mendicità si è aggravato con la crisi economica e con i flussi migratori incontrollati; che il fenomeno maschera un racket dedito all’illecito sfruttamento di minori, disabili e anziani; che l’accattonaggio viene esercitato anche negli attraversamenti stradali, provocando pericolo per la viabilità e per l’incolumità dei pedoni; che il regolamento di polizia urbana vieta la richiesta di elemosine in tutto il territorio comunale e in particolare in prossimità di monumenti e luoghi turistico-culturali. Ha ragione il suo collega di Vicenza, Achille Variati, quando commenta che è una decisione eccessiva multare chi dona 1 euro pensando di fare un atto di carità. Ha ragione il vescovo di Verona, Giuseppe Zenti, quando afferma che non vuole entrare nel merito di un provvedimento amministrativo, perché la cosa non gli compete, ma subito aggiunge che «la carità va sempre fatta nei modi migliori possibili», e cioè alla Caritas diocesana. Ha ragione don Roberto Vinco, parroco di San Nicolò all’Arena, quando si dice «convintissimo che una piccola offerta non sia il modo di aiutare una persona, ma, tra cento che ti chiedono e a cui noi diamo sempre qualcosa, io accetto anche che qualcuno m’imbrogli, perché è il cuore che dà». Ha ragione Michele Bertucco, capogruppo del Pd in Comune, quando osserva che «il sindaco ha finalmente completato la sua collezione di provvedimenti fuffa buoni solo per qualche giorno di visibilità» e prevede ironicamente che l’ordinanza «raccoglierà grande favore fra i turisti che si vedranno multare per il più naturale, umano e cristiano dei gesti».
Abbiamo soprattutto ragione noi automobilisti, noi passanti, noi frequentatori di messe domenicali, che potremo finalmente, senza doverci vergognare, sgravarci la coscienza dicendo a chi c’importuna al semaforo: «Mi dispiace, fratello, ma non posso darti 2 euro perché l’offerta rischierebbe di costarmi 250 volte tanto». Già, ma come ce la caveremo quando i derelitti ci fermeranno sui sagrati e nei chiostri delle chiese, cioè in territorio neutro?
A lasciare perplessi è la contraddittorietà dell’ordinanza. Nella premessa è scritto che viene adottata «al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana». E più avanti si precisa che essa si prefigge di «sanzionare coloro che, pur con spirito caritatevole, incrementano» un’attività «che spesso cela situazioni criminose». Però subito dopo si scopre che resterà in vigore soltanto fino al 14 aprile. Non capisco: dal giorno appresso l’incolumità e la sicurezza dei cittadini non saranno più a rischio? Le attività criminose cesseranno per incanto?
Tosi ha deciso di firmare il provvedimento soprattutto in considerazione del fatto «che la città di Verona ospita fino al 13 aprile 2016 numerose manifestazioni». Qui ci dobbiamo mettere d’accordo: lo scopo è combattere il racket oppure preservare dalle molestie «le centinaia di migliaia di turisti che si recano in città per il periodo pasquale e nei week end»? Buona la seconda, parrebbe. Infatti l’ordinanza con la scadenza delle mozzarelle (un mese) interessa unicamente tre zone: la città antica, corso Porta Nuova e via IV Novembre. Che logica è questa? Gli sfruttatori possono, impuniti, vessare minorenni, donne e storpi purché li mandino a prosternarsi al di là dei ponti e nelle vie meno eleganti, dove gli ingenui benefattori restano liberi di lasciar cadere una monetina senza incorrere in maxi multe. Siamo al principio di legalità adattato allo stradario, al decoro urbano interpretato in chiave toponomastica. Sembra di giocare a Monopoli: in vicolo Corto e vicolo Stretto puoi fare cose che invece sono disdicevoli in viale dei Giardini e parco della Vittoria. L’ordinanza interpella soprattutto il buon cristiano, quindi in linea di principio lo stesso Tosi che tale si dichiara, e per di più nell’anno in cui si celebra il Giubileo della misericordia. Aveva un bel dire il Fondatore: «I poveri li avete sempre con voi e potete beneficiarli quando volete». Si fosse trovato quel giorno a Verona, anziché a Betania, sarebbe stato costretto a correggersi: «A patto che non lo facciate in via Mazzini».
Per non soggiacere al ricatto emotivo che il mendicante esercita su di noi, fino a ieri eravamo soliti farci scudo della lotta all’alcolismo: niente obolo, altrimenti il clochard lo spende subito all’osteria. Un mio amico prete s’è arreso quando, dopo aver allungato una banconota da 5 euro all’avvinazzato di turno, costui si è sdebitato così: «Grassie, reverendo. ’Ndemo all’ostaria a béar un’ombra insieme? Ofro mi!». Ora il divieto tosiano ci fornisce una formidabile scappatoia per scansare gli ubriaconi.
Il diktat municipale spiega che si è costretti a punire severamente gli altruisti perché gli sfruttatori di bisognosi se ne infischiano delle multe. Una ritorsione simmetrica. È giusto che l’incapacità delle autorità preposte a stroncare il racket della questua sia messa in conto alla gente? Con il tempo si potrebbero rinviare a giudizio tabaccai e farmacisti che si ostinano a tenere aperti i loro negozi, anziché i rapinatori armati di taglierino che li depredano a giorni alterni, visto che i malviventi, in caso di arresto, vengono subito scarcerati.
A questo punto vorrei sapere a che serve il Progetto Sirio (nome suggestivo), cui il Comune di Verona partecipa con Ulss 20, 21 e 22, cooperativa Azalea, Comunità dei giovani, Caritas, questura, carabinieri, polizia urbana, Comune di Venezia. Esso si propone «il monitoraggio del fenomeno prostitutivo e l’emersione delle vittime di grave sfruttamento» e fa espressamente menzione dell’accattonaggio. Temo infatti che questo piano stellare contro la mafia dell’elemosina non funzioni, proprio come le terragne sanzioni pecuniarie irrogate agli schiavisti.
Vi sono molti modi di stendere la mano. Mi risulta, per esempio, che il movimento Fare! del sindaco Tosi abbia chiesto (alla Commissione di garanzia degli statuti e per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti politici) l’accesso ai benefici previsti dagli articoli 11 e 12 della legge 21 febbraio 2014, numero 13. In pratica si tratta di un’elargizione di Stato attuata attraverso la detraibilità fiscale del 26 per cento delle erogazioni volontarie ai partiti. Esempio: ogni 1.000 euro versati da un contribuente direttamente alla forza politica che più gli aggrada, 260 euro deve sborsarli la collettività a causa del minor gettito erariale. Non basta: dal 2014 ciascun dichiarante può destinare il 2 per mille della propria Irpef a favore di un partito politico, ma senza alcun esborso, giacché la corrispondente somma non esce dalle sue tasche, bensì dalle casse del ministero dell’Economia e delle Finanze. Purtroppo l’intempestiva richiesta di chi si batte «per ridurre gli sprechi di denaro pubblico e per abbassare le tasse» è stata respinta in quanto, all’epoca in cui è pervenuta la domanda, non risultava né l’esistenza di una rappresentanza di Fare! in Parlamento né la sua iscrizione nel registro dei partiti riconosciuti.
Come si vede, i bisogni dell’uomo sono infiniti e sempre proporzionati alla fame. Nel cercare di soddisfarli, ognuno si regola in base a ciò che ha nel suo cuore. Il sindaco fa bene a fare il sindaco: lo abbiamo eletto per questo. Io però vorrei continuare a fare il cittadino, perciò mi aspetto che, se qualcuno pretende di entrare nel mio cuore, prima perlomeno bussi. Non può mandarmi i vigili urbani a forzare la porta.
LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. È stato vicedirettore vicario del Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Attualmente in Marsilio come consigliere dell’editore. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Sedici libri, l’ultimo è Giganti (Marsilio).
LORENZETTO Stefano. 59 anni, veronese. Prima assunzione a L’Arena nel ’75. È stato vicedirettore vicario di Vittorio Feltri al Giornale, collaboratore del Corriere della sera e autore di Internet café per la Rai. Attualmente in Marsilio come consigliere dell’editore. Scrive per Panorama, Arbiter e L’Arena. Sedici libri, l’ultimo è Giganti (Marsilio). Ha vinto i premi Estense e Saint-Vincent di giornalismo. Le sue sterminate interviste l’hanno fatto entrare nel Guinness world records.