Sebastiano Grasso, Corriere della Sera 11/3/2016, 11 marzo 2016
Resine, sedicimila pagine di parole, colori e immagini. Un omaggio a Sbarbaro– Genova? «Una mummia vestita a festa»
Resine, sedicimila pagine di parole, colori e immagini. Un omaggio a Sbarbaro– Genova? «Una mummia vestita a festa». La definizione è di Lino Matti e sintetizza l’accusa mossa al capoluogo ligure – e, in genere, alla regione – di chiusura nei riguardi delle attività culturali. Eppure la Liguria ha dato vita ad una serie di riviste letterarie di notevole prestigio, che hanno spesso affiancato il dibattito nazionale. Valga per tutti il caso di «Resine», che prende il nome della prima raccolta di versi (1911) di Camillo Sbarbaro (1888-1967). Fondato a Savona, nel 1972, da Adriano Guerrini e Vico Faggi, il trimestrale oggi riassume, in una rassegna alla Pinacoteca Civica (sino al 20 marzo) i 170 numeri usciti sinora in poco meno di mezzo secolo: «Sedicimila pagine di poesia, narrativa, saggistica, memorie, testimonianze». E immagini: dipinti, sculture, grafiche, fotografie, cimeli, manoscritti. L’ultimo numero del trimestrale (2015) fa da catalogo alla rassegna di Palazzo Gavotti. Col richiamo a Sbarbaro – puntualizzano Pier Luigi Ferro e il direttore Silvio Riolfo Marengo – «“Resine” evoca un’antica tenacia e, insieme, la pastosità e la fluidità dei composti che i pittori da sempre utilizzano per accendere nei loro quadri luci e colori». È bastato questo perché al ministero della Cultura, o Beni culturali, anni fa, qualche funzionario solerte classificasse «Resine» come «una rivista di chimica» ( sic! ). Ed ecco prendere forma, in questa sorta di viaggio sentimentale a ritroso, i rapporti fra letterati e artisti, cadenzati dal titolo Resine, colori, immagini, parole. Fra gli altri, Accame e Balestrini, Baj e Hsiao, Dangelo e De Pisis, il futurista Farfa e Fontana, Jorn e Luzzati, Martini e Pasolini, Pomodoro (Arnaldo) e Treccani. E un piccolo tondo, inedito, di Pellizza da Volpedo. Ma anche un interessantissimo Album Sbarbaro: tempi, anni, persone: la Santa Margherita natale fine-Ottocento; il padre del poeta, Carlo, ufficiale del Genio; Camillo con la sorella Clelia; la vicenda del cugino Pietro Sbarbaro, docente universitario, deputato e organizzatore delle prime associazioni operaie; la pubblicazione delle due celebri poesie dedicate al padre ( Padre, anche se tu non fossi il mio e Padre che muori tutti i giorni un poco ); carteggi vari; la prima copia della raccolta Resine, che avrebbe dovuto intitolarsi Bolle di sapone, stampata dall’editore Caimo grazie ai soldi raccolti dai compagni di scuola («Furono i miei compagni di liceo, per iniziativa di Angelo Barile, a pubblicarli a loro spese. Fu pure Angelo Barile a dare il titolo. Il mio era F uochi fatui che dei versi voleva denunciare la casualità e inconsistenza», ricorderà Sbarbaro in una nota all’edizione Garzanti del 1948). Sbarbaro è morto nel 1967, ma gli omaggi di letterati e artisti italiani continuano tuttora. Sestine, acrostici, incisioni, dipinti. E prose; come quella dedicata al suo pino da Tiziano Rossi: «Mi chiamo Pino e sono piuttosto in là con gli anni: tra i 90 e i 94. Vivo in una foresta senza fine e la mia esistenza è selvatica, anche se preferirei che la definissero silvestre. Mi nutro di bacche (ho un debole per i mirtilli) e di certe foglie e radici, bevo l’acqua di un ruscello, mi medico le ferite con la profumatissima resina (…). Adesso me ne andrò a riposare sotto il mio albero preferito, che è un pino, cioè si chiama proprio come me, e con la sua resina mi compiange». Fra i «cimeli» in mostra, una cartolina postale di Montale a Sbarbaro, da Monterosso, datata 29 luglio 1922. Il testo? «Sallam aleicum!» ( Su di voi la pace ) che Montale rafforza con una elle in più. Sebastiano Grasso, Corriere della Sera 11/3/2016