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 2016  marzo 11 Venerdì calendario

Attenti a non ripetere gli errori del 1930– Nel 2009 i leader dei principali Paesi dell’Occidente avevano ben poco da festeggiare, ad eccezione forse di un indizio della loro perdurante tenuta mentale: non c’era stato un altro Smoot-Hawley Act

Attenti a non ripetere gli errori del 1930– Nel 2009 i leader dei principali Paesi dell’Occidente avevano ben poco da festeggiare, ad eccezione forse di un indizio della loro perdurante tenuta mentale: non c’era stato un altro Smoot-Hawley Act. Oggi gli stessi capi di Stato e di governo avrebbero qualcosa più di allora da cui trarre conforto, eppure gli stessi indizi non sono evidenti come prima. I parallelismi storici oggi sono così di moda da essere svalutati: diventano banali, meccanici, forzati e poco significativi. Non si riflette invece abbastanza sulle differenze nel corso degli eventi durante periodi storici paragonabili, e ancora meno sulle somiglianze nascoste. Prendiamo il caso di quegli anni recenti, a confronto con gli anni 30 e con l’attualità di questi mesi. Dopo il crash di Lehman Brothers alla fine del 2008 gli Stati Uniti erano in enormi difficoltà finanziarie e industriali; in vari Paesi europei, Germania e Italia su tutti, l’economia era crollata di più del 5%. Era la Grande recessione, poteva essere l’inizio di un’altra Grande depressione. I principali indicatori all’inizio di quell’anno, dai listini di Borsa alla produzione industriale, puntavano ancora più in basso che all’inizio del 1930. Eppure non furono commessi gli stessi, fatali errori di politica economica di ottant’anni prima. Uno di quelli che venne evitato fu astenersi dal ripetere lo Smoot-Hawley Tariff Act, la legge maturata nel Congresso americano e promulgata nel marzo del 1930 che alzò i dazi su una lunga lista di prodotti e sancì la svolta internazionale verso il mercantilismo e il protezionismo. Dall’America Latina all’Europa, nel 1930 un gran numero di Paesi reagì alla chiusura del mercato americano con simili leggi protezionistiche. Il commercio mondiale collassò e l’Occidente scivolò nella Grande depressione, dalla quale non si sarebbe davvero ripreso che alla fine della Seconda guerra mondiale. La generazione di leader al timone nel 2009 aveva letto qualche libro di storia. Non cadde nella stessa trappola. Il G20, il vertice delle prime venti economie del mondo, riaffermò l’impegno di ciascuno a mantenere i mercati aperti. I Paesi esportatori e gli importatori continuarono a commerciare liberamente e l’anno dopo sia gli Stati Uniti, che la Germania e l’Italia vissero un deciso rimbalzo economico. La Grande recessione non aveva portato a un’altra depressione. neo-protezionismi. Ma oggi? Non rischiamo, apparentemente, né l’una né l’altra. L’Europa e gli Stati Uniti sono però affetti da un malessere più sottile dei cui sintomi mancano le descrizioni nei libri di storia. La ripresa, anche dove c’è, non crea occupazione sufficiente o sufficientemente buona per dissipare le angosce del ceto medio. La stagnazione, come in Italia o in Francia, non basta a richiudere le ferite sanguinanti apertesi in questi anni. Grandi gruppi di elettori si rivolgono verso figure come Donald Trump, Marine Le Pen, Matteo Salvini, Beppe Grillo, Nigel Farage, che offrono loro un misto di tradizionalismo (contro gli stranieri e l’innovazione) e protezionismo (contro la concorrenza dei produttori esteri). Siamo certi che le nostre democrazie messe alla prova dagli stress di questi anni non ricadranno, questa volta, negli errori dello Smoot-Hawley Act? Personalmente lo sono, se parliamo di un ritorno delle leggi daziarie. Lo sono molto meno tuttavia se guardiamo a forme più subdole di protezionismo che stanno già fiorendo ovunque. I tassi negativi sui depositi bancari ormai imposti dalle banche centrali di molti Paesi sono, in alcuni casi, tentativi evidenti di svalutare ciascuno la propria moneta a fini mercantili. Le specifiche e i controlli tecnici sempre più stringenti imposti dalla Cina o da vari Paesi latino-americani sono una tattica di chiusura dei mercati. Soprattutto, questi «nuovi» leader populisti e protezionisti avanzano vendendo un messaggio falso ma tale da suonare plausibile: chiudiamo ai prodotti degli altri Paesi, e creeremo lavoro per la nostra gente. Lo dice Trump, lo ripetono Grillo, Salvini e Le Pen. Dimenticano tutti che quando anche gli altri Paesi reagiranno con le stesse barriere saremo solo tutti più poveri. O fingono di dimenticare. Il fantasma degli errori commessi nel 1930 era stato ricacciato negli armadi della storia nel 2009. Stiamo attenti a non lasciarlo risbucare fuori adesso, solo perché pensiamo che l’allarme ormai sia alle nostre spalle.