Sergio Luciano, Panorama 10/3/2016, 10 marzo 2016
DE BENEDETTI O DELL’ETERNO INCOMPIUTO
Alla fine siete riusciti a non metterci più neanche una lira!». «Infatti: «siamo stati bravi!»: botta e risposta, un anno fa, tra uno dei banchieri più esposti verso Sorgenia, imbufalito, e Rodolfo De Benedetti, figlio dell’Ingegnere, azionista ancora di controllo della semifallita società elettrica, che stava trasferendo senza pagare dazio alle banche creditrici. Nonostante quell’estrema provocazione, alla fine l’Ingegnere e il suo gruppo ebbero il loro miracolo, e lasciarono gratis alle banche la patata bollente. La Cir ne uscì pulita, senza minimamente contribuire a chiudere il buco da 1,8 miliardi accumulato nell’azienda. E le banche si tassarono, con la benedizione del tribunale di Milano, sostituendo debiti con capitale.
Miracolato seriale: destino roseo per l’Ingegnere. Migliore, certo, di quello dei 400 morti che la centrale Tirreno Power di Vado Ligure, partecipata dalla stessa Sorgenia, avrebbe determinato nel suo territorio, secondo l’analisi del procuratore di Savona Francantonio Granero: «Senza la centrale di Vado tanti decessi non vi sarebbero stati». Opinione di parte, per carità: sulla perizia dell’accusa è in corso un palleggio di valutazioni. Di certo, però, se fosse stato un altro, e non De Benedetti, a cogestire la centrale, oggi tutti parlerebbero di un’Ilva del Nord.
E l’amianto in Olivetti? Idem. Pochi giorni fa, Telecom Italia (che controlla i resti dell’azienda) ha risarcito quattro
famiglie di parenti delle vittime accertate dell’amianto a Ivrea ai tempi della gestione De Benedetti, imputato per omicidio colposo. Sulle colpe degli imprenditori negli anni dell’amianto ubiquitario si dubita molto, e spesso con ragione, ma nel caso di De Benedetti è come se nemmeno fosse lui, lì, a quei tempi. Miracolo.
Miracoloso è anche che l’Olivetti, nell’immaginario collettivo, resti un’azienda tecnologicamente gloriosa quando la verità è che quella gloria, ai comandi dell’Ingegnere, durò poco e costò molto: oltre 15 mila miliardi di vecchie lire bruciati fra il 1985 e il 1996. De Benedetti la rilevò semifallita, è vero, ma semifallita la lasciò. Nonostante una bella intuizione, più di Elserino Piol che sua: darsi alla nascente telefonia mobile. Intuizione corroborata, anche qui: miracolo!, dalla licenza messa a gara dal governo Ciampi e assegnata appunto a Omnitel, la società creata da Olivetti per concorrervi, con una firma decisiva del premier apposta il 28 marzo del 1994, ultimo giorno di governo prima di trasferire i poteri al vittorioso Berlusconi. E la cordata Fiat-Fininvest che concorreva contro Omnitel venne scartata. Il resto è noto: fu grazie alla crescita vorticosa di Omnitel che De Benedetti riuscì, nell’ultimo colpo prima di mollare Ivrea, a venderne a Mannesman il 49 per cento e (pare, ma lui non l’ha mai ammesso) anche una opzione call per il restante 51. Per la licenza, Omnitel aveva pagato 750 miliardi rateizzati in 14 anni: i tedeschi la quotarono a 14 mila. Miracolo.
E poi, caso più unico che raro, la rimozione collettiva del coinvolgimento dell’Ingegnere in Tangentopoli, arrestato a Roma dall’alba alla sera, ma senza l’onta del pernottamento sul tavolaccio, per una brutta storia di tangenti pagate alle Poste per vendere stampanti: un altro miracolo. Certo, l’Ingegnere aveva giocato d’anticipo, andando da Antonio Di Pietro e dichiarandosi concusso, reiteratamente e per anni ma concusso. E la Procura di Roma (Gip Augusta Iannini, provvedimento del 31 ottobre 1993) lo arrestò. La vicenda è poi finita tra assoluzioni e prescrizioni.
Mentre con una condanna (poi revocata grazie a una depenalizzazione varata da Berlusconi, paradosso miracoloso anche questo) è finito il patteggiamento per falso in bilancio in Olivetti, a tre mesi di reclusione e 15 milioni di lire di multa, poi trasformati in 51,7 milioni. Condanna che De Benedetti ha dichiarato in aula (nel processo per una presunta diffamazione da lui lamentata contro Marco Tronchetti), di «non ricordare». Caso classico di memoria selettiva. Miracolo, doppio miracolo!
Un altro miracolo l’ha fatto, obtorto collo, la Fininvest, rimpinguando le non floride casse Cir con circa 500 milioni di risarcimento per la storia infinita del lodo Mondadori, vicenda che si trascina da un quarto di secolo e per la quale la stessa Fininvest è ancora in attesa del verdetto della Corte di Strasburgo.
Ma la lista dei miracoli debenedettiani è ancora lunga. Come trascurare l’assoluzione in Cassazione dall’accusa di concorso nella bancarotta del Banco Ambrosiano, nel cui capitale De Benedetti era passato come un fulmine, lucrandoci profumati interessi sui 32 miliardi investiti? La vicenda è ben ricostruita nelle motivazioni di una sentenza del dicembre 2015 con cui il Tribunale di Milano ha assolto Tronchetti dall’accusa di diffamazione rivoltagli proprio dall’Ingegnere per alcune valutazioni taglienti fatte su di lui. Sull’Ambrosiano, dunque, De Benedetti dice di essere stato assolto essendosi dimostrato «totalmente estraneo»; in realtà venne assolto per motivi procedurali, cioè perché la Procura non aveva impugnato una prima archiviazione. Anzi: la regolarità del processo contro l’Ingegnere era stata accertata da una precedente sentenza di Cassazione, poi inabissatasi. Altro miracolo.
E poi i miracoli minori, come mutare l’acqua in vino. Provvidenziale, per lo meno, l’evaporazione delle accuse del finanziere Orazio Bagnasco contro l’Ingegnere, per avergli soffiato, evidentemente in modo corretto, la parte migliore del patrimonio immobiliare Europrogramme. E inefficace la fucileria di piccole e medie grane, più finanziarie o regolatorie che giudiziarie, su vicende come quelle legate al crack Sasea, o alla tentata scalata a Interbanca, o alla contestata fusione dell’Editoriale La Repubblica nella Cartiera di Ascoli. Insomma, una carriera miracolosa, pur non essendo stata una passeggiata di salute. La buona salute si preserva invece oggi, nel gruppo Cir, all’interno delle case di riposo della Kos, dove F2i, fondo d’investimenti partecipato dalla Cdp, parrebbe intenzionato a investire circa 400 milioni per avere la minoranza di 7.100 posti letto che nel 2014 hanno fatturato 392 milioni per farne 12 di utili. Cure miracolose.
Del resto, cos’altro se non un miracolo poteva indurre John Elkann a vendere La Stampa e Il Secolo XIX a un signore che, richiesto di dare un voto al nipote dell’Avvocato disse: «Gli darei il voto del nipote»? A meno che il tempo non riveli, da galantuomo qual è, che questa apparente vendita abbia un elastico capace di riportare a Torino tutto il cucuzzaro editoriale dell’Ingegnere quando, tra cent’anni, su di esso decideranno gli eredi. Si vedrà: del resto, gli Agnelli e i De Benedetti, da espatriati fiscali (Fiat a Londra, l’Ingegnere in Svizzera), almeno un linguaggio in comune ce l’hanno.