Ferdinando Camon, Panorama 10/3/2016, 10 marzo 2016
IL FIGLIO ORFANO DI NICHI VENDOLA
L’arrivo di un neonato è sempre stato «affare di famiglia», tutti i parenti accorrevano, lo scrutavano attentamente, con una sola domanda: a chi somiglia? Cioè: chi rinasce in questo bambino? Le prime somiglianze che si cercavano erano con il padre o la madre: «È tutto suo padre, no: ha gli occhi della madre», oppure: «Ma guarda, somiglia al nonno». Il neonato era un segmento che prolungava la linea della stirpe. Tutta la famiglia se ne rallegrava: se il nonno era morto, il neonato somigliandogli lo faceva rinascere, era la vittoria sulla morte. La gioia della famiglia e del parentado per la nascita di un bambino è la suprema gioia umana per la vittoria sulla morte.
Può Vendola, e la famiglia di Vendola, cercare a chi somiglia il piccolo Tobia? No, il piccolo non può somigliare al padre, perché non è suo padre e lui non è suo figlio. Certamente anche questo figlio è un segmento che prolunga una stirpe. Ma non è la stirpe di Vendola. Semmai del compagno di Vendola, che ha messo il seme nell’ovulo di una donatrice, ovulo che poi è stato messo nell’utero di una madre cosiddetta «gestazionale», che per nove mesi ha fatto crescere dentro di sé questa nuova vita, che noi consideriamo nata con la nascita, cioè adesso. Adesso la madre gestazionale sparisce nel nulla. Eppure è la vera madre, perché una madre è madre prima che il figlio nasca, e il figlio è figlio prima di nascere. Gli uomini, anche quelli che sono padri, non lo sanno, ma le donne, quelle che sono madri, lo sanno bene. I nove mesi che conducono al parto sono due vite fuse nella stessa: la madre spartisce con il figlio sali, zuccheri, sangue, cellule, malattie, paure, angosce, gioie. Con il suo cuore (che si dilata nella gioia e si restringe nel dolore) e i suoi nervi (ora tesi ora calmi), plasma il cuore e i nervi del piccolo.
Quello che sogna la madre influisce sul piccolo. Perciò, sono i sogni del piccolo. Madre e figlio non hanno due inconsci, ma un unico inconscio. Quando il figlio scalcia, la madre cala una mano sulla sua testa per calmarlo, e il figlio la sente e si calma. In quei nove mesi la madre fa un’operazione grandiosa: crea una nuova vita e la istruisce alla vita. Quando il figlio nasce, nasce per vivere in continuazione con quel rapporto, quella simbiosi. Nel caso di Vendola, la madre gestazionale scompare, come mai esistita. È un lutto. Nella storia umana, appare un nuovo figlio: il figlio orfano di madre viva. È un lutto estremo, tuttavia ha la parola per dirlo, e la parola è «orfano». Visto dalla parte della madre che perde il figlio, il lutto non ha la parola, in nessuna lingua. L’umanità s’è rifiutata di inventarla. Perché inventando quella parola dava realtà a quel lutto, lo ammetteva tra le cose possibili. E questo non può essere. Il lutto per cui una madre perde un figlio non è vivibile e la lingua che lo dice non è parlabile. La nascita del figlio di Vendola segna questo doppio lutto: il figlio perde la madre e la madre perde il figlio.