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 2016  marzo 10 Giovedì calendario

TUTTO IL MASCHILISMO MINUTO PER MINUTO


Marzo è il mese di Suffragette, il film con Meryl Streep e Carey Mulligan ambientato nell’Inghilterra d’inizio Novecento, quando le donne (alcune donne) sfasciavano vetrine e mettevano bombe per rivendicare il diritto al voto. È il mese giusto, insomma, per fare il punto sull’antica questione del maschilismo e su come in un secolo abbia cambiato segno, modalità, tattiche, passando dal padrone che fa il lumacone mentre stiri in una lavanderia industriale all’intellettuale che scrive in prima pagina sulle lauree femminili come prima causa di denatalità e impoverimento sociale.
Il maschilismo cento anni fa non aveva nemmeno bisogno di definirsi: era psicologia e cultura condivisa, dalla misoginia autorevole dei santi e dei filosofi fino alle minutaglie della saggezza popolare. Oggi è piuttosto ammaccato da briglie legislative che ne impediscono la piena espressione: ad esempio, da una trentina d’anni, in Italia non si può più ammazzare una donna e cavarsela con tre anni di carcere adducendo motivi d’onore, né stuprarla ed evitare il processo portandola all’altare. Dunque, il maschilismo si è rarefatto, riconfigurato, rannicchiato. Come il culto degli antichi dei – Mitra o Demetra – nel Medioevo, sopravvive in specifici clan dai quali esercita la sua influenza culturale in modi differenti. Di queste tribù proviamo a dare una sintetica descrizione, non senza rimpianti per i tempi in cui tutto era più semplice e la Kuliscioff si tirava i piatti con Turati discutendo di suffragio femminile.

Gli Highlanders È il maschilismo immortale, il più facile da riconoscere, talvolta persino divertente nella sua iconografia novecentesca e nelle sue argomentazioni ultraborghesi. È Mario Adinolfi che dopo un faticoso tour pubblica la foto della moglie che gli massaggia i piedi, “fortunato ad avere una compagna così”. È Piero Ostellino che incoraggia le donne che siedono sulla propria fortuna “a farne partecipe chi può concretarla”. È l’anonimo ragazzo con Photoshop che ritocca il sedere della giovane ministra e ci aggiunge un tanga celeste. Sono, insomma, tutti quelli che articolano per diverse vie l’antico “Io Tarzan, tu Jane”, incasellando il femminile nel ruolo dell’ancella, della Lolita e al limite della puttana consapevole, e il maschile sempre uguale a se stesso: in cima a un albero, a torso nudo, che si batte il petto urlando il suo richiamo ancestrale.
Gli Highlanders del maschilismo sono molto visibili ma sostanzialmente innocui. Nella loro versione più mite, amano un’idea di donna che non esiste più nella realtà – accudente, graziosa, custode della serenità – in quanto mancano le condizioni materiali perché questo stereotipo si realizzi. Una che ha sicurezza di sé, educazione, istinto della cura fa il chirurgo o l’ostetrica per Medici Senza Frontiere, non resta certo a casa ad aspettarti con le pantofole e l’unguento ristoratore in mano.

Le Vestali Quelle che reggono la coda del frac del maschilismo, talvolta senza accorgersene. Tra le inconsapevoli svetta il sindaco di Colonia Henriette Reker, avvocato, donna sicuramente emancipata: dopo le aggressioni di Colonia ha scritto un Codice Antistupro che sembra il manuale di Nonna Papera (“Tieniti a un braccio di distanza”, “Non girare sola”) anziché dettare un’ordinanza restrittiva per chi infastidisce le donne, avallando l’idea antica che la molla dello stupro sia la provocazione femminile, poiché l’istinto maschile è cogente e incontrollabile.
La Reker l’ha pagata molto cara. Vive in un Paese, la Germania, dove l’uguaglianza femminile è un dato radicato. Da noi, al contrario, fare la Vestale può essere un buon affare e l’adesione al modello maschilista può costruire carriere insolite. Costanza Miriano, ad esempio, si è fatta strada più di altre autrici di imprinting cattolico proprio adottando in toto la terminologia del maschilismo – sottomissione, obbedienza – e trasformandola in manuale di autoaiuto per signore un po’ confuse. Gran furba. Pure in politica il modello della devota garantisce ancora tanto. Quando vedi donne assertive come Laura Puppato, reginetta delle preferenze PD in Veneto, cantare un improbabile Happy Birthday a Matteo Renzi in stile Marilyn, capisci che l’omaggio vestalico al capo resta un plus anche per le più scafate, le più apparentemente solide.

I Rottamatori Quelli che “il tema è superato”. Tribù consistente che vede la convergenza di destra e sinistra nello smantellamento dei vecchi presidi collegati alla promozione dei pari diritti, senza peraltro sostituirli con cose nuove, come se la loro stessa ragione d’esistere fosse venuta meno. Il caso di scuola è l’abolizione silenziosa dopo quindici anni del ministero delle Pari Opportunità. Magari non serviva a niente, magari (per dire il meno) sarebbe stato carino avere un ministro che intervenisse negli attacchi sessisti alla Madia (“Una incinta non può fare il ministro”), oppure quando Enrico Lucci delle Iene inseguiva la Boschi coi doppi sensi sui suoi “rapporti” coi “membri” del Parlamento, o ancora quando la TV pubblica faceva giochi di parole sul “meloncino” della Meloni. Per citare cose più serie, sarebbe stato forse utile avere uno/una che difendesse i soldi dei centri antiviolenza, la specificità femminile nella partita delle pensioni, le tutele alle madri nell’ambito del Jobs Act. Ma “il tema è superato” e amen. Ministero addio.
Manco fossimo in Svezia.

Negazionisti È una tribù social, con alcune rispondenze parlamentari e giornalistiche. Si addensa come uno stormo di falchi ogni volta che riemerge il tema del femminicidio. Sono persone anche intelligenti, la punta di diamante è il blogger Quit The Doner (Daniele Rielli), con grande padronanza delle statistiche e la ferma convinzione che l’omicidio di mogli, fidanzate, ex, sia stabile nei secoli e quindi non vada trattato come un’emergenza: tipo i tamponamenti in centro, che sarebbe bello eliminarli ma non c’è modo. Pietra miliare del genere è un vecchissimo articolo di Marcello Veneziani. Il titolo dice tutto: “L’uomo uccide ma non è colpa del maschilismo”. Passaggio clou: l’ammazzamento della ex è “rivolta degli schiavi, i maschi, a cui è stato tolto il pane della loro vita”. Nella tribù, destra e sinistra convivono felicemente. Esiste persino un movimento di formazione marxista. Uomini Beta, che rivendica il valore del maschilismo e il cui fondatore Fabrizio Marchi si esprime in questi termini: “Allo stato attuale il femminismo è soltanto il coperchio ideologico di un ‘femminile’ che ha scelto di aderire in questa fase storica alle dinamiche della ragione strumentale dominante; ciò che Marx definirebbe ‘falsa coscienza’”.

I Gender Addicted Qui si fa in fretta. Cercate su YouTube il mitico video di La Manif Por Tous intitolato “Capire il Gender in tre minuti”. Se l’affermazione “le ragazze possono guidare un camion” vi appare come uno sproposito intollerabile anziché come una cosa normale, fate parte della tribù.

I Pubblicitari di serie B Nicchia immarcescibile del maschilismo che se ne frega delle denunce di Lorella Zanardo. Per loro, il corpo delle donne rappresenta il top del prodotto-civetta. Ha raggiunto il massimo nell’ultima campagna della Lilt contro i tumori al seno, con Anna Tatangelo che esibisce la sua quarta misura (o quinta?) poggiandola sulle braccia conserte come su un davanzale. La stessa organizzazione, peraltro, conquistò molti titoli con una iniziativa sulla diagnosi precoce battezzata “Posso toccarti le tette?”, quindi non c’è da stupirsi.

I Rape-runner Il club macho di Daryush Valizader, Roosh V sul web, che propone di legalizzare lo stupro se avvenuto in proprietà privata (a casa loro), con lo scopo – sostengono – di “responsabilizzare le ragazze a proteggere la loro virtù”. Roosh banna donne e gay dal suo blog. Ha scritto 17 libri tipo “Cinque ragioni per uscire con una ragazza con disturbi alimentari” (“Costa meno a cena”; “È più vulnerabile”). Sta cercando di organizzare raduni di fan in molti Paesi. Imitatore aggressivo del più noto Julien Blanc, conferenziere-stratega che al modico costo di 150 euro vi spiega perché “vis grata puellae”.

I Grandi Carnivori Hanno fatto la fortuna di Dinosaur Erotica, bizzarra collana di racconti sul tema degli accoppiamenti tra ragazze e T-Rex, o Velociraptor, o Triceratopi, o altri animali preistorici. Si immedesimano nel sogno di potenza di animali maschi, enormi e follemente aggressivi. Freud avrebbe di che lavorarci sopra.

Le Ragazzine di Roma Nord Usiamo il toponimo per chiarire lo stile, ma la categoria è internazionale. Figlie della generazione femminista, l’hanno ripudiata un po’ in odio alle loro madri un po’ perché certi diritti li danno per scontati, molto perché hanno fidanzatini maschilisti e vogliono compiacerli. Ci mettono due ore a truccarsi anche a diciotto anni. “Lo faccio per me, dicono”, ma è difficile pensare che mettano i tacchi 15 con plateau per sentirsi a loro agio. Fecero scalpore nel 2014 con la campagna social “Women Against Feminism”, una serie di immagini e frasi contro il femminismo ispirate dalle pop star più amate dalle minorenni, Katy Perry e Beyoncé. Furono prese in giro dalla controcampagna “Cats Against Feminism”, e la cosa finì in gran risate. I fidanzatini le mollarono comunque. Beyoncé, per redimersi (in America il dibattito si era scaldato) aprì il suo tour con la scritta “Feminist” a caratteri cubitali sul maxischermo. Stop, sipario.

I Sessisti benevoli Ambito politico. Tribù relativamente nuova, cresciuta man mano che l’estetica delle donne in Parlamento migliorava. Evoluzione del vecchio sessismo malevolo, quello del funzionario del PCI che spronava Marisa Rodano: “Hai molti figli, sei grassa e hai i capelli lunghi, una dirigente delle donne deve essere così”. Ora che prevalgono le magre, le atletiche, le giovani, l’istinto prevalente è l’adorazione acritica e la protezione carezzevole. Al culmine del fenomeno c’è il caso Maria Elena Boschi, oggettivamente svantaggiata dall’ebbrezza encomiastica che l’accompagna. Anche perché, se ti immedesimi nella figuretta della dea sul piedistallo, quando caschi ti fai malissimo: vedi la povera Alessandra Moretti, rovinata per sempre da un’intervista sulla ceretta. Alla Bindi non sarebbe successo.

I Neopatriarchi Questa è una categoria difficile da descrivere senza dire sciocchezze perché, al momento, se ne vede solo un riflesso, un frullo d’ali, una incerta e confusa traccia che si incrocia con lo spinoso tema dei gay maschi e della maternità. Ne hanno parlato in febbraio le femministe all’assemblea di Parigi contro la surrogacy – l’utero in affitto, insomma – suscitando un casino perché c’è chi dice “il corpo è mio e lo gestisco io, anche con una gravidanza per conto terzi” e chi sostiene, al contrario, che la cessione di maternità ad altri sia l’estremo approdo della cultura del padre-padrone. Cancellare il principio vecchio quanto l’uomo della “Mater semper certa” è rivincita del maschilismo? Trionfo del “sangue del mio sangue” e tua madre scordatela? Festa dei Neopatriarchi che finalmente possono riprodursi e generare discendenza senza l’impiccio della donna? Beh, sarà il dibattito dell’anno. Chi è interessato si prepari.