Michele Masneri, pagina99 5/3/2016, 5 marzo 2016
PADRONCINI [L’UOMO CHE NON C’È È L’AGNELLI D’ARGENTINA]–
[Gianfelice Rocca, detto Giano]
Era proprio quarant’anni fa: era il 1976, Gianni Agnelli usciva da Confindustria, e oggi che si potrebbe avere un altro Agnelli a viale dell’Astronomia non se ne fa niente. Eppure un Agnelli ci sarebbe, Agnelli non torinese certo, bensì argentino, anzi argentino-milanese.
Perché il candidato ideale, il superospite che tutti vorrebbero in questa Sanremo capitalistica tra ripescaggi e televoti e audizioni un po’ complicate che è diventata l’elezione alla Confindustria 2016, è Gianfelice Rocca, della dinastia detta appunto “gli Agnelli dell’Argentina”.
Mentre continuano le audizioni segrete, segretissime, e i saggi audiscono in silenzio e valutano voti e pareri sui candidati, in questa nuova complicata elezione al soglio, e i candidati non parlano se non col papa (son stati dal pontefice sabato scorso) il Paese attende con modica apprensione chi vincerà tra i quattro: il salernitano Vincenzo Boccia, candidato dei “piccoli”, e piccolo in sé con un fatturato di appena 40 milioni delle sue tipografie, appoggiato dall’ex presidente Emma Marcegaglia; il candidato “romano”, Aurelio Regina, candidato “di sistema”, già presidente degli industriali del Lazio, appoggiato da Abete (altre tipografie, ma più grosse); il Donald Trump bresciano, quel Marco Bonometti produttore di componenti per auto che è l’outsider roccioso di questa tornata; e poi il favorito, il “comunista” Alberto Vacchi, bolognese del packaging delle medicine, uomo di dialogo e additato come “amico di Landini”.
Ma soprattutto amico di Rocca, amico nel senso di sponsorizzato da, e dato per vincente. L’Agnelli argentino-milanese infatti regna ma non governa, candida ma non si candida, e il suo non candidarsi, questo sì, è tema un po’ più sexy rispetto a chi la spunterà sui quattro contendenti minori, sia detto con rispetto.
Lui infatti è il Superospite, è Gianfelice detto Giano, è presidente di Assolombarda, che è la Baviera della Confindustria, la sua parte più nobile e produttiva; il meglio del capitalismo italiano, anzi meneghino e sudamericano. Con un impero tipo Carlo V ma dei tubi (il primo al mondo, 25 miliardi di fatturato e 60 mila dipendenti), e una storia che sarebbe piaciuta all’ingegner Gadda, tra la Brianza e la Cordigliera, i Rocca hanno infatti oggi un gruppo che rappresenta il 2% del pil argentino e risale al nonno Agostino, ingegnere, che a fine seconda guerra mondiale se ne andò dall’Italia, sbarcando a Buenos Aires e fondando la Techint, Compagnia Tecnica Internazionale, e Techint era l’indirizzo telex poi diventato ragione sociale. Quindici operai, passione per il tubo.
Seguono anni da robber baron e corsa all’oro nero: 32 mila chilometri di condotte petrolifere, 11 mila di rete elettrica, e strade, autostrade, porti, aeroporti e ferrovie; e nel frattempo trasporti anche amorosi, con politiche matrimoniali degne della regina Vittoria: Agostino sposò una Maria Queirazza azionista della Comit, mentre il figlio Roberto, continuatore dell’impero, una Bassetti delle stoffe, e il nostro eroe odierno Gianfelice una Fiocchi delle cartucce. E non proprio «voglio poter avere in casa solo prodotti miei», come teorizzava un’altra gran sciura milanese, Anna Bonomi Bolchini, che comprava Miralanza e Durban’s e Rimmel (le aziende, tutte intere), per una sua autarchia da camera, ma insomma questi Rocca hanno impalmato la miglior manifattura italiana (a differenza degli Agnelli subalpini, che preferivano il blasone).
In questa Cognizione del Valore la mamma è fondamentale, anche oggi c’è una mamma importantissima che tiene unita la famiglia alla terza generazione. Gianfelice (detto Giano) aveva un fratello fondamentale, Agostino, scomparso qualche anno fa in un incidente aereo, e Giano è solo ma bifronte, come la divinità italica, ha infatti due facce, non solo geografiche: uffici a Mar de la Plata e stabilimenti nella Dalmine colossale sulla Brebemi, acquistata nell’era delle grandi privatizzazioni, e la Tenaris (che raggruppa tutte le tubature, da “tenax”, tenace). Tenacemente Giano Rocca già da ottobre ha escluso una sua candidatura a Confindustria: «Il ruolo di presidente è faticoso e di servizio», ha detto. Precisando: «Non parlo di vocazione al martirio ma di certo non è un compito facile», e si pensava che all’ultimo però decidesse per il gran sacrificio, lo si pensava bifronte, poiché l’interessato aveva detto che «a partire troppo presto si rischia la falsa partenza». Adelante con juicio, invece così non è stato, e forse la duplicità era altra, perché il dio o semidio antico era considerato custode di ogni forma di mutamento, e protettore di tutto ciò che concerne una fine e un nuovo inizio, e dunque Rocca bifronte continuerà a guidare la sua Assolombarda, e si concentrerà su Milano e sulla Lombardia, e lì svolgerà queste funzioni di conservatore-iniziatore mettendo anche ordine in una situazione un po’ spagnolesca.
Avrà soprattutto energie per la partita di potere vera di oggi, quella dell’editoria. Con la Fca che esce dal Corriere della Sera, Rocca vedrà non solo la giacchetta ma tutti interi i suoi famosi completi blu tirati ancor più e da più parti, soprattutto da Nanni Bazoli, dio del capitale lombardo che sta facendo con lui come Agnelli (quello vero, non argentino) fece ai tempi. Si tratta di salvare un simbolo lombardo e nazionale, e qui il Rocca va avanti sprezzandolo tutto, il sacrificio (però, che ricompensa, e che ricaduta simbolica, altro che Confindustria).
Che poi, rispetto agli anni gloriosi dell’Avvocato, romantico sognatore di rotative, oggi c’è la crisi della stampa e bisogna pensare a cambiare (ancora, dio del cambiamento, della fine e del nuovo inizio), e a Rocca interessa soprattutto Il Sole 24 Ore. Fonderlo col Corriere, risanando entrambi, ecco il progetto, suggellato dall’endorsement a Vacchi (che nel caso di probabile vittoria gli cederà la presidenza del quotidiano economico). Fantascienza? Sempre meno: l’ha scritto Paolo Madron su Lettera43, e se fino a qualche mese fa sembravano scenari immaginifici, oggi dopo l’annuncio della fusione tra la Repubblica e La Stampa, dopo l’uscita dagli Agnelli-Elkann dal Corriere e dall’avvicinamento delle due stirpi torinesi che per anni si sono evitate torinesemente, oggi nessuno si stupisce più di niente, tantomeno di un nuovo polo editoriale milanese, e dell’affermazione di una nuova razza, quella latinopadana.
Michele Masneri