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 2016  marzo 05 Sabato calendario

RIDO E MI INCAZZO MA A MODO MIO


[Roberto Donadoni]

Quale personaggio in un film, dettando una lettera al suo complice, esclama: “Punto. Due punti! Ma sì, fai vedere che abbondiamo!”?
«Totò. È il mio preferito».

Chi ha detto che Roberto Donadoni è un uomo serioso, malinconico, triste persino? Tanti. Qui, con l’aiuto dell’interessato, proviamo a fare giustizia dei pregiudizi che hanno accompagnato – e, secondo molti, penalizzato – la carriera di un allenatore che a parole tutti stimano ma nei fatti pochissimi hanno valorizzato. A volte licenziandolo (Cellino a Cagliari, Spinelli a Livorno) più per capriccio che per mancanza di risultati, altre non confermandolo (nelle vesti di c.t. della Nazionale, per esempio) per motivi imperscrutabili. O forse no.
Lui ha continuato a lavorare, e a vivere, come l’educazione contadina trasmessagli dai genitori gli ha insegnato: offrendo e chiedendo rispetto. Ha raccolto applausi e complimenti troppe volte fini a se stessi, nella scorsa stagione ha guidato con mano ferma e a testa alta un Parma condannato al fallimento, tanto da guadagnarsi il premio della Gazzetta intitolato a Giacinto Facchetti e assegnato ogni anno al personaggio sportivo che si distingue per etica e valori morali. A ottobre ha preso un Bologna già con un piede in B e lo ha portato a metà classifica, raccogliendo 28 punti in 16 partite. Tutto questo sempre restando in quel vischioso cono d’ombra disegnatogli intorno da chi continua a etichettarlo per il suo modo di fare e di essere: così composto, misurato, pacato. Educato, appunto. Troppo, secondo alcuni. Proviamo allora a dimostrare che è “umano” pure lui.

Che cosa la fa ridere?
«Tutto ciò che considero piacevole. Più di tutto, una frase o una smorfia di mia figlia Bianca, 2 anni. Magari fatico un po’ di più a ridere al cinema per un film che passa per comico e che io non trovo così divertente».
I nomi di tre comici che le piacciono?
«Totò, appunto. Il Jerry Lewis di tanti anni fa. Il terzo... Vediamo chi possiamo andare a prendere...».
Checco Zalone?
«Siamo stati a cena insieme. In Puglia, dove ogni anno passo un periodo delle vacanze. Ci hanno presentato amici comuni. Di persona mi ha confermato ciò che pensavo di lui: è una persona molto intelligente. Del resto sono convinto che un comico, per far ridere, dev’essere tutto tranne che stupido».
Siamo sulla buona strada. Ha mai vaffanculeggiato un altro automobilista?
«Tante volte. Specie quando l’altro, oltre ad avere torto, fa pure il prepotente».
Ha mai insultato un arbitro?
«Questo no. Degli arbitri fatico ad associare il nome al volto e viceversa. Non so come si faccia a dire: con quello abbiamo brutti precedenti. Per me chi dirige è un elemento accessorio alla partita».
Ha mai risposto male alla richiesta di un autografo?
«Solo se fatta senza educazione».
Ha mai rubato denaro dal borsellino di mamma?
(ci pensa) «Qualche monetina sì, dài».
Lo sa che ci si mette pure sua moglie Cristina a rafforzare una certa immagine di lei? L’ha definita puntuale, ordinato e preciso.
«Confesso: se mi accorgo che in casa c’è qualcosa fuori posto, rimetto in ordine».
Dica tre vizi dai quali non riesce o non vuole liberarsi.
«...»
Almeno due...
(lunga riflessione) «Una volta mi mangiavo le unghie».
Si è mai detto: il calcio, questo calcio, non è, o non è mai stato, il posto per me?
«No, non ho mai pensato in questi termini. Penso invece che ci siano tante persone che non dovrebbero far parte del mio mondo, questo sì. Sono tutte quelle che lo hanno danneggiato in modi diversi. Perciò sono facilmente riconoscibili».
Lei come ha fatto a restare fedele a se stesso?
«Semplicemente perché se volessi sembrare diverso da quello che sono farei una fatica immane».
Alza mai la voce?
«Coi giocatori spesso».
Cosa la fa arrabbiare nello spogliatoio?
«La maleducazione. Che per me vuol dire soprattutto mancanza di rispetto verso gli altri».
De Laurentiis, che la esonerò quando era al Napoli, disse una volta di lei: “È bravo ma troppo triste”. È un giudizio che l’ha offesa?
«È il giudizio di una persona che non mi conosce».
Crede di essere stato sfortunato coi presidenti? È partito da Spinelli per arrivare a Ghirardi, passando per Preziosi, De Laurentiis e Cellino: tutti tipi “esuberanti“, diciamo.
«Invece è stata una fortuna: ho avuto occasione di conoscere modi di essere e caratteri diversissimi dal mio e questo lo considero un arricchimento».
Taciturno, poco mediatico, non fa vita mondana: in quale di questi giudizi si riconosce? E in quale no?
«Certamente non faccio vita mondana. Non è vero al contrario che sono taciturno. Non lo sono mai stato. Sono soltanto uno cui piace ascoltare e che interviene in una conversazione se pensa che sia il caso e abbia i titoli per poterlo fare. In ogni caso parlo molto più rispetto a una volta».
Si è chiesto perché, nonostante le voci ricorrenti, Berlusconi non l’abbia mai chiamata ad allenare il Milan?
«No, perché sarebbe una domanda cui non saprei dare risposta. Io posso solo continuare a fare il mio lavoro nel modo in cui lo sto facendo. So benissimo che il mio futuro passa dal mio presente. E comunque la grande squadra che cerco potrebbe essere il Bologna».
A proposito: come ha fatto a rivitalizzare Destro, che pareva perso a 24 anni?
«Stimolando il suo orgoglio. Convincendolo che valeva molto di più di ciò che aveva dimostrato».
La Nazionale è il suo rimpianto più grosso?
«Perché? È stato invece un grande onore».
Finì per un rigore sbagliato nei quarti contro la Spagna, all’Europeo 2008. Ad altri sulla stessa panchina è stata concessa l’occasione di una rivincita.
«Il mio rapporto con la Nazionale non è finito per un rigore ma per altri motivi».
Quali?
«Le rispondo così: nel nostro ambiente bisogna sapersi vendere, io non riesco. E quando ritengo qualcuno non meritevole del mio rispetto, lo ignoro».
Quando la Figc la scelse, nel 2006, si disse che era stato raccomandato da Albertini perché c’era bisogno di una faccia pulita nel dopo Calciopoli.
«Chi lo ha detto è persona di poco valore, per lo meno superficiale».
Mai rimpianto i tempi in cui faceva il calciatore?
«Onestamente no. Ho cercato di viverli intensamente, consapevole che avrei potuto fare di più se avessi sfruttato meglio o in modo diverso certi momenti della partita. Oggi provo a evitare che i miei giocatori ripetano gli stessi errori».
Una volta ha detto: non ricordo i gol segnati, né quanti scudetti e coppe ho vinto. È vero?
«Non ho una gran memoria storica, ma i visi dei miei compagni e di chi ha accompagnato la mia crescita li ricordo bene. Quello di Bonacina, per esempio, il mio primo allenatore. Avevo 9 anni».
Vorrebbe chiedere scusa a qualcuno?
«Ogni giorno, poi ci sono scuse e scuse. Di sicuro non riesco a tenere il muso. Che io abbia ragione o torto, muovo sempre il primo passo per fare la pace».