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 2016  marzo 05 Sabato calendario

OK, IL NOME È GIUSTO ANCHE SE LA PILLOLA È SBAGLIATA

«Una rosa è una rosa è una rosa», scrisse in un poema la grande Gertrude Stein, per dire che il nome può cambiare, ma la cosa non cambia. Una semplice verità contro la quale le grandi industrie farmaceutiche, Big Pharma, lottano ogni giorno spendendo milioni per provare che Stein aveva torto. E che cambiando il nome alla cosa, cambia anche la rosa. O come noi la annusiamo.
È la gigantesca industria dei creatori di nomi per i nuovi medicinali. Le case spendono fortune per azzeccare quella sequenza di lettere che convincerà i pazienti a chiedere proprio quel farmaco e non un altro, magari identico, ma che suona peggio. Quando si parla di un mercato da 330 miliardi di dollari all’anno – mille a testa per ogni abitante degli Stati Uniti – si capisce che ogni dollaro speso per trovare il nome più accattivante possa essere giustificato.
Immaginiamo un signore di mezza età, con qualche problemino amoroso, andare in farmacia e chiedere una pastiglia di l- [3-(6,7-dihydro-l-methyl-7-oxo-3-propyl-1H-pyrazolo [4,3d] pyrimidin-5-yl) -4-ethoxyphenyl]sulfonyl] -4-methylpiperazine citrato, magari scarabocchato su una ricetta dalle famose zampe di gallina che i medici usano per scrivere. Gli sarebbe impossibile, e probabilmente rinuncerebbe a una piacevole serata. Altra cosa se potesse ordinare semplicemente il Viagra che è il nome commerciale di quell’impossibile trenino di greco, latino e algebra. La scelta è molto più di una traduzione dal “chimichese” all’inglese. Ogni nome deve cercare di colpire la fantasia, le paure, i desideri del paziente consumatore. Ci saranno dunque nomi più “maschili”. Viagra, con il suo ovvio richiamo subliminale a “vir”, virilità. Altri saranno imbottiti di lettere dure e un po’ intimidenti, come la sempre popolarissima “X” che fa subito promessa di efficacia. Ecco allora Nexium, Xarelto, Xanax, Suboxone, Oxicontin, Celebrex, Zostavax, Pradaxa, Xopenex, Exforge, Relpax...
Per medicinali prevalentemente destinati alle femmine o comunque controllati dalle donne, che sono le principali acquirenti di farmaci, i consulenti, che chiedono a Big Pharma fino a 500 mila dollari per partorire un nome, tenderanno a scegliere una nomenclatura più morbida. Oggi si vendono Lunesta per dormire (Oh tu, pallida Luna...), poi Humira, Lyrica, Januvia, Namenda, Dulera,Truvada,Victoza, Cymbalta, Strattera e Invokana, che ricorda una preghiera. A volte i produttori cedono e ci vanno giù piatti: per raffreddori, riniti allergiche, sinusiti è disponbile il Nasonex, anche per nasini.
Ogni nuovo farmaco deve avere sempre tre nomi. Quello scientifico, come il popolarissimo L3,3’,5,5’-tetraiodothyronine sodium salt (Levothyroxine – T4 – sodium), il sostituto degli ormoni della tiroide registrato anche come Levothyroxina e venduto a 30 milioni di pazienti soltanto negli Usa come Synthroid e in Italia come Euthyrox (“Eu” dal greco “bene”). Il nome commerciale appartiene alla casa che lo ha brevettato. Il nome generico serve per quando il brevetto scadrà e potrà essere prodotto da chiunque sia autorizzato. Ma il marketing e la ricerca del nome più commerciabile non sono senza rischi per la salute. Farmaci diversissimi ma con nomi simili rischiano di creare confusione, con effetti disastrosi. In un caso di scuola sempre citato, una signora sofferente di asma acuta cercò invano di controllare gli attacchi spasmodici ingerendo compresse dal nome molto simile a un preparato contro l’ingrossamento della prostata. La signora tragicamente morì, mentre da qualche altra parte, un uomo con una prostata come un pallone da football respirava a pieni polmoni correndo continuamente in bagno.
Nel punto di congiunzione fra scienza e profitto, fra persuasione occulta ed efficacia farmacologica, il confine fra ciò che aiuta il paziente e ciò che aiuta i bilanci delle aziende tende a confondersi e sovrapporsi. E può, come la rosa di Gertrude, pungere chi cade nelle trappole del marketing della pillola.