Giampaolo Visetti, Affari&Finanza – la Repubblica 7/3/2016, 7 marzo 2016
ESPLODE IN CINA IL CASO PENSIONI CONFUCIO NON BASTA PIÙ
Anche la Cina fa i conti con la necessità di costruire un sistema pensionistico sostenibile. I cinesi vivono sempre di più e l’obbligo di figlio unico (pur abolito) trasforma la seconda economia del mondo in una massa di anziani. Dalle ere imperiali a Mao, il potere non si è mai occupato del sostentamento dei vecchi: era compito dei figli mantenere i genitori, come prescritto da Confucio. Le prime riforme hanno portato al seguente risultato: in Cina gli uomini vanno in pensione a 60 anni e le donne a 55. Chi svolge lavori usuranti stacca a 50 anni. In media i cinesi smettono di lavorare a 53 anni. Il sistema risale al 1955: la Cina post-rivoluzionaria era una nazione di contadini e di giovani. Pechino ora annuncia che la situazione non regge più e che l’età della pensione deve aumentare. L’obiettivo entro il 2045, è congedare sia uomini e che donne a 65 anni. L’argomento, anche in un Paese privo di libera opinione pubblica, è sensibile e le resistenze si annunciano dure. La realtà, nella Cina capitalista fondata sulle metropoli dei consumi, è però evidente. Nel 2015 i cinesi con più di 60 anni hanno superato quota 220 milioni, pari al 16% della popolazione. Entro il 2030 i numeri raddoppieranno, generando la massa di anziani più numerosa del pianeta. Sempre lo scorso anno i cinesi di età compresa tra 16 e 60 anni sono diminuiti di quasi 5 milioni, scendendo a 911 milioni, quarto anno consecutivo di contrazione. Non siamo all’emergenza-Giappone, dove il saldo annuale della popolazione è in negativo di 1 milione di persone e i residenti del Paese sono a minimi mai toccati nemmeno alla fine della seconda guerra mondiale: industrie e terziario del Dragone non riescono però più a sostituire la manodopera necessaria e la scarsità dell’offerta fa impennare i costi del lavoro. La riforma delle pensioni annunciata da Pechino, in pieno vigore dal 2022, prevede l’equiparazione uomo-donna dal 2017: dall’anno successivo l’età pensionabile dei maschi sarà alzata di un anno ogni sei, quella delle femmine di uno ogni tre. A cinque anni dal ritiro si potrà restare al lavoro ancora tre mesi, a sei anni dal traguardo si lavorerà altri sei mesi. Anche la Cina è ormai un Paese anziano e longevo: per evitare il collasso del bilancio pubblico deve ritardare sempre di più gli assegni della previdenza. Le culle restano vuote, tornare a Confucio non si può. Il primo ministro cinese Li Keqiang: sta intraprendendo la difficile missione di dotare il Paese di un sistema pensionistico
Giampaolo Visetti, Affari&Finanza – la Repubblica 7/3/2016