di GIOVANNI PONS, Affari&Finanza – la Repubblica 7/3/2016, 7 marzo 2016
ARNAUD DE PUYFONTAINE IL CARDINALE DI BOLLORÈ CHE USA IL PUGNO DI FERRO NELLA CAMPAGNA TELECOM
MILANO - Arnaud de Puyfontaine è il braccio armato del presidente Vincent Bollorè nel colosso dei media francese Vivendi. Insieme stanno cercando di creare un campione internazionale nel nuovo universo dei media in costante ebollizione, una rappresentazione della grandeur francese nel delicato settore della tv, dei contenuti e dell’informazione. L’idea era venuta al presidente Nicolas Sarkozy nel 2008 quando nominò de Puyfontane a capo degli Stati Generali della stampa per fare una ricognizione del settore e stabilire chi poteva avere le caratteristiche per diventare un campione internazionale in grado di contrastare i colossi americani o quel demonio di Rupert Murdoch. E la risposta di de Puyfontaine fu che in realtà due erano i candidati a giocare quel ruolo, Orange e Vivendi. Da quel momento molta acqua è passata sotto i ponti e dal giugno 2014 Bollorè e de Puyfontaine si trovano sulla stessa corazzata, Vivendi appunto, per cercare di portare a termine quella missione tanto cara a Sarkozy e alla Francia.
Ma le circostanze hanno voluto che le aspirazioni di dominio del mondo della coppia di sarkoziani passasse anche e soprattutto per l’Italia, dove dal giugno 2015 Vivendi ha intrapreso la sua scalata a Telecom Italia raggiungendo a oggi il 23,8% del capitale. La creazione di un grande gruppo di contenuti passa infatti, incredibile a dirlo, per la diffusione della banda larga in Italia, considerata il miglior modo per assicurarsi un folto numero di utenti in grado di ingerire film, sport e serie tv prodotti altrove. E de Puyfontaine, a detta di chi lo conosce bene, è l’uomo giusto per condurre la campagna d’Italia, con il guanto di velluto e il pugno di ferro a seconda delle necessità.
Arnaud è un manager di buona famiglia perfettamente inserito nell’establishment transalpino, nobile e competente allo stesso tempo, ma soprattutto con un’agenda contenente i 500 indirizzi che contano veramente, come lui stesso ama ripetere. Nel suo curriculum impeccabile c’è tutto quello che un manager internazionale dovrebbe avere: l’Ecole supérieure de commerce de Paris, la Harvard Business School, una carriera tutta spesa nel mondo dei media, all’inizio a Le Figaro, poi il gruppo Emap in cui crea il polo televisivo Star, quindi uomo per l’Europa di Hearst Corporation per il quale ha curato l’acquisizione di 102 periodici dal gruppo francese Lagardère.
Sposato, con quattro figli, a ogni anniversario di matrimonio vola nella costiera amalfitana e da buon italiano d’adozione sfreccia su e giù per la penisola con vecchie macchine da corsa. E’ membro di Siècle, un importante circolo che riunisce i membri più influenti della classe dirigente francese, e quando ha ricevuto la Légion d’Honneur era presente il Cac40, cioè gli esponenti delle maggiori società quotate al listino d’Oltralpe. Quando era a capo del gruppo Emap in Francia, la casa madre inglese decise di esportare la rivista "Closer", magazine di gossip e celebrities, per la felicità dei lettori francesi. Se ne occupò proprio de Puyfontaine e qualcuno ha ricordato questo fatto quando due anni fa il presidente di sinistra François Hollande è stato pizzicato proprio da Closer montare in sella alla motocicletta per andare a trovare la sua amante Julie Gayet, seminando scandalo nel paese più illuminista del mondo.
Ma quando nel 2006 la Emap France fu acquistata dalla Mondadori l’allora numero uno Maurizio Costa (oggi presidente della Rcs) decise di mandare un proprio uomo di fiducia, Ernesto Mauri (oggi amministratore delegato della Mondadori) a guidare l’importante avventura nei periodici francesi. L’uscita di de Puyfontaine fu indolore e gestita in guanti di velluto ma evidentemente il manager dalle buone maniere e dall’ampia agenda (si narra che ci volessero due mesi per poter prendere un appuntamento con monsieur de Puyfontaine) non era considerato un uomo cui affidare la gestione operativa di un’azienda. Ma tutti si guardano bene dal parlar male di un uomo con tali alte relazioni, in quanto normalmente cadono sempre in piedi.
E’ infatti Sarkozy a prelevarlo dopo l’esperienza Mondadori per fargli studiare lo stato di salute della stampa transalpina, quindi si guadagna il nomignolo di "Monsieur Europe" nel momento in cui sale in sella al gruppo americano Hearst. Da qui il salto nel mondo Vivendi nel gennaio 2014, prima come direttore generale delle attività media e contenuti e poi a giugno come presidente del consiglio di gestione del gruppo. Il compito che gli assegna Bollorè non è semplice: bisogna trovare una nuova strategia di crescita dopo aver venduto tutte le partecipazioni nella telefonia fissa e mobile voluta e portata avanti dal predecessore Jean-René Fourtou. Ciò che ne salta fuori è un ibrido non facile da giustificare di fronte ai mercati finanziari.
La mission è quella di puntare sulla produzione di contenuti ma per poter competere con le costose produzioni che Netflix riesce ad affrontare grazie ai suoi 70 milioni di abbonati nel mondo, occorre assicurarsi delle piattaforme di distribuzione. La scelta, un po’ per caso e un po’ per convenienza, cade su Telecom Italia. Vivendi riesce nel colpo della vita di vendere la controllata brasiliana Gvt agli spagnoli di Telefonica all’astronomica cifra di 7,4 miliardi. Un contributo importante a questo mega affare di Bollorè viene proprio dagli italiani che presentano un’offerta concorrente a quella di Telefonica e la costringono a rilanciare sul prezzo. Per far fronte all’enorme esborso Cesar Alierta sceglie di uscire dall’Italia girando a Vivendi il pacchetto dell’8,4% di azioni Telecom che vanno a costituire la base della scalata di Bollorè. Ma la domanda degli investitori resta: avendo deciso di uscire dalle tlc, ottenendo alla fine più di 11 miliardi di liquidità, perché ora rientrare in Telecom quando si è scelto di puntare sui contenuti?
A mettere sotto pressione de Puyfontaine ci pensano i fondi attivisti nell’assemblea di aprile 2015, che vogliono una maggiore redistribuzione della liquidità e uno spezzatino della società che contiene Universal Music e Canal Plus. I manager di Vivendi fanno muro e si continua ad andare avanti nella ricerca di una strategia che convinca tutti. Vivendi con tutti quei soldi comincia una campagna acquisti in ambiti diversi, dai video di Dailymotion ai giochi di Gameloft, ma è chiaro che la partita più importante si gioca in Italia, dove alla fine vengono impegnati 3 miliardi di euro.
All’inizio Bollorè preferisce entrare in punta di piedi, senza creare sconvolgimenti nella governance e nella gestione della società. E soprattutto occorre instaurare un buon rapporto con il governo di sinistra di Matteo Renzi mentre i media continuano a parlare di possibili fusioni con le società del gruppo Mediaset. Bollorè e de Puyfontaine in casa loro sono chirachiani e sarkoziani, in Italia il loro sbocco naturale è Berlusconi, conosciuto negli anni Duemila quando Mediobanca e Generali erano presiedute dall’amico Cesare Geronzi. Ma da settembre le cose cambiano e i francesi accelerano. E il motivo è presto detto: un altro francese, più vicino alla sinistra governativa, ha comprato opzioni per salire al 15% di Telecom Italia. Due galli, rivali tra di loro, che si combattono in un cortile italiano. Ce n’è quanto basta per ingranare un’altra marcia. Il cda di Telecom vuole convertire le azioni di risparmio in ordinarie e in assemblea i francesi vorrebbero approfittarne per piazzare in consiglio quattro loro uomini. La governance sarebbe stravolta e i fondi dichiarano guerra contro questa eventualità. De Puyfontaine chiama a raccolta gli amici francesi che hanno azioni Telecom e in assemblea ottiene una doppia vittoria.
Vivendi boccia la conversione che l’avrebbe diluita e ottiene i nuovi posti in cda. Da quel momento si può dire che inizia il governo di Vivendi in Telecom. Le prossime mosse le vedremo nelle settimane a venire, con un cambio del management che sembra ormai nell’aria. Dal guanto di velluto si è passati al pugno di ferro, il governo Renzi non gradisce e gli investitori aspettano de Puyfontaine al varco per chiedere lumi su una strategia né carne né pesce.
di GIOVANNI PONS, Affari&Finanza – la Repubblica 7/3/2016