Andrea Greco, Affari&Finanza – la Repubblica 7/3/2016, 7 marzo 2016
COSÌ IL BAIL IN CAMBIA LE BANCHE IN TRE MESI SPOSTATI 50 MILIARDI
La danza dei miliardi. Almeno 50, secondo gli addetti ai lavori, da tre mesi stanno traslocando dagli strumenti (o dai marchi) che rischiano di dover “pagare” le crisi bancarie con il nuovo regime normativo verso altri, esentati da quest’impopolare onere aggiuntivo. Almeno nella percezione di correntisti. E degli investitori: perché le vecchie liquidazioni coatte amministrative non erano tanto diverse; buona parte della differenza l’hanno fatta la cattiva preparazione e comunicazione delle riforme che Bruxelles studia dal 2013 per interrompere culture e prassi di azzardo morale tra credito ed erario. Nessuno ne parla: la liquidità è un tabù per i banchieri, che non la nominano per evitare l’innesco di qualunque forma di corsa agli sportelli, il motivo primo dei crac bancari nella storia. Ogni tanto però affiorano episodi: l’ultimo riguarda Carige, obbligata dalla Bce con lettera del 19 febbraio «predisporre un nuovo funding plan entro il 31/3/2016», per arginare «la raccolta diretta, che risulta in flessione rispetto ai livelli dello scorso esercizio, date le difficoltà del contesto». Un antipasto del nuovo piano di provvista che il vertice uscente guidato da Piero Montani deve redigere l’ha reso noto la banca genovese: a febbraio due covered bond “retained” (ossia creati solo per scontarli in banca centrale) da 850 milioni, e «due nuove cartolarizzazioni di un portafoglio di leasing, prestiti personali e cessione del quinto con effetto positivo sulla liquidità stimato 500 milioni». Così fan tutti ormai, i banchieri che bussano a denari, trasformando parti dell’attivo in carta che Francoforte tiene a garantire la liquidità da anni dispensata a piene mani. Con Carige, sulla lista calda, ci sarebbero altri quattro istituti che da settimane sono sorvegliati speciali dell’Eurotower, che chiede loro un rendiconto quotidiano sui flussi: si dice che tra queste ci siano Mps, Vicenza, Veneto Banca. «No comment», ha replicato la Banca Centrale Europea. Nei dati Abi sulla raccolta del sistema poco si scorge. Perché in Italia tra depositi e obbligazioni bancarie, dalla fatidica fine di novembre 2015 a tutto gennaio 2016, il saldo è positivo per 9,8 miliardi. Ampliando l’orizzonte temporale, tra gennaio 2015 e gennaio 2016 la raccolta Abi è calata di 23,41 miliardi: ma per effetto dei 63,38 miliardi di minori bond circolanti, mentre i depositi sono saliti di 39,96 miliardi. I numeri però bisogna leggerli in filigrana, e quelli della raccolta, da quando gli italiani si sono accorti della direttiva sul salvataggio interno (Brrd), dicono altro. Le nuove norme di gennaio – anticipate all’attenzione nazionale il 22 novembre dal dl salvabanche – che includono i depositanti sopra i 100mila euro tra chi deve pagare il primo 8% di perdite degli istituti, stanno causando una colossale migrazione del denaro italiano: dai bond bancari al risparmio amministrato e gestito, dai conti correnti delle banche più deboli a quelle più forti. Secondo stime condivise da alcuni banchieri che operano nel paese, almeno una cinquantina di miliardi ha cambiato di posto in tre mesi, all’insegna della polarizzazione. Chi aveva dimensioni, solidità e reputazione superiori alla media ha aumentato la provvista: come Intesa Sanpaolo, Unicredit, le Poste e le società che offrono il risparmio gestito – escluso dal bail in – come Azimut, Banca Generali, Fineco, Mediolanum. Queste, forti delle masse portate dai promotori finanziari, ormai stappano champagne ogni mese: a dicembre la raccolta censita da Assoreti è salita di 5,3 miliardi, nel turbolento gennaio delle Borse ancora +2,5 miliardi (il 50% più di un anno prima). Banca Generali, ad esempio, in febbraio ha raccolto 584 milioni (+95%), dopo i 550 di gennaio e dopo un altro mezzo miliardo a dicembre: mentre fino all’autunno scorso i mesi grassi giravano sui 300 milioni di raccolta. Tra le grandi banche Unicredit ha accresciuto i depositi italiani dai 106 miliardi di euro del 2014 a 118 miliardi a fine 2015; e secondo stime degli operatori è a 123 miliardi a fine febbraio 2016. Ancor di più si dice cresca Intesa Sanpaolo, la banca più solida in Italia che nel bilancio 2015 aveva «attività liquide per 117 miliardi ed elevata liquidità prontamente disponibile per 78 miliardi », e da mesi pratica politiche commerciali aggressive per aumentare le quote di mercato. Al fronte opposto ci sono gli istituti patrimonialmente più fragili (e anche per questo i più colpiti sulle emissioni quotate), che avrebbero perso una trentina di miliardi di raccolta. Siena, che forse più di tutte ha risentito della tempesta di gennaio, ha perso una decina di miliardi tra i 24 di liquidità dichiarati sulla contabilità 2015 e le risultanze – ufficiose ma basate su stime attendibili – di metà febbraio. La Vicentina dal bilancio 2014 a quello 2015 ha perso circa 9 miliardi, finendo sotto le soglie di chieste dalla Bce. Soltanto con misure aggiuntive la gestione di Francesco Iorio ha riordinato la cassa: la cartolarizzazione di attivi e mutui da “scontare”, gli incentivi sui tassi di giacenza dei conti correnti, qualche prestito interbancario a nove zeri delle banche d’affari anglosassoni e dei grandi istituti italiani. Non avviene solo a Vicenza, ma un po’ ovunque dove la raccolta clienti flette. Come per Veneto Banca, che tra l’esercizio 2014 e il 2015 si stima abbia perso 6-7 miliardi di liquidità. O come per Carige, che ha visto scendere il liquidity coverage ratio (che impone di detenere contanti o simili per soddisfare il fabbisogno di liquidità nell’arco di 30 giorni di stress finanziario) dal 140% al 100%, poco sopra il 90% minimo imposto dalla vigilanza. Il movimento ha varie facce. Le medie e grandi imprese sono state tra le prime a traslocare i depositi, facilmente attaccabili dalle nuove norme perché spesso superano la soglia dei 100mila euro. Poi ci sono i risparmiatori al dettaglio, che in qualche caso si sono preoccupati e spinti fino allo sportello per chiedere informazioni, o per cambiare aria. Dietro le quinte, però, si racconta che una parte corposa dei movimenti sia composta dai cambi di casacca di banchieri private e di promotori finanziari che stanno trovando conveniente (per loro e per i loro clienti) trasferirsi dalle strutture gestionali delle banche più deboli a quelle più solide: non è un caso che Allianz Bank, Mediolanum, Fineco stiano assumendo molti professionisti, che si portano le loro masse gestite. La danza dei miliardi non avrà ripercussioni – a parte quelle commerciali e sui costi della raccolta finché la Bce presta agli istituti a tassi infimi. Ma questo non sarà per sempre. Inoltre nuove turbolenze sui mercati come quelle di gennaio potrebbero risvegliare le ansie di chi detiene la raccolta a vista. Nel grafico a sinistra, l’andamento dell’indice Ftse Italia Banche negli ultimi tre mesi. L’indice è sceso fino alla prima decade di febbraio, poi c’è stata una relativa ripresa.
Andrea Greco, Affari&Finanza – la Repubblica 7/3/2016