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 2016  marzo 05 Sabato calendario

LA B DELLA SAMB: DIVENTA TRAGEDIA: TIFOSI IN TRAPPOLA TRA LE FIAMME


C’è una foto che fissa il momento esatto dell’orrore. È l’immagine di una squadra schierata in mezzo al campo: pregusta un giorno speciale e la promozione in B. Dieci giocatori in maglia rossoblù (i colori della Sambenedettese), sereni. Ma è l’undicesimo a spezzare l’idillio, portandoci dentro la tragedia: il portiere. Non uno qualunque, ma un giovanissimo Walter Zenga. Non guarda l’obiettivo, gira la testa verso la curva. C’è qualcosa che non va, lo capisce prima degli altri con l’istinto da numero uno. Sono le 16 e 57 di domenica 7 giugno 1981. I minuti successivi bastano per la tragedia più grande mai accaduta in uno stadio italiano: 2 morti e oltre 100 feriti. Molti portano ancora i segni del fuoco. Sì, fuoco. Un rogo assassino divampato in modo accidentale: poi le fiamme e la folla impaurita, intrappolata da porte di sicurezza sbarrate. Un fuggi fuggi all’impazzata, sfidando il filo spinato della recinzione. Scene premonitrici: 4 anni dopo toccherà all’Heysel. Ma a differenza di quanto successo in Belgio, la tragedia del Ballarin è stata dimenticata da molti, forse da troppi. E ora rischia di sparire pure lo stadio, abbandonato dal 1985: il Comune lo vuole abbattere. Ecco perché, prima che accada, è bene raccontare la storia di due tifose morte in un giorno che doveva essere di festa.



«Come faccio a dimenticare... Non c’è giorno che passi senza un pensiero rivolto a quel giorno, a quelle povere ragazze. Una aveva la mia età. Ho quella foto, la tengo nel cassetto. La guardo spesso, come spesso guardo il video su internet. E non riesco a darmi pace. E’ accaduto tutto così in fretta, noi in campo pronti ad affrontare il Matera: ci bastava un punto per la promozione. Poi qualcosa gira male: vedo fiamme e fumo. Poco alla volta tutti andiamo verso la curva: la gente urla e si lancia sul prato, ferendosi sul filo spinato. Come faccio a dimenticare... Semmai mi chiedo perché nessuno parli di quella tragedia, come se fosse di serie C. Una vergogna». Walter Zenga fa Walter Zenga: va dritto al problema senza giri di parole. E’ stato testimone di una tragedia e soffre per la memoria perduta in un Paese pronto a indignarsi per qualunque cosa. «Basta fare un post su Facebook, un tweet. Scrivere “Je suis Paris”... Tutto bello per carità. A me, però, sa d’ipocrita. Mentre parlo con lei il mio preparatore chiede sottovoce “Ma cosa è accaduto a San Benedetto?”. Questo è il problema, non si può sbianchettare una giornata così. Fa male a chi c’era e fa male a chi cresce senza avere coscienza di quello che è stato. E allora, parliamo del Ballarin...».

IL ROGO – Parliamone. La Samb sta per ritornare in B dopo una stagione. In città si discute solo di questo. Anche Carla Bisirri, parrucchiera di 21 anni, e Maria Teresa Napoleoni, segretaria di 23, si fanno coinvolgere. C’è chi sussurra che quella del 7 giugno è stata la loro prima volta allo stadio. Forse è così, forse no. Non cambia nulla. Di sicuro comprano il biglietto e con gli amici varcano i cancelli 2 ore prima della gara. Fa caldo, ma alle 15 i 3500 posti della curva sud sono già occupati. E la gente continua a entrare. «Faranno una coreografia speciale», è il passaparola. Anche per questa ragione le forze dell’ordine decidono di sbarrare i cancelli: ingressi e uscite chiuse a chiave. Scelta fatale. Ore 16 e 57: squadre in campo. Si alzano migliaia di cartoncini colorati. Poi i fumogeni rossi e blu nascondono la Sud. Tutto è pronto per la partita. E la festa. All’improvviso un fumo nero attira l’attenzione. Non è previsto. La curva si divide come il mar Rosso. Ma non c’è acqua, c’è il fuoco. I cartoncini iniziano a bruciare, le fiamme avanzano in un baleno trovando nuova linfa gradino dopo gradino. Le persone cercano riparo, ma le uscite sono lucchettate. Allora risalgono verso l’alto, si ammassano. E qui il Ballarin compie un mezzo miracolo: a differenza dell’Heysel, le mura non cedono e resistono alla forza d’urto. Sarebbe stata una mattanza, con voli nel vuoto di oltre 15 metri. Chi sta in basso è circondato come un topo, l’unica fuga è il campo: c’è da scavalcare la rete, affrontare il filo spinato. Non tutti ci riescono. Nella calca, chi perde l’equilibrio finisce dritto nel rogo. Accade a 3 donne e un bambino. Nel video disponibile sul web si vedono gli istanti più tragici: Carla e Maria Teresa come torce umane, mentre un’anziana cerca riparo nei bagni. E c’è il bimbo di 10 anni, circondato dal fuoco. La sua vita sembra segnata, poi arriva un angelo. Non dal cielo, ma dalla curva. Un finanziere in borghese si lancia nelle fiamme, solleva il ragazzino e lo riporta tra i vivi. L’inferno dura meno di 10’, il bilancio è drammatico: 3 persone in condizioni gravissime, poi ci sono 64 ustionati e una quarantina di altri feriti. La curva si svuota: metà della gente torna a casa da sopravvissuta, l’altra resta a vedere il match. Tra loro c’è pure Roberto Peci, ex calciatore e fratello del pentito Patrizio. Tre giorni dopo sarà rapito dalle brigate rosse, in una città ancora sotto choc, e il 3 agosto ucciso per vendetta. Ma questa è un’altra storia.

PROPOSTE – «Abbiamo giocato. Non pensavano fosse accaduto qualcosa di irreparabile. Alla fine lo 0–0 ci bastò per andare in B, ma nessuno festeggiò. Poi morirono le ragazze...». Zenga abbassa la voce, non va avanti. Carla e Maria Teresa arrivano in ospedale coscienti, ma con ustioni devastanti per i vestiti sintetici squagliati sulla pelle. La prima a cedere è Maria Teresa: smette di respirare il 13 giugno. Quattro giorni dopo stesso destino per Carla. Resiste e si salva la terza donna. Sono passati 35 anni, il Ballarin è stato abbandonato nel 1985: ora il Comune lo vuole abbattere e riqualificare l’area. Zenga ritrova la voce. «Non entro in questioni politiche. Certo, mi aspetterei un minimo d’attenzione. Demolire il vecchio stadio? Fate pure, ma vogliamo lasciare un’area per ricordare le ragazze morte? Che so, una stele o una targa. Sarebbe il minimo, dovrebbe essere un impegno morale. Altro che post su Facebook». Anche Gigi Cagni la pensa così. A San Benedetto lo chiamano ancora «capitano». Quel 7 giugno indossava la fascia, come ha fatto per diverse stagioni. «Non si può spiegare con le parole quello che abbiamo vissuto. Ognuno ha i suoi ricordi e un sentimento amaro che non va più via. Mi disturba parecchio la cosa del Ballarin, pensare che si possa fare della speculazione con nuovi edifici non riesco a capirlo. Perché non si costruiscono dei campi per i ragazzi e si lascia qualcosa a ricordo della tragedia? Altrimenti davvero è tutto senza senso».

SUPERSTITE – Il finale lo affidiamo alle parole di Luigi Tommolini. Il 7 giugno 1981 aveva 12 anni: con la sua bandiera se ne stava nella parte alta della curva. Per preservare la memoria di quella tragedia ha caricato sul web il video (quello di cui parla Zenga) del rogo. Quasi 10’ da guardare in apnea. «Quando le persone hanno iniziato a spingere dalla mia parte – racconta – ho creduto di morire. Vedevo il vuoto sotto di me. Per fortuna il muro ha retto. Il fuoco non lo vedevo, ma neppure chi era vicino si rendeva conto di quello che accadeva. Le fiamme avanzavano controsole, quasi invisibili. Non si trovavano le chiavi delle porte e gli idranti erano senza acqua... Ero piccolo, non ho capito subito la gravità dei fatti, ma rammento un particolare: dopo la gara scesi in campo, non c’erano festeggiamenti. Ma scesi lo stesso, forse per esorcizzare la paura. Quando mi girai verso la curva, vidi al centro una chiazza nera, Restai muto, col cuore in gola. Credo sia giusto ricordare sempre le vittime e i feriti. Si parla di abbattere lo stadio, ma dico: è così difficile dedicare una via o una piazza a Carla e a Maria Teresa?». Già, è davvero così difficile?
Francesco Ceniti